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L’ULTIMO GIORNO …

Il 18 agosto è l’ultimo giorno per aspettare, perché domani si festeggerà il Compleanno della Fotografia. La rincorsa era iniziata a inizio 1839.

Il 7 Gennaio di quell’anno un politico (Arago) annunciava l’invenzione di L. Daguerre (il dagherrotipo, appunto), che sarebbe stata poi presentata in Agosto. Quell’annuncio scatenò molta confusione, soprattutto tra i tanti padri della fotografia. Henry Fox Talbot, secondo noi il vero inventore, scrisse in Francia per informare delle sue scoperte. Lui, che aveva sognato la fotografia durante i soggiorni sul Lago di Como, si vedeva defraudato delle proprie ricerche. Anche sua madre lo redarguiva per questo. Ebbene, per tornare alla storia, il 25 Gennaio 1839 Michael Faraday (quello della gabbia) mostrava ai membri della Royal Institution, di Londra, i disegni fotogenici di William Henry Fox Talbot.
Sappiamo come andò a finire. A Daguerre arrivò il merito circa l’invenzione della fotografia, in Agosto; e alla Francia quello di aver segnato una data nella storia. Ma qui dobbiamo dedicare un applauso a Fox Talbot, che ci ha restituito i vagiti della fotografia come noi la conosciamo: il negativo di carta (uno scatto per tante copie) e il primo libro fotografico (The Pancil of Nature). Onore al merito.
Insomma, con il dagherrotipo prendeva vita il primo processo fotografico al mondo. Nasceva così la fotografia e poco importa se alcuni la considerassero come un mestiere per artisti mancati (Baudelaire in testa). La «scrittura con la luce» in certi ambiti avrebbe soppiantato pennelli e disegni, permettendo una nuova metodica circa la visione del mondo: quella della riproducibilità e della perfetta aderenza alla realtà.

Da subito, in quel 1839, nacque anche la “consumerizzazione” della fotografia. Nell’agosto della presentazione, si poteva trovare in commercio la fotocamera per ritrarre le proprie immagini: la Giroux Daguerre, la prima fotocamera a essere prodotta al mondo. L’invenzione dello scatto aveva messo in moto immediatamente la produzione (o l’industria, come avremmo detto dopo). A proposito: Giroux era cognato di Daguerre.
Sembra quasi il lancio di un prodotto moderno! La stessa presentazione in anticipo (da gennaio ad agosto) assomiglia molto a quanto accade oggi per gli iPhone prima della commercializzazione.

Da mesi, non si fa che parlare dell’intelligenza artificiale. Non vogliamo approfondire l’argomento, anche perché stiamo studiando. Certo è che il nuovo poggia su quanto esiste già, ne fa uso; mentre a metà ‘800 la fotografia rappresentava una novità assoluta: meravigliosa e stupefacente. Scattare il vero per rappresentarlo diventò una nuova metodica offerta all’uomo per raccontarsi e narrare. Nulla sarebbe stato più come prima: una rivoluzione epocale.

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UN FRANCOBOLLO PER TINA

Il 17 Agosto 1896 nasce Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, meglio conosciuta come Tina Modotti, fotografa e attrice italiana.
Abbiamo parlato della fotografa quattro anni addietro. Oggi ci preme ricordare che il 30 Giugno del 1978 le Poste Italiane mettevano in corso un francobollo che ricordava la fotografia, con impressa nel valore bollato un'immagine di Tina Modotti. Si trattava di un valore bollato celebrativo delle Poste italiane dedicato all'Informazione fotografica; e veniva rappresentata l'opera "Fili telefonici" di Tina Modotti (Messico 1925), con in alto a destra la figura stilizzata di un obiettivo fotografico.
Vale la pena ricordare che un francobollo commemorativo rappresenta in tutti i Paesi del mondo il riconoscimento più alto che uno stato può attribuire ad una personalità.

Assunta Adelaide Luigia Modotti, Tina, nasce nel Borgo Pracchiuso a Udine, da una famiglia operaia aderente al socialismo della fine Ottocento. Il padre, Giuseppe, era meccanico e carpentiere, la madre Assunta Mondini cucitrice.
Tina ha solo due anni quando la sua famiglia emigra in Austria per cercare lavoro. Nel 1905 tornano a Udine e Tina frequenta con profitto le prime classi della scuola elementare. A dodici anni lavora come operaia in una filanda per contribuire al mantenimento della numerosa famiglia (sei fratelli). Lo zio Pietro Modotti ha uno studio fotografico e qui Tina apprende elementi di fotografia frequentandolo.
Nel giugno 1913 lasciò l’Italia e l’impiego nella Fabbrica Premiata Velluti, Damaschi e Seterie Domenico Raiser, per raggiungere il padre, emigrato a San Francisco, dove lavorò in una fabbrica tessile e si dedicò al teatro amatoriale, recitando anche D’Annunzio, Goldoni e Pirandello. Nel 1918 si sposò con il pittore Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey. I due si trasferirono a Los Angeles per inseguire la carriera nell’industria del cinema. L’esordio della Modotti è nel 1920, con il film The Tiger’s Coat, per il quale venne acclamata anche per il suo “fascino esotico”. Grazie al marito conobbe il fotografo Edward Weston e la sua assistente Margrethe Mather. Nel giro di un anno, la Modotti divenne la sua modella preferita e, nell’ottobre 1921, sua amante. Quello stesso anno il marito Robo rispose a questa relazione trasferendosi in Messico, seguito a breve dalla moglie che, però, giunse a Città del Messico quando egli era morto ormai da due giorni, a causa del vaiolo (9 febbraio 1922). Nel 1923, ritornò nella capitale messicana con Weston ed uno dei suoi quattro figli, lasciandosi indietro il resto della sua famiglia.

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3 DAYS OF PEACE AND MUSIC

Il festival di Woodstock si svolse a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, dal 15 al 18 agosto del 1969, all’apice della diffusione della cultura hippy, che si voleva riunire con “3 days of peace and music”- Alla fine, fu l’ultima grande manifestazione del movimento.
Sono passati 56 anni, eppure il mito di Woodstock resta saldamente in piedi. Anzi con il passare del tempo è cresciuto a dismisura, trasformando i "tre giorni di pace e musica" nel “festival che non finisce mai”: perché la sua musica continua a circolare, a farsi ascoltare, facendosi apprezzare da generazioni sempre nuove.
La rivoluzione, dopo Woodstock, non c'è stata. Non importa, comunque; ma quei tre giorni sono esistiti davvero, e la musica che li ha accompagnati resta ancora con noi, con tutta la sua forza, la sua libertà, l'assenza di ogni spettacolarizzazione.
Sul palco dell’evento si esibirono, tra i tanti: Richie Havens, Joan Baez, Santana, Janis Joplin, Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, The Who, Jefferson Airplane, Blood Sweat & Tears, Crosby, Stills, Nash & Young, Joe Cocker. Circa quest’ultimo ci sembra giusto spendere qualche parola in più.

Il 17 agosto 1969, durante il Festiva di Woodstock, Joe Cocker tenne una delle esibizioni più leggendarie nella storia del rock and roll. Il cantante dalla voce roca era un nome relativamente nuovo all'epoca. Sebbene le sue esibizioni includessero prevalentemente “cover” di altri artisti, a renderlo famoso è stata la prepotenza fisica ed emotiva con la quale le ha reinterpretate.
L'essenza dell'eredità di Cocker, quella che lo renderà eterno, è forse meglio descritta dall'ultima canzone dal palco di Woodstock: una versione completamente rinnovata (quasi irriconoscibile) di "With a Little Help from my Friends", assolutamente fisica ed emotiva.
La versione registrata di Cocker della canzone è arrivata al primo posto nelle classifiche del Regno Unito. Alla fine diciamolo, ascoltare "With A Little Help From My Friends" di Cocker mette i brividi ancora oggi: magari di notte, in auto, quando si è alla ricerca di quel posto che solo tu puoi riconoscere.

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UNA FESTA CHE CI APPARTIENE

In un certo senso l’abbiamo inventata noi: si tratta della festività del Ferragosto, quella che si celebra il 15 del mese. L’hanno introdotta i romani, ai tempi di Augusto; e allora sanciva la fine del lavoro nei campi. Anche la religione cattolica ha detto la sua, introducendo il giorno dell’Assunta. Nel resto del mondo, il 15 agosto è un giorno come un altro.

E allora, godiamocela questa giornata: con amici, parenti o anche assieme al vicino d’ombrellone. L’estate è al culmine e gira la boa, per cui il riposo augusteo deve sentirci tutti partecipi, quasi abbracciati (virtualmente) lungo le coste, sui laghi o passeggiando in montagna.

Il libro sul comodino l’abbiamo quasi dimenticato, la TV trasmette cose già viste, le radio parlano spesso di ieri e degli anni trascorsi. Il 15 agosto ripropone se stesso, con istanti che ci inseguono, accumulandosi sulle nostre spalle. Trattandosi di una festività quasi “inventata”, priva di un suo rito, siamo maggiormente padroni del nostro tempo, più responsabili verso noi stessi. Ne ricordiamo i tormentoni musicali, le località visitate, le promesse non mantenute, gli amori, i treni che partono, le code in autostrada, il caldo. Diversamente dalle altre festività, ci accorgiamo di essere cambiati, con i figli più grandi e gli amici (ma anche noi) appesantiti da qualche chilo in più.

Prendiamola con filosofia e ascoltiamo Pavese (La bella estate). «A quei tempi era sempre festa. «Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline».

La fotografia può venirci in aiuto e, quasi terapeuticamente, confidiamo che in tanti vogliano ritrarre gli attimi di questo 15 agosto, mettendo assieme amici, parenti, ricordi, incontri nuovi, orizzonti mai visti prima. E’ un giorno nostro: merita quello scatto.

Buon Ferragosto a tutti i lettori.

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