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CHARLES BAUDELAIRE E LA FOTOGRAFIA

Charles Baudelaire nasce il 9 aprile del 1821, a Parigi. Lo ricordiamo oggi anche per il suo atteggiamento nei confronti della fotografia.

Siamo nel 1859. La Société Française de Photographie ottiene dal ministro delle Belle Arti che ai fotografi venga concesso di esporre al Palazzo dei Champs-Elysées in occasione del Salon annuale di pittura.
Baudelaire recensì quella mostra. Ecco cosa disse: «…Se si permette alla fotografia di sostituire l’arte in qualcuna delle sue funzioni, essa l’avrà presto soppiantata o corrotta completamente … Bisogna dunque che essa ritorni al suo vero compito, che è d’essere serva delle scienze e delle arti, ma la più umile serva, come la stampa o la stenografia, che non hanno né creato né sostituito la letteratura. Che arricchisca essa rapidamente l’album del viaggiatore e restituisca ai suoi occhi la precisione che potrebbe mancare alla sua memoria, che essa abbellisca la biblioteca del naturalista, ingrandisca gli animali microscopici; rafforzi con qualche informazione le ipotesi dell’astronomo; che essa sia infine il segretario e il taccuino di chiunque abbia necessità nella sua professione di un’assoluta esattezza materiale, fin qui nulla di meglio. Che salvi dall’oblio le rovine cadenti, i libri, le stampe e i manoscritti che il tempo divora, le cose preziose di cui va sparendo la forma e che chiedono un posto negli archivi della nostra memoria, essa sarà ringraziata e applaudita. Ma se le si permette d’invadere il dominio dell’impalpabile e dell’immaginario, soprattutto ciò che vale perché l’uomo vi a aggiunto qualcosa della sua anima, allora sventurati noi!». (Fonte: Beaumont Newhall, “Storia della Fotografia”, edizioni Einaudi).

Baudelaire con le sue parole non condanna la fotografia, anzi; in un certo senso ne è affascinato per via delle potenzialità possedute nel riprodurre il reale. Non la vuole come forma d’arte, in un contrasto che spesso incontriamo anche oggi nelle parole di tanti pensatori.

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I SEGRETI DI TWIN PEAKS

8 aprile 1990. Negli USA, sulla rete ABC, viene trasmessa la prima puntata della serie “I Segreti di Twin Peaks”. Ideato e diretto da David Lynch, raggiunge subito un ampio successo. L’ultima puntata sarebbe andata in onda il 10 giugno 1991 (il giorno 11, in Italia).

Tutto parrebbe incentrato su un mistero avvenuto in una piccola cittadina, dove una studentessa viene rinvenuta morta. Twin Peaks, però, rivela molto di più, perché come in un cocktail mescola abilmente il giallo, il thriller, con una “spruzzatina” di soprannaturale e comicità. I personaggi che si susseguono sono uno più strano e singolare dell’altro.
Anche la colonna sonora divenne iconica, l’elemento introduttivo per la tensione del mistero. Portava la firma di Angelo Badalamenti. Pare che Lynch fosse di fianco al musicista mentre componeva “The Laura Palmer Theme”, un brano della colonna sonora. Gli avrebbe detto: «Ok Angelo, adesso siamo seduti in un bosco buio e c’è un lieve vento che soffia attraverso gli alberi di sicomoro. E c’è la luna e qualche verso di animale in sottofondo e puoi ascoltare il bubolato di un gufo».

Lynch è un’artista poliedrico, contaminato, abile ricercatore in più di una disciplina. Lui è regista, sceneggiatore, pittore, musicista, fotografo, designer. Pur venendo considerato (a ragione) un simbolo del cinema, nelle sue pellicole è riconoscibile l’influenza delle altre arti, in una profonda coerenza di fondo.

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OSCAR A JOHN WAYNE

7 aprile 1970. Nonostante il numero di film interpretati, John Wayne vince finalmente il suo primo e unico Oscar. Il premio come migliore attore protagonista gli viene assegnato per il film "Il Grinta" diretto dal regista Henry Hathaway.

A partire dal film "Ombre rosse" (1939), il suo primo grande successo, il ruolo che interpretava John Wayne giustificava una certa America: attuativa e sbrigativa, burbera a volte, che avrebbe voluto far emergere la sensibilità dei buoni. In realtà dietro quella facciata retorica si è sempre nascosto un conservatorismo ostinato e cieco: indiani cattivi e pericolosi di fronte a dei conquistatori portatori di civiltà. A vincere è sempre stato il coraggio, l’onore, anche l’amore, per una frontiera (il west) fatta per i duri.

John Wayne però piaceva, molto; anche al cospetto del pubblico femminile. La sua camminata era unica, come il sorriso ironico di fronte a una bella donna.
Dell’attore vogliamo ricordare un altro film cult, “Un uomo tranquillo” (1952), una commedia ambientata in Irlanda e non nel West americano. La pellicola venne presentata alla 13ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e viene ricordata per la più epica scazzottata della storia del cinema. Onore amicizia e amore emergono comunque con forza, come in tutte le interpretazioni dell’attore americano.

La carriera di John Wayne merita comunque rispetto, anche se storciamo un po’ il naso di fronte al suo conservatorismo esaltato. Erano altri tempi, lasciamo stare.

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TERREMOTO ALL'AQUILA

E’ lunedì 6 ottobre, sono le 3,32 della notte: la terra sotto l’Aquila trema, procurando danni ingenti. Il volto della città cambierà totalmente. Quella che abbiamo citato è stata la scossa principale, ma l’attività sismica nel territorio era iniziata nel 2008, per terminare nel 2012. Nelle 48 ore dopo la scossa principale, si registrarono altre 256 repliche, delle quali più di 150 nel giorno di martedì 7 aprile. Tre eventi di magnitudo superiore a 5,0 avvennero il 6, il 7 e il 9 aprile.

L’evento appena citato è stato documentato a fondo da Gianni Berengo Gardin, con una serie di fotografie esposte in una mostra che si è tenuta presso il Museo di Roma in Trastevere dal 27 settembre all’11 novembre 2012. L’esposizione portava il titolo “L’Aquila prima e dopo”.
Come si legge nel comunicato stampa, ll rapporto tra Gianni Berengo Gardin e L’Aquila risaleva a molti anni prima, quando il fotografo aveva immortalato il calore della gente e la straordinaria architettura della città. Dopo anni di lavoro sul posto, è tornato per testimoniare con le proprie fotografie lo stato in cui era ridotta, dopo il terremoto, una città bloccata e ferita, con un centro storico trafitto da impalcature, nascosto da teli e travi, strade una volta brulicanti di suoni e di vita, ora deserte.

Oltre alla documentazione delle condizioni in cui L’Aquila versa dopo il sisma, con le sue immagini Berengo Gardin ha compiuto un raffronto diretto, duro e inevitabile, tra il prima e il dopo. Un atto doloroso, ma dovuto, nei confronti di chi quotidianamente vive esiliato dalla propria vita, in un tessuto urbano che non lo rappresenta più.
Il fotografo ligure ha tracciato un ritratto sentito, vibrante e attento, della realtà sociale di una città ferita che è diventata il simbolo del nostro paese.

La mostra romana era accompagnata da un catalogo dal titolo “L’Aquila prima e dopo”, edizioni Contrasto (2012). Leggiamone la sinossi. Le immagini di questo libro, realizzate a più riprese dal 1995 al 2011, sono la documentazione precisa e appassionata della città dell'Aquila, offesa dal terribile terremoto del 2009. Gli spazi cittadini, affollati prima e deserti dopo il sisma, le strade vuote, i monumenti ormai fragili simulacri di quel che erano, la popolazione aquilana e il dramma che sta vivendo in questo difficile periodo, sono il soggetto di questo toccante reportage che con partecipazione e sincero affetto Gianni Berengo Gardin ha composto per noi, fotografia dopo fotografia.

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