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HENRY CARTIER BRESSON

Il 22 agosto 1908 nasce a Parigi Henry Cartier Bresson, il maestro dell’istante. Suo è questo aforisma: “È un’illusione che le foto si facciano con la macchina… si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa”. La frase che racchiude l’essenza del lavoro di Cartier Bresson, lo stile inconfondibile, il suo approccio con la macchina fotografica: lo strumento dell’intuito e della spontaneità.

Bresson proviene da una famiglia agiata, che comunque gli restituirà un rapporto controverso col denaro. A quel tempo possiede, come tanti altri bambini, una Brownie-Box, che usa per riempire piccoli album di ricordi delle vacanze. Poi, agli inizi degli anni Venti, comincia a praticare la fotografia amatoriale.
Sboccia poi la passione per l’arte, grazie anche a uno zio pittore che avrà un grande ascendente su di lui e a diciotto anni s’iscrive all’Accademia di pittura di André Lhote, pittore vicino ai cubisti che, accanto alla pittura, aveva sviluppato anche un importante lavoro di teorico e critico d’arte.

Come per tutti i grandi, anche lui avrà un episodio che lo segnerà profondamente: un viaggio in Costa d’Avorio nel 1930, una partenza improvvisa, dovuta forse al desiderio di uscire dal bozzolo famigliare e rompere con l’insegnamento di Lhote che considerava troppo teorico. Lo scopo del viaggio non era stato quello della fotografia, ma al suo ritorno nel 1931, un libro di fotografie di Martin Munkacsi, che contiene una fotografia di tre bambini di colore che corrono a buttarsi nel lago Tanganica, sarà per Henry una vera e propria rivelazione. In quell’immagine c’era tutto: la grazia compositiva, la dinamica, l’intensità, il contrasto.
“Ho capito improvvisamente che la fotografia poteva fissare l’eternità in un attimo” dirà più tardi. Distrugge le sue tele e comunica al padre il desiderio di diventare fotografo.
Bresson avrebbe tentato anche la via del Cinema. Giusto come curiosità, lui fu uno dei due assistenti nel film “La scampagnata” di Renoir, assieme a Luchino Visconti.

Il suo lavoro lo porterà a girare il mondo e diventerà, ben presto, uno dei fotografi più amati e conosciuti di tutti i tempi, oltre che il precursore del fotogiornalismo. Il suo talento è immenso, così come pure la sua perfezione compositiva.
Secondo lui non erano necessari grandi mezzi, anzi, è da un’economia di mezzi che si arriva alla semplicità di espressione, perché è molto più utile “osservare lì, dove gli altri sanno solo vedere “ e saper pazientare in attesa “dell’istante decisivo”.
Sapeva comprendere l’importanza attraverso l’essenza, percepire l’energia di un luogo, l’atipicità di un momento, l’espressività di uno sguardo, ma soprattutto aveva la capacità, tutta istintiva, di sapere quando è il momento di aspettare il guizzo visivo e archiviarlo nella memoria della sua fotocamera.

Di Bresson si è detto molto e sicuramente ne hanno parlato voci più autorevoli di noi. Quando ci occupiamo di lui, però, proviamo un forte senso di rispetto, ed anche di gratitudine. Siamo convinti che la diffusione della fotografia sia stata generata da vari fattori: il piccolo formato (del quale Bresson fu un fautore) e anche l’industria; entrambi hanno popolarizzato la passione per il Click. HCB, però, ha fatto sì che molti seguissero un indirizzo, un atteggiamento, persino un pensiero fotografico. Senza di lui forse non sarebbero esistiti tanti professionisti e, probabilmente, molti di noi non sarebbero qui a godere della fotografia, come facciamo adesso.

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DIMENTICANZA D’AGOSTO

La concitazione spesso ci fa compiere degli errori, sempre alla ricerca, come siamo, della notizia, di una fotografia famosa che la racconti e del suo autore. Questa volta rimediamo.

Il 6 agosto 1928, nasce a Pittsburgh, uno degli artisti americani più importanti del Novecento: Andy Warhol, pittore, scultore, regista statunitense, tra i fondatori della cosiddetta Pop Art. Al secolo Andrew Warhola, nasce da una famiglia d’immigrati slovacchi, agli inizi degli anni Cinquanta lavora come grafico pubblicitario per riviste quali "Vogue", "Harper's Bazar", "Glamour". Nel 1952 tiene la prima personale alla Hugo Gallery di New York.

E’ intorno al 1960 che comincia a realizzare i primi dipinti che si rifanno a fumetti e immagini pubblicitarie, che lo renderanno famoso. Dick Tracy, Popeye, Superman e le prime bottiglie di Coca Cola "icone-simbolo" del suo tempo, sono i soggetti scelti e riprodotti con uno stile volutamente “neutro” e piatto, anche quando dipinge sedie elettriche o incidenti d’auto. Si delinea così la filosofia dell’artista che più ha saputo interpretare la società del benessere, dei consumi, dell’immagine e del desiderio di apparire, degli anni ’60. Proponendosi come imprenditore dell'avanguardia creativa di massa, fonda la "Factory", una sorta di officina di lavoro collettivo. Nel 1969 lancia la rivista "Interview", che, da strumento di riflessione sul cinema, amplia le sue tematiche a moda, arte, cultura e vita mondana.

“Porto con me la macchina fotografica ovunque vada”. “Avere un nuovo rullino da sviluppare mi dà una buona ragione per svegliarmi la mattina”. Questo diceva l’artista, il che sottolinea la sua passione per la fotografia. Negli anni ’70 e ’80, personaggi della portata di Marilyn Monroe, Liza Minnelli e Giorgio Armani erano ospiti fissi nella sua Factory dove, dopo vari festeggiamenti, venivano truccati e immortalati dalla sua Polaroid. Molti di quegli scatti sono vere e proprie opere d’arte che mettono in risalto la sua capacità di tramutare in arte anche le situazioni di vita più banali.

Andy Warhol muore a New York il 21 febbraio 1987 durante un banale intervento chirurgico.

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INVADONO PRAGA

«Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita. Come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce». Per ricordare l’invasione di Praga abbiamo usato una strofa di una canzone scritta da Francesco Guccini, Primavera di Praga, un brano del 1970. Non è stata la fantasia ad aiutarci. Siamo in Appennino e dal balcone, nonostante le nuvole basse, siamo in grado d’intuire dove abiti il cantautore pavanese.

Sono le 23 del 20 agosto del 1968. Le truppe sovietiche varcano la frontiera cecoslovacca e puntano su Praga. L’invasione russa mette fine a ogni sogno di “primavera”.
Tornando al brano musicale, e agli accadimenti storici, con il termine Primavera di Praga s’indica quel periodo di timide riforme e liberalizzazione politica avvenuto in Cecoslovacchia nel 1968 sotto la guida dello slovacco Alexander Dubček (1921 - 1992). La risposta dell'Unione Sovietica, preoccupata dalla perdita di un alleato strategico per la Guerra Fredda, non si fece attendere: il 20 agosto del 1968 carri armati provenienti dagli altri paesi del Patto di Varsavia occuparono militarmente la capitale cecoslovacca.
Qualche mese dopo, come gesto di estrema protesta per la situazione del paese, lo studente Jàn Pàlach (1948 – 1969), citato nella canzone di Guccini, si diede fuoco in Piazza San Venceslao.

Josef Koudelka – giovane fotografo di talento nato in un piccolo paese in Moravia – è a Praga. Quell’alba del 21 agosto scende in strada come tutti e, con la sua macchina fotografica, scatta. Lo fa senza sosta, senza pausa, con il bisogno di farlo semplicemente perché è lì, nella città che conosce e dove vive. Il fotografo ha dichiarato: «Mi sono trovato davanti a qualcosa più grande di me. Era una situazione straordinaria, in cui non c’era tempo di ragionare, ma quella era la mia vita, la mia storia, il mio Paese, il mio problema».

Le foto raccontano i carri armati nelle strade, lo stupore e la rabbia di tanti che cercano di fermare la violenza anche solo con il proprio corpo, le manifestazioni, le case, il pianto e la disperazione. La documentazione di quell’estate tragica arriverà clandestinamente in America. Grazie alla complicità di Elliott Erwitt e Magnum Photos, le fotografie arriveranno al pubblico del mondo intero. Riceveranno anche il prestigioso Robert Capa Award, ma resteranno anonime fino al 1984 e la morte del padre, per evitare ripercussioni sui familiari rimasti in patria. Per anni al fine di proteggere l’incolumità di Koudelka, furono pubblicate anonime con la dicitura “fotografo praghese” (Photography by P.P.) ma ugualmente divennero una tra le testimonianze più forti del periodo, una traccia indelebile, un segno incancellabile nella storia.

Koudelka riuscì a lasciare la Cecoslovacchia il 20 Maggio del 1970. Tornerà in patria solo nel 1990, dopo la fine dell'occupazione e venti anni di esilio. Le sue immagini sono divenute simboli della resistenza, icone di quel tragico avvenimento e hanno contribuito a fare di Josef Koudelka uno dei fotografi più apprezzati al mondo.

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BUON COMPLEANNO FOTOGRAFIA

Il 19 agosto 1839 nasce la fotografia, con la relazione con la quale l’accademico François Jean Dominique Arago, influente uomo politico della Francia del tempo, offrì a Louis Jacques Mandé Daguerre l’ufficialità della sua invenzione (Il dagherrotipo). La stessa era stata annunciata il 7 gennaio, all’Académie des Sciences di Parigi. La Francia mette una “segno” sul calendario, regalando al mondo quel click che avrebbe fermato il tempo, in quell’attimo immortalato per l’eternità.

Ricordiamo Daguerre con un dettaglio, perché lui scattò (se si può dire) la prima immagine fotografica con degli esseri umani. Questa fu realizzata da Place de la République, guardando verso sud in direzione di Boulevard du Temple. Siamo nel 1838 e “l’impressione” viene considerata da molti esperti come la prima fotografia di Parigi.
Le strade appaiono vuote, circostanza strana per quel periodo storico. A causa della lunghissima esposizione necessaria, le persone e le carrozze che transitavano non rimasero impresse. Daguerre riuscì a immortalare due uomini nella lastra: un lustrascarpe e un suo cliente, che si trovavano all’angolo della strada. I loro nomi non sono conosciuti, ma diverse fonti riportano che il cliente fosse l’assistente di Daguerre, il quale volontariamente si fece lustrare le scarpe per un periodo lunghissimo, in modo da rimanere impresso nella lastra insieme al lustrascarpe.

La fotografia, comunque, festeggia tanti compleanni, sin da quando Joseph Nicéphore Niépce scattò un’immagine dalla veduta dalla sua finestra a Le Gras, utilizzando una lastra di peltro ricoperta di bitume di Giudea (1826). Nel 1841 l’inglese William Fox Talbot introdusse il negativo di carta, dando vita allo scatto riproducibile più volte.
Nel tempo, le candeline si sono accese per altre innovazioni: il rullino, il colore, le pellicole istantanee, le diapositive, il digitale; tanti testa – coda che hanno fatto evolvere la fotografia, rafforzandola potremmo dire, senza più farla tornare indietro.
Le invasioni barbariche digitali (scherziamo, ovviamente) hanno cambiato il nostro modo di vivere, modificando comportamenti, abitudini, addirittura cancellando strumenti e mestieri. La fotografia è rimasta solida al suo posto, testimone del tempo, quale strumento di conoscenza e documentazione. Le mostre sono sempre più frequenti e addirittura sono comparsi romanzi a tema fotografico. Insomma, l’immagine fissa dilaga, con sempre delle novità estratte dal cilindro: se ne ha voglia, la desideriamo. Tanti auguri, fotografia.

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