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3 DAYS OF PEACE AND MUSIC

Il festival di Woodstock si svolse a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, dal 15 al 18 agosto del 1969, all’apice della diffusione della cultura hippy, che si voleva riunire con “3 days of peace and music”- Alla fine, fu l’ultima grande manifestazione del movimento.
Sono passati 56 anni, eppure il mito di Woodstock resta saldamente in piedi. Anzi con il passare del tempo è cresciuto a dismisura, trasformando i "tre giorni di pace e musica" nel “festival che non finisce mai”: perché la sua musica continua a circolare, a farsi ascoltare, facendosi apprezzare da generazioni sempre nuove.
La rivoluzione, dopo Woodstock, non c'è stata. Non importa, comunque; ma quei tre giorni sono esistiti davvero, e la musica che li ha accompagnati resta ancora con noi, con tutta la sua forza, la sua libertà, l'assenza di ogni spettacolarizzazione.
Sul palco dell’evento si esibirono, tra i tanti: Richie Havens, Joan Baez, Santana, Janis Joplin, Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, The Who, Jefferson Airplane, Blood Sweat & Tears, Crosby, Stills, Nash & Young, Joe Cocker. Circa quest’ultimo ci sembra giusto spendere qualche parola in più.

Il 17 agosto 1969, durante il Festiva di Woodstock, Joe Cocker tenne una delle esibizioni più leggendarie nella storia del rock and roll. Il cantante dalla voce roca era un nome relativamente nuovo all'epoca. Sebbene le sue esibizioni includessero prevalentemente “cover” di altri artisti, a renderlo famoso è stata la prepotenza fisica ed emotiva con la quale le ha reinterpretate.
L'essenza dell'eredità di Cocker, quella che lo renderà eterno, è forse meglio descritta dall'ultima canzone dal palco di Woodstock: una versione completamente rinnovata (quasi irriconoscibile) di "With a Little Help from my Friends", assolutamente fisica ed emotiva.
La versione registrata di Cocker della canzone è arrivata al primo posto nelle classifiche del Regno Unito. Alla fine diciamolo, ascoltare "With A Little Help From My Friends" di Cocker mette i brividi ancora oggi: magari di notte, in auto, quando si è alla ricerca di quel posto che solo tu puoi riconoscere.

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UNA FESTA CHE CI APPARTIENE

In un certo senso l’abbiamo inventata noi: si tratta della festività del Ferragosto, quella che si celebra il 15 del mese. L’hanno introdotta i romani, ai tempi di Augusto; e allora sanciva la fine del lavoro nei campi. Anche la religione cattolica ha detto la sua, introducendo il giorno dell’Assunta. Nel resto del mondo, il 15 agosto è un giorno come un altro.

E allora, godiamocela questa giornata: con amici, parenti o anche assieme al vicino d’ombrellone. L’estate è al culmine e gira la boa, per cui il riposo augusteo deve sentirci tutti partecipi, quasi abbracciati (virtualmente) lungo le coste, sui laghi o passeggiando in montagna.

Il libro sul comodino l’abbiamo quasi dimenticato, la TV trasmette cose già viste, le radio parlano spesso di ieri e degli anni trascorsi. Il 15 agosto ripropone se stesso, con istanti che ci inseguono, accumulandosi sulle nostre spalle. Trattandosi di una festività quasi “inventata”, priva di un suo rito, siamo maggiormente padroni del nostro tempo, più responsabili verso noi stessi. Ne ricordiamo i tormentoni musicali, le località visitate, le promesse non mantenute, gli amori, i treni che partono, le code in autostrada, il caldo. Diversamente dalle altre festività, ci accorgiamo di essere cambiati, con i figli più grandi e gli amici (ma anche noi) appesantiti da qualche chilo in più.

Prendiamola con filosofia e ascoltiamo Pavese (La bella estate). «A quei tempi era sempre festa. «Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline».

La fotografia può venirci in aiuto e, quasi terapeuticamente, confidiamo che in tanti vogliano ritrarre gli attimi di questo 15 agosto, mettendo assieme amici, parenti, ricordi, incontri nuovi, orizzonti mai visti prima. E’ un giorno nostro: merita quello scatto.

Buon Ferragosto a tutti i lettori.

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TRE COMPLEANNI E UN BACIO

I tre compleanni di oggi cadevano il 14 agosto, giorno nel quale, nel 1945, il marinaio baciava l’infermiera in Times Square nella famosa immagine scattata da Alfred Eisenstaedt; questo per dire che la fotografia ha sempre qualcosa da dire, seppure ripescata a caso dopo anni dal cassetto della nostra memoria. Ci farà ridere, piangere, meravigliare.
Le tre ricorrenze riguardavano Horst Paul Horst (1906), Willy Ronis (1910), Lucien Clergue (1934).

Il famoso bacio di Alfred Eisenstaedt è nella copertina del libro “50 icone della fotografia” di Hans-Michael Koetzle - Edizioni Taschen. All’interno si parla a lungo dello scatto e delle vicende a esso legate. Ci faremo aiutare dal volume.

Da “50 icone della fotografia” Le storie dietro gli scatti. Editore Taschen

New York, Times Square, 14 agosto 1945. Un giovane uomo bacia una giovane donna. A prestare fede alla fotografia, lui l’ha letteralmente ghermita in mezzo alla strada. Col braccio destro le cinge la vita, con il braccio sinistro piegato le tiene in posizione la testa e la bacia appassionatamente sulla bocca. La ragazza tenta di divincolarsi? Forse; ma ha il braccio destro incastrato tra il seno e il busto di lui, mentre la mano sinistra s’agita a mezz’aria all’altezza del fianco. La ragazza si è fatta bella per l’occasione, oppure indossa una divisa? In ogni caso è vestita tutta di bianco: bianco il vestito, bianche le scarpe, bianche le calze con la cucitura in evidenza che le segna la gamba. Pare che incespichi: ha perso l’equilibrio e porta indietro la gamba destra per bilanciarsi, il che conferisce alla fotografia un tocco di innegabile frivolezza. Le persone sullo sfondo osservano sorprese, ridono. Il dinamismo dell’azione scaturisce dalla tensione tra i due corpi. La fotografia, infatti, potrebbe anche essere interpretata come uno sfoggio di fascino e virile forza bruta ai danni della donna. La coppia, questo è certo, domina il centro della fotografia. Il messaggio è il bacio. Non si tratta di un bacio d’amore, ammesso che sia possibile stilare una classifica dei baci, ancorché vaga. E’ un bacio che esprime la gioia di vivere, l’esultanza. Si lega all’esaltazione di un momento storico, senza il quale probabilmente i due giovani non si sarebbero mai incontrati. Pochi istanti dopo s separeranno, forse si guarderanno negli occhi e si sorrideranno, per poi riprendere ognuno la propria strada e non incontrarsi mai più.

La guerra è finita, l’annuncio era arrivato da Radio Tokyo con le parole Hirohito. Non si trattava di una guerra qualunque, ma la più crudele, sanguinaria e devastante nella storia dell’umanità. Il conflitto non conosceva precedenti, anche dal punto tecnologico, culminato col lancio di due bombe atomiche. L’immagine di Eisenstaedt esprime a modo suo la gioia per la pace, espressa dall’esuberanza privata: un capolavoro per questo.

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SI ERIGE IL MURO DI BERLINO

13 agosto 1961: il governo della Germania Est inizia a far costruire un muro attorno ai tre settori occidentali di Berlino, per impedire la libera circolazione delle persone. Questo muro, lungo più di 155 km, dividerà la città creando la cosiddetta "striscia della morte". Il muro verrà abbattuto il 9 novembre 1989.
Notizie come queste si ripetono spesso, soprattutto nella nostra rubrica; ma forse è giusto così, perché la consapevolezza dell’accaduto non deve diluirsi. Ci sono persone che hanno visto chiudersi il sentiero di casa o la visuale dei vicini: tutto questo lentamente, una pietra sull’altra. Deve essere stato brutto, molto.

Nelle prime ore del 13 agosto del 1961 le unità armate della Germania dell'est interruppero tutti i collegamenti tra Berlino est e ovest e iniziavano a costruire, davanti agli occhi esterrefatti degli abitanti di tutte e due le parti, un muro insuperabile che avrebbe attraversato la città, dividendo le famiglie in due e tagliando la strada tra casa e posto di lavoro, scuola e università. Non solo a Berlino ma in tutta la Germania il confine tra est ed ovest diventò una trappola mortale. I soldati ricevettero l'ordine di sparare su tutti quelli che avessero cercato di attraversare la zona di confine che con gli anni fu attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione, e addirittura con degli impianti che sparavano automaticamente su tutto quello che si muoveva nella cosiddetta "striscia della morte".

Le cifre del “muro” fanno riflettere ancora oggi. Era lungo 106 Km e possedeva un’altezza media di quasi 4 metri. Contava 300 torri d’osservazioni solo a Berlino. Attraverso di esso sono fuggite a piedi 600 persone nei primi due mesi, alle quali vanno aggiunti circa 90 soldati usciti con lo stesso sistema. Ovviamente le fughe si sono susseguite nel tempo, anche con metodi curiosi: quali quelli che prevedevano doppi fondi nelle auto.
La fotografia che proponiamo fece il giro del mondo. E’ stata scattata da Peter Leibing che, appostato vicino al muro, aveva notato quel soldato che, per via del comportamento circospetto, forse avrebbe potuto saltare il filo spinato.
Nell’immagine, suggestiva sicuramente, c’è tutta la tensione di quei momenti. Le fortificazioni stavano per essere approntate, ma gli atteggiamenti erano i più disparati: chi stava a guardare, chi iniziava a fuggire, chi salutava gli affetti dall’altra parte.
Conrad (così si chiamava il fuggitivo della fotografia) decise di saltare. Per lungo tempo venne raggiunto dalle lettere dei familiari che lo esortavano a tornare, ma forse si trattava di false missive, inviate dalla polizia dell’est per braccare i fuggitivi. Dopo la caduta del muro, Conrad decise di tornare laddove era vissuto. Non trovò l’accoglienza che si aspettava. Non sappiamo se fu per questo, ma morirà suicida.

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