Skip to main content

[NASCE IL JUKEBOX]

23 novembre 1890 – Il primo jukebox entra in funzione nel Palais Royale Saloon di San Francisco. E’ l’inizio di un’era, perché la musica diventava ascoltabile in luoghi prima sordi (e muti), semmai abitati da un pianoforte che suonava da solo o strimpellato da un musicista solitario. “Non sparate al pianista”, diceva un detto; anche perché lui voltava le spalle al locale, avulso da qualsiasi accadimento. Il jukebox no: iconicamente colorato e luminoso, aveva un suo spazio, davanti al quale si poteva anche ballare. Bastava una monetina per cambiare un’atmosfera, riascoltando quel brano già apprezzato per radio. Ecco, sì: col jukebox la musica trovava un altro trasduttore, sociale e collettivo, in compagnia del quale innamorarsi e amare, perché anche lì si andava a finire con la musica, da sempre complice degli ardori giovanili.

50 Lire, un brano; 100 Lire, tre: questi, a memoria, erano i prezzi del jukebox a fine anni ’60. Due monetine che poi diventavano l’unità di misura del divertimento analogico del tempo: il bigliardino (o calcio Balilla) e il flipper. Il jukebox, però, era un’altra cosa: emanava magnetismo già alla vista. Era bello leggerne i titoli, con quella ragazza che si avvicinava per suggerirti un brano. E poteva accadere in ogni dove, anche perché quella “macchina del suono” abitava i bar di periferia, ma anche i locali più rinomati: allo stesso prezzo.

Tanto era famoso il jukebox che ha raggiunto quasi un valore simbolico: a identificare un periodo o quel particolare momento. Lo troviamo in “Giungla d'asfalto”, un film del 1950, a firma di John Huston, tratto dall’omonimo romanzo di W. R. Burnett del 1949. Tra l’altro è ricordato anche per aver lanciato la carriera di Marilyn Monroe, presente in un piccolo ruolo attraverso il quale riuscì a catturare l'attenzione della stampa e del pubblico. Nella pellicola, Il "dottore" (personaggio malavitoso della trama) tenta la fuga in taxi, ma commette l'errore di fermarsi per una sosta in un locale; e perde tempo nell’ammirare una giovane ragazza che balla alla musica di un jukebox.

Ricordare la trasmissione Happy Days diventa quasi banale. Già durante la sigla faceva bella mostra di sé un jukebox, a simboleggiare quel periodo post-bellico felice di Milwaukee, tra locali tipici, automobili strane e casette alto borghesi. In realtà la serie televisiva venne girata a Los Angeles, ma poco conta: il rock 'n' roll usciva limpido e preciso, avulso da confini geografici o culturali. Il jukebox era ovunque.

Trovare un fotografo che avesse ritratto un jukebox non è stato difficile. E’ bastato ricordare “Gli Americani” di Robert Frank per riconoscere, a memoria, almeno tre immagini dove sarebbe comparsa la “macchina dei dischi”; tra l’altro negli scatti del fotografo svizzero appare quasi come un oggetto d’arredamento, privato della retorica musicale. Un ragazzo giovane lo sta utilizzando, ma è solo, per via della sua situazione sociale.

Un’ultima riflessione va fatta. E’ bello ricordare la monetina che scendeva nell’apparecchio, con quel braccio meccanico a cercare il brano prescelto. Un fruscio consistente precedeva la musica, che dopo copriva tutto: compresi i rumori analogici di un mondo fatto a interruttori. Oggi con due cuffie e un telefono si può ascoltare tutto, troppo; ma forse è meglio così.

Il fotografo

Robert Frank è nato a Zurigo il 9 novembre 1924. Fotografo esperto, si è recato a New York per la prima volta nel 1947, iniziando a lavorare presso lo studio fotografico di Harper's Bazaar. Ha lavorato per diversi anni tra l'Europa e gli Stati Uniti e nel 1950 Edward Steichen lo invitò a partecipare alla mostra “51 American Photographers at Museum of Modern Art di New York”. Frank ha prestato servizio, come freelance, per Life, McCall's, Look, Vogue e altre riviste.

Nel 1955, è stato il primo europeo a ricevere una prestigiosa borsa di studio Guggenheim, con la quale ha finanziato un viaggio attraverso l'America. Il risultato fu il libro fotografico The Americans (1959), ottenuto scattando quasi 30.000 fotografie. Il volume fu pubblicato a Parigi, prima di essere pubblicato negli Stati Uniti nel 1959 con un'introduzione del romanziere Beat Jack Kerouac. Angoli obliqui, figure tagliate e movimenti sfocati divennero i tratti distintivi di un nuovo stile fotografico che avrebbe cambiato il corso della fotografia del dopoguerra. Nelle foto del nostro non troviamo il “Sogno Americano”, ma le speranze calpestate dalla lotta quotidiana per sopravvivere: pur in una nazione (gli USA) che stava manifestando il proprio lato migliore. Sono i “battuti” a venir fuori nelle immagini di Frank (beat, appunto), con tutto il loro racconto, tra tragedia e contraddizione. Per questo Robert Frank può essere considerato a buon titolo il fotografo della beat generation.

Le fotografie di Frank sono state esposte a livello internazionale: a Les Rencontres d’Arles (2018); all’Art Institute of Chicago (2017); al Museum Folkwang, Essen (2014) e alla Tate Modern, Londra (2004). Robert Frank ha vissuto a New York e in Nova Scozia, Canada, dove è morto il 9 settembre 2019.

Le fotografie

Café, Beaufort, South Carolina, 1955. Photo by Robert Frank. From The Americans.

Man at jukebox, 1958. Photo by Robert Frank. From The Americans

23 novembre 1890, jukebox, Robert Frank

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...