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RICORDANDO LEONARDO SCIASCIA

Ricordare Leonardo Sciascia (deceduto il 20 novembre 1989) è doveroso, anche dal punto di vista personale. Lo abbiamo conosciuto lentamente, come spesso accade quando la gioventù arriva a distrarti. Solo col tempo siamo riusciti a comprendere il suo anticonformismo, lo spirito critico e la lucidità dei suoi scritti. Oggi, quando entriamo in una libreria e riconosciamo un volume dell’autore siciliano, sentiamo di aver ritrovato un amico, l’intellettuale che ancora ci sta accompagnando per comprendere il suo verbo siciliano dedicato all’Italia e al mondo.

Leonardo Sciascia ha apprezzato molto la fotografia. Prova ne è il suo libro “Sulla fotografia”, dove emerge come l’osservazione della realtà da parte dell’autore siciliano corra parallela alla sua curiosità circa l’arte dello scatto. Nel volume vengono presentate alcune immagini inedite catturate da Sciascia. Come recita la sinossi, in esse è possibile ricostruire una sorta di “geografia degli affetti” dell’autore, dalla “sua” Racalmuto alla famiglia, per arrivare agli stimoli del suo celebre viaggio letterario compiuto con l’amico Ferdinando Scianna in occasione della lavorazione di “Ore di Spagna” (un altro libro da leggere per forza).

Nel ricordare Sciascia, ci piace menzionare il suo legame con il fotografo Ferdinando Scianna. Erano amici, i due, lo sono stati per oltre vent'anni; ma forse c’era di più: quell’amore che Ferdinando ha dedicato a un padre, un mentore, un maestro.
Entrambi erano accumunati dalla passione per l'immagine e la parola, inserendo il desiderio nel loro lavoro: Scianna con i suoi scatti in bianco e nero, Sciascia con la lucidità dei suoi libri.

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IL REGIME DI POL POT

10 Novembre 1971. In Cambogia, i Khmer rossi attaccano l’aeroporto di Phnom Penh. Nella capitale, praticamente assediata, governa il generale filoamericano Lon Nol. Nonostante gli aiuti statunitensi, nel 1975 la città capitola. Il potere passa al “Fratello numero 1” dei Khmer Rossi: Pol Pot. Sarà uno dei regimi più sanguinosi della storia.

Gli eventi cambogiani ci ricordano un film sull’argomento: Le urla del silenzio. Sidney Schanberg, giornalista del "New York Times" viene mandato nel 1972 in Cambogia, per seguirvi la guerra tra i Kmer rossi ed il governo di Lan Nol e là si avvale del dott. Dith Pran (un laureato in chirurgia), come guida ed interprete. Tra i due si stabilisce un profondo rapporto di stima e di amicizia. Divenuti inseparabili, e dopo aver insieme realizzato servizi assai importanti, i due si trovano il 17 aprile 1975 a Pnom Penh, quando i "liberatori" occuparono la città nel momento del generale smarrimento, preludio a tutte le ferocie e violenze che stavano per scatenarsi sugli sventurati (e in quel momento festanti) cambogiani. Pran riuscì a salvare la vita di Schanberg e quella di alcuni giornalisti occidentali i quali, dopo interrogatori ed umiliazioni da parte dei Kmer, poterono trovare asilo nella sede dell'Ambasciata francese. Al momento di partire in elicottero in direzione degli Stati Uniti, e malgrado gli sforzi di tutti per assicurare a Pran un falso passaporto, questi rimase nel suo Paese, perduto nella folla di compatrioti, che già i Kmer avviavano, tra insulti e malvagità indicibili, verso la frontiera vietnamita.

Rientrato dal canto suo a New York, Sidney non cessò un istante le sue ricerche dell'amico Pran in tutte le sedi e presso tutte le Organizzazioni possibili. Nel 1976 egli vinse il premio Pulitzer per le sue corrispondenze di guerra. Sidney, che sempre avvertiva un senso di colpa per aver rimesso a Pran la scelta fra il restare nel proprio Paese o il lasciarlo insieme a lui, fu infine premiato nei suoi sforzi. Il 9 ottobre del 1979, quando, essendo stato Pran finalmente identificato e ritrovato, riuscì a volare in Thailandia e ivi riabbracciare l'amico.

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LA CUBA DI COMPAY SEGUNDO

L’abbiamo respirata, l’Alma de Cuba; e anche assaggiata: i Rum, il mojito, i sigari pregiati. L’isola caraibica rimane però l’ombelico della musica e Chan Chan diventa l’eco dei nostri ricordi: un brano dalla struttura scarna, quasi debole. Quattro accordi si ripetono di continuo, con le strofe che viaggiano tra le improvvisazioni degli strumentisti.
E’ la musica cubana, quella vive nel brano di Compay Segundo; e in essa occorre lasciarsi andare, come in una danza. Del resto, già nelle strofe c’è il ritmo, quello del viaggio; come anche l’amore: il senso della vita.

L’abbiamo suonata, Chan Chan, con una chitarra di un cubano. I quattro accordi erano facili, ma era bello sentirsi partecipi degli assoli degli altri chitarristi, che entravano con un’intesa antica. La spiaggia faceva il resto, ed emergevano l'amore e la nostalgia di quel viaggiatore per la sua amata, mentre era in viaggio attraverso l’Alto Cedro e Marcané e poi tra Cueto e Mayarí. Le strofe poi parlano dei due innamorati, Juanica e Chan Chan, mentre giocano sulla sabbia in riva al mare. Tutto si ripete, quasi di continuo, come dovrebbe essere per i sentimenti quando vivono di nostalgia.

Cuba è anche questo: conferma di continuo; e Compay Segundo lo sapeva bene. Il tempo è quello che batte, scandendo, senza trascorrere: come quel sigaro che non finisce mai, il mojto che chiedi una volta di più, o quell’auto anni ’50 che ti riporta in albergo. La troverai il mattino seguente.

Non dimentichiamolo: il 18 novembre 1787 nasce Louis-Jacques-Mandé Daguerre, un artista, pittore e fotografo francese, tra l’altro creatore del teatro diorama. Lui è diventato famoso per lo sviluppo del dagherrotipo, uno dei primi metodi di successo della fotografia. Ne abbiamo parlato gli scorsi anni.

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IL PROGETTO FOTOGRAFICO DI AUGUST SANDER

Quando proviamo a parlare di August Sander (nato il 17 agosto 1876) rimaniamo sempre affascinati e turbati allo stesso tempo. Lui è stato l’autore del più vasto progetto fotografico di sempre. Come dice il Newhall, «nel 1910 diede avvio a un ambizioso programma: creare un ampio atlante di tedeschi di ogni classe, di ogni estrazione sociale. Non cercò la personalità individuale, ma i tipi rappresentativi di professioni, mestieri, attività diversi, nonché i membri di gruppi sociali e politici. Intitolò il suo programma “L’uomo del XX secolo”». Sander, contrariamente ad altri suoi colleghi, non si concentrò solo sulle classi povere, sulla miseria e le situazioni marginali della società, mettendo invece sullo stesso piano: nobili, disoccupati, manovali, studenti e senza tetto.

I ritratti di August Sander non hanno niente di sperimentale. Luce e composizione sono “normali”. C’è però molto dell’autore in ogni immagine. Come diceva Susan Sontag: «Senza rendersene conto Sander adattava il suo stile al rango sociale della persona che fotografava». Ai manovali aggiungeva una scenografia, con degli oggetti che potessero definirli meglio; mentre le classi agiate venivano inserite in ambiti più naturali. Lui si avvicinava ai soggetti verso quali si percepiva più affine.

Nello scatto Sander usava una sua lentezza, di certo necessaria: quella del grande formato e dei negativi di vetro; e per questo era quasi fuori moda. Forse aveva bisogno di riflettere oppure voleva mettere insieme le idee maturate in anni di progetto. Il risultato però rimane eloquente: ogni ritratto è potente, sin dall’espressione. I volti, tutti, mostrano un’angoscia di fondo, giustificabile visto il momento storico. C’era stata la guerra e se ne propinava un’altra, in uno scenario economico drammatico. Sander ha comunque salvato il suo tempo, regalandolo al mondo; restituendo anche una metodica, che di certo ha offerto spunto ad altri ritrattisti, per anni.

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