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NASCE JEAN COCTEAU

Jean Cocteau nasce il 5 luglio 1889 a Maisons-Laffitte, vicino Parigi. E’ stato un poeta, librettista, romanziere, attore, regista e pittore francese.
Oggi incontreremo tre personaggi di rilievo: un artista e due fotografi; ma soprattutto sentiremo parlare (poco, a dire il vero) di Parigi, la città che li ha accomunati.

Cocteau è cresciuto a Parigi e si è sempre considerato parigino per linguaggio, educazione, idee e abitudini. La sua famiglia apparteneva alla solida borghesia parigina: colta, ricca e interessata alla musica, alla pittura e alla letteratura.
Cocteau fu il prodotto degli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, quelli dal gusto artistico raffinato, privi di disordini politici. La sua vera esplorazione del mondo del teatro iniziò quando incontrò i Ballets Russes, allora sotto la direzione di Sergey Diaghilev.

Durante la prima guerra mondiale, Cocteau prestò servizio come autista di ambulanze sul fronte belga. Il paesaggio che osservò fu utilizzato nel suo romanzo Thomas l'Imposteur (1923). Divenne amico dell'aviatore Roland Garros, al quale dedicò le prime poesie ispirate all'aviazione (1919; Il Capo di Buona Speranza). A intervalli nel corso degli anni 1916 e 1917, Cocteau entrò nel mondo dell'arte moderna, che nasceva allora a Parigi; nel quartiere bohémien di Montparnasse, incontrò pittori come Pablo Picasso e Amedeo Modigliani e scrittori come Max Jacob e Guillaume Apollinaire.

La dipendenza dall'oppio, provocata dal dolore di Cocteau per la morte della sua amante, richiese un periodo di cura. Jacques Maritain, un filosofo francese, fece la sua prima visita a Cocteau nel sanatorio. Attraverso Maritain, Cocteau ritorna brevemente alla pratica religiosa. Queste complesse esperienze diedero inizio a un nuovo periodo della sua vita, durante il quale realizzò alcune delle sue opere più importanti.
Il romanzo Les Enfants terribili, scritto nell'arco di tre settimane nel marzo 1929, è lo studio dell'inviolabilità del carattere di due adolescenti, il fratello e la sorella Paul ed Elisabeth. Nel 1950 Cocteau preparò la sceneggiatura di un film su quest'opera, e fu anche il narratore del film.

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NASCE VITTORIO ALINARI

Vittorio Alinari nasce a Firenze il 4 luglio 1859. Prima di parlare di lui e della storia della sua famiglia, occorre soffermarsi su due notizie importanti.

Il 4 luglio 1776 il Congresso continentale, ossia l’assemblea dei 56 delegati provenienti dalle 13 colonie britanniche in terra d’America (New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia) adottò la Dichiarazione di Indipendenza, eliminando ogni vincolo di dipendenza politica dalla Gran Bretagna. Nascono gli USA. Gli inglesi riconobbero l’autonomia statunitense nel 1783 e nel 1787 la Convenzione di Filadelfia adottò l’attuale Costituzione degli Stati Uniti.
Una curiosità: a Filadelfia la squadra di basket (milita nella NBA) porta il nome Philadelphia 76ers a memoria del 4 luglio 1776.

Il 4 luglio è una data importante anche qui da noi, soprattutto per gli appassionati di fotografia: nasce Ferdinando Scianna. Lui si avvicina alla fotografia negli anni sessanta, raccontando con le immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Col tempo, arriveranno l’attualità, la guerra, la notizia, la gente, la moda; ecco quindi Bagheria e le Ande Boliviane, con quel lungo sentiero dal quale ha saputo raccontare, sempre, con lucidità e rigore. Fanno da contrappunto, nel suo corpus fotografico, i ritratti dei suoi amici, maestri d’arte e di cultura: Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges e tanti altri.
Di Scianna ammiriamo anche gli scritti, i tanti libri di saggistica dedicati alla fotografia e al suo mondo. Del suo parlare con la penna ci piace l’idea, lo stile, la cultura, le riflessioni indotte. Come con le immagini, Lui ci accompagna fino all’ultimo chilometro, per poi lasciarci da soli sul sentiero della comprensione.
Grazie Ferdinando, auguri.

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RITORNO AL FUTURO

3 luglio 1985. Esce nelle sale cinematografiche statunitensi il film Ritorno al Futuro.

Ritorno al futuro (Back to the Future) è un film diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Michael J. Fox e Christopher Lloyd. Primo episodio della trilogia omonima, è considerato un’icona del cinema degli anni ottanta e ha riscosso un enorme successo a livello internazionale. La pellicola ha ricevuto il premio Oscar al miglior montaggio sonoro (forse un po’ poco). Nel 2007 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Nella colonna sonora spicca un brano di Huey Lewis and the News: “The Power of Love”, presente più volte all'inizio della pellicola. Durante il film, il cantante Huey Lewis appare in un fugace cameo, nel ruolo del professore che sceglie i gruppi che suoneranno alla festa della scuola. Ironicamente, il professore boccia l'audizione di Marty, che gli propone proprio una sua versione di “The Power of Love”. «Mi dispiace ragazzi, siete troppo rumorosi», dice Huey. Nel film c’è anche un cameo musicale di Eddie Van Halen, il chitarrista dei Van Halen: l’assolo di chitarra con cui Marty spaventa suo padre durante la notte (negli anni ’50) è del musicista, che l’ha realizzato appositamente per il film.

Come in ogni film americano che si rispetti (peraltro con lo zampino di Steven Spielberg nella produzione), tutto funziona: sceneggiatura, fotografia; ma anche scelta degli attori, dialoghi, camei, musica, ironia precisa e ben motivata. Il viaggio temporale c’è, importante peraltro. Marty andrà a incontrare i genitori, giovanissimi ma già delineati, nel carattere, per come li ha conosciuti nella vita reale. Riuscirà anche a modificarne il destino, per un finale lieto, già volto al futuro.

C’è l’America degli anni ’50, nel film: quella di Happy Days, per intenderci; o anche quella delle periferie lussuose (le suburbia, come nel progetto fotografico di Bill Owens, uno dei più grandi autori negli USA del dopoguerra). E quegli anni “americani” piacciono, ancora oggi; perché forse da noi non li abbiamo mai visti, impegnati com’eravamo nell’alimentare il boom economico, mentre ci raccontavamo con il neorealismo.
C’è tanto dell’altro, nel film; e lo si scova lentamente. Marty, alla festa della scuola dei suoi genitori (giovani) suona Johnny B. Goode, di Chuck Berry. Il sound è nuovo, per i tempi; e un membro del complesso telefona a suo cugino per parlargli della novità, chiamandolo appunto Chuck. Non solo, la scritta CRM114 che si vede su un amplificatore per chitarra (a inizio film), è un omaggio al film di Stanley Kubrick “Il Dottor Stranamore”, che aveva una radio con lo stesso nome ed era uno dei film preferiti di Robert Zemeckis.

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PRESENTATA LA FIAT 500

2 luglio 1957. Torino: al circolo Sporting viene presentata ufficialmente la Fiat 500.

La nuova 500 (così si chiamava) costava 490.000 lire, tredici stipendi di un operaio, dieci di un impiegato. L’Italia continuava a motorizzarsi, affiancando un modello economico alla già conveniente 600, presentata a Ginevra il 9 marzo 1955.
Nei primi anni di vita, la Fiat 500 compare un po’ ovunque nel cinema italiano (ma anche francese), tanto che nel 1962 finisce al fianco di Franco e Ciccio ne “I Motorizzati”; diventa l’oggetto del desiderio anche per Alberto Sordi ne “Il Boom” diretto da Vittorio De Sica, uscito nel 1963 e la ritroviamo nella pellicola “Io la conoscevo bene” del 1965 con Stefania Sandrelli. Siamo in pieno boom, il PIL cresce a due cifre; ma alla 500 non possiamo attribuire un ruolo unicamente simbolico e nemmeno nostalgico. La piccola auto circola ancora, al di là dei raduni degli appassionati. Si calcola che in Italia ogni giorno ne vadano in moto quattrocentomila, anche solo per fare la spesa o comprare le sigarette. La sua affidabilità ne ha determinato la longevità, anche perché le complicazioni erano veramente poche: due cilindri, raffreddamento ad aria, spinterogeno, dinamo e non tanto di più.

Molti di noi, tra gli attempati, l’anno avuta, anche perché era l’auto per iniziare, spesso ereditata da un parente. Di certo tutti ci siamo saliti su, almeno quelli di una certa età: un amico che la possedesse esisteva sempre.
E’ bello ripensare al riscaldamento (la leva per comandarlo era sotto il sedile posteriore) o alla piccola capote, oppure a quella “doppietta” che occorreva fare perché il cambio non grattasse, quando si andava in scalata. Chiudendo gli occhi, si può anche immaginare di tornare alla guida della piccola utilitaria. Basterebbe girare la chiave sul cruscotto e tirare una delle due leve poste tra i sedili (quella di destra, l’altra era lo starter). L’auto oscillerebbe per un istante, mettendosi poi a cantare con un sonoro inconfondibile, ritmico.
Tempi belli, che è giusto non rimpiangere. Oggi c’è di meglio, ma un giretto sul “cinquino” lo faremmo volentieri. Tecnologia a parte, i vent’anni sarebbero più vicini del ricordo. Saremmo ancora in grado di salirci sopra? E poi di scendere? Chissà!

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