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INVADONO PRAGA

«Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita. Come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce». Per ricordare l’invasione di Praga abbiamo usato una strofa di una canzone scritta da Francesco Guccini, Primavera di Praga, un brano del 1970. Non è stata la fantasia ad aiutarci. Siamo in Appennino e dal balcone, nonostante le nuvole basse, siamo in grado d’intuire dove abiti il cantautore pavanese.

Sono le 23 del 20 agosto del 1968. Le truppe sovietiche varcano la frontiera cecoslovacca e puntano su Praga. L’invasione russa mette fine a ogni sogno di “primavera”.
Tornando al brano musicale, e agli accadimenti storici, con il termine Primavera di Praga s’indica quel periodo di timide riforme e liberalizzazione politica avvenuto in Cecoslovacchia nel 1968 sotto la guida dello slovacco Alexander Dubček (1921 - 1992). La risposta dell'Unione Sovietica, preoccupata dalla perdita di un alleato strategico per la Guerra Fredda, non si fece attendere: il 20 agosto del 1968 carri armati provenienti dagli altri paesi del Patto di Varsavia occuparono militarmente la capitale cecoslovacca.
Qualche mese dopo, come gesto di estrema protesta per la situazione del paese, lo studente Jàn Pàlach (1948 – 1969), citato nella canzone di Guccini, si diede fuoco in Piazza San Venceslao.

Josef Koudelka – giovane fotografo di talento nato in un piccolo paese in Moravia – è a Praga. Quell’alba del 21 agosto scende in strada come tutti e, con la sua macchina fotografica, scatta. Lo fa senza sosta, senza pausa, con il bisogno di farlo semplicemente perché è lì, nella città che conosce e dove vive. Il fotografo ha dichiarato: «Mi sono trovato davanti a qualcosa più grande di me. Era una situazione straordinaria, in cui non c’era tempo di ragionare, ma quella era la mia vita, la mia storia, il mio Paese, il mio problema».

Le foto raccontano i carri armati nelle strade, lo stupore e la rabbia di tanti che cercano di fermare la violenza anche solo con il proprio corpo, le manifestazioni, le case, il pianto e la disperazione. La documentazione di quell’estate tragica arriverà clandestinamente in America. Grazie alla complicità di Elliott Erwitt e Magnum Photos, le fotografie arriveranno al pubblico del mondo intero. Riceveranno anche il prestigioso Robert Capa Award, ma resteranno anonime fino al 1984 e la morte del padre, per evitare ripercussioni sui familiari rimasti in patria. Per anni al fine di proteggere l’incolumità di Koudelka, furono pubblicate anonime con la dicitura “fotografo praghese” (Photography by P.P.) ma ugualmente divennero una tra le testimonianze più forti del periodo, una traccia indelebile, un segno incancellabile nella storia.

Koudelka riuscì a lasciare la Cecoslovacchia il 20 Maggio del 1970. Tornerà in patria solo nel 1990, dopo la fine dell'occupazione e venti anni di esilio. Le sue immagini sono divenute simboli della resistenza, icone di quel tragico avvenimento e hanno contribuito a fare di Josef Koudelka uno dei fotografi più apprezzati al mondo.

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BUON COMPLEANNO FOTOGRAFIA

Il 19 agosto 1839 nasce la fotografia, con la relazione con la quale l’accademico François Jean Dominique Arago, influente uomo politico della Francia del tempo, offrì a Louis Jacques Mandé Daguerre l’ufficialità della sua invenzione (Il dagherrotipo). La stessa era stata annunciata il 7 gennaio, all’Académie des Sciences di Parigi. La Francia mette una “segno” sul calendario, regalando al mondo quel click che avrebbe fermato il tempo, in quell’attimo immortalato per l’eternità.

Ricordiamo Daguerre con un dettaglio, perché lui scattò (se si può dire) la prima immagine fotografica con degli esseri umani. Questa fu realizzata da Place de la République, guardando verso sud in direzione di Boulevard du Temple. Siamo nel 1838 e “l’impressione” viene considerata da molti esperti come la prima fotografia di Parigi.
Le strade appaiono vuote, circostanza strana per quel periodo storico. A causa della lunghissima esposizione necessaria, le persone e le carrozze che transitavano non rimasero impresse. Daguerre riuscì a immortalare due uomini nella lastra: un lustrascarpe e un suo cliente, che si trovavano all’angolo della strada. I loro nomi non sono conosciuti, ma diverse fonti riportano che il cliente fosse l’assistente di Daguerre, il quale volontariamente si fece lustrare le scarpe per un periodo lunghissimo, in modo da rimanere impresso nella lastra insieme al lustrascarpe.

La fotografia, comunque, festeggia tanti compleanni, sin da quando Joseph Nicéphore Niépce scattò un’immagine dalla veduta dalla sua finestra a Le Gras, utilizzando una lastra di peltro ricoperta di bitume di Giudea (1826). Nel 1841 l’inglese William Fox Talbot introdusse il negativo di carta, dando vita allo scatto riproducibile più volte.
Nel tempo, le candeline si sono accese per altre innovazioni: il rullino, il colore, le pellicole istantanee, le diapositive, il digitale; tanti testa – coda che hanno fatto evolvere la fotografia, rafforzandola potremmo dire, senza più farla tornare indietro.
Le invasioni barbariche digitali (scherziamo, ovviamente) hanno cambiato il nostro modo di vivere, modificando comportamenti, abitudini, addirittura cancellando strumenti e mestieri. La fotografia è rimasta solida al suo posto, testimone del tempo, quale strumento di conoscenza e documentazione. Le mostre sono sempre più frequenti e addirittura sono comparsi romanzi a tema fotografico. Insomma, l’immagine fissa dilaga, con sempre delle novità estratte dal cilindro: se ne ha voglia, la desideriamo. Tanti auguri, fotografia.

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L’ULTIMO GIORNO …

Il 18 agosto è l’ultimo giorno per aspettare, perché domani si festeggerà il Compleanno della Fotografia. La rincorsa era iniziata a inizio 1839.

Il 7 Gennaio di quell’anno un politico (Arago) annunciava l’invenzione di L. Daguerre (il dagherrotipo, appunto), che sarebbe stata poi presentata in Agosto. Quell’annuncio scatenò molta confusione, soprattutto tra i tanti padri della fotografia. Henry Fox Talbot, secondo noi il vero inventore, scrisse in Francia per informare delle sue scoperte. Lui, che aveva sognato la fotografia durante i soggiorni sul Lago di Como, si vedeva defraudato delle proprie ricerche. Anche sua madre lo redarguiva per questo. Ebbene, per tornare alla storia, il 25 Gennaio 1839 Michael Faraday (quello della gabbia) mostrava ai membri della Royal Institution, di Londra, i disegni fotogenici di William Henry Fox Talbot.
Sappiamo come andò a finire. A Daguerre arrivò il merito circa l’invenzione della fotografia, in Agosto; e alla Francia quello di aver segnato una data nella storia. Ma qui dobbiamo dedicare un applauso a Fox Talbot, che ci ha restituito i vagiti della fotografia come noi la conosciamo: il negativo di carta (uno scatto per tante copie) e il primo libro fotografico (The Pancil of Nature). Onore al merito.
Insomma, con il dagherrotipo prendeva vita il primo processo fotografico al mondo. Nasceva così la fotografia e poco importa se alcuni la considerassero come un mestiere per artisti mancati (Baudelaire in testa). La «scrittura con la luce» in certi ambiti avrebbe soppiantato pennelli e disegni, permettendo una nuova metodica circa la visione del mondo: quella della riproducibilità e della perfetta aderenza alla realtà.

Da subito, in quel 1839, nacque anche la “consumerizzazione” della fotografia. Nell’agosto della presentazione, si poteva trovare in commercio la fotocamera per ritrarre le proprie immagini: la Giroux Daguerre, la prima fotocamera a essere prodotta al mondo. L’invenzione dello scatto aveva messo in moto immediatamente la produzione (o l’industria, come avremmo detto dopo). A proposito: Giroux era cognato di Daguerre.
Sembra quasi il lancio di un prodotto moderno! La stessa presentazione in anticipo (da gennaio ad agosto) assomiglia molto a quanto accade oggi per gli iPhone prima della commercializzazione.

Da mesi, non si fa che parlare dell’intelligenza artificiale. Non vogliamo approfondire l’argomento, anche perché stiamo studiando. Certo è che il nuovo poggia su quanto esiste già, ne fa uso; mentre a metà ‘800 la fotografia rappresentava una novità assoluta: meravigliosa e stupefacente. Scattare il vero per rappresentarlo diventò una nuova metodica offerta all’uomo per raccontarsi e narrare. Nulla sarebbe stato più come prima: una rivoluzione epocale.

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UN FRANCOBOLLO PER TINA

Il 17 Agosto 1896 nasce Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, meglio conosciuta come Tina Modotti, fotografa e attrice italiana.
Abbiamo parlato della fotografa quattro anni addietro. Oggi ci preme ricordare che il 30 Giugno del 1978 le Poste Italiane mettevano in corso un francobollo che ricordava la fotografia, con impressa nel valore bollato un'immagine di Tina Modotti. Si trattava di un valore bollato celebrativo delle Poste italiane dedicato all'Informazione fotografica; e veniva rappresentata l'opera "Fili telefonici" di Tina Modotti (Messico 1925), con in alto a destra la figura stilizzata di un obiettivo fotografico.
Vale la pena ricordare che un francobollo commemorativo rappresenta in tutti i Paesi del mondo il riconoscimento più alto che uno stato può attribuire ad una personalità.

Assunta Adelaide Luigia Modotti, Tina, nasce nel Borgo Pracchiuso a Udine, da una famiglia operaia aderente al socialismo della fine Ottocento. Il padre, Giuseppe, era meccanico e carpentiere, la madre Assunta Mondini cucitrice.
Tina ha solo due anni quando la sua famiglia emigra in Austria per cercare lavoro. Nel 1905 tornano a Udine e Tina frequenta con profitto le prime classi della scuola elementare. A dodici anni lavora come operaia in una filanda per contribuire al mantenimento della numerosa famiglia (sei fratelli). Lo zio Pietro Modotti ha uno studio fotografico e qui Tina apprende elementi di fotografia frequentandolo.
Nel giugno 1913 lasciò l’Italia e l’impiego nella Fabbrica Premiata Velluti, Damaschi e Seterie Domenico Raiser, per raggiungere il padre, emigrato a San Francisco, dove lavorò in una fabbrica tessile e si dedicò al teatro amatoriale, recitando anche D’Annunzio, Goldoni e Pirandello. Nel 1918 si sposò con il pittore Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey. I due si trasferirono a Los Angeles per inseguire la carriera nell’industria del cinema. L’esordio della Modotti è nel 1920, con il film The Tiger’s Coat, per il quale venne acclamata anche per il suo “fascino esotico”. Grazie al marito conobbe il fotografo Edward Weston e la sua assistente Margrethe Mather. Nel giro di un anno, la Modotti divenne la sua modella preferita e, nell’ottobre 1921, sua amante. Quello stesso anno il marito Robo rispose a questa relazione trasferendosi in Messico, seguito a breve dalla moglie che, però, giunse a Città del Messico quando egli era morto ormai da due giorni, a causa del vaiolo (9 febbraio 1922). Nel 1923, ritornò nella capitale messicana con Weston ed uno dei suoi quattro figli, lasciandosi indietro il resto della sua famiglia.

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