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RIPARTE LA MILLE MIGLIA

21 giugno 1947. Riparte, dopo un’interruzione di 7 anni, la Mille Miglia. Interrotta a causa della guerra, la storica gara automobilistica partirà da Brescia e seguirà un percorso di 1.800 km. Sono 155 i piloti in gara. Vincerà Clemente Biondetti a bordo della sua Alfa Romeo.

Suggestioni da Mille Miglia
La mamma mi aveva concesso di stare davanti, di fianco al padre che guidava, perché soffrivo di mal d’auto. Una vecchia FIAT 1100 bianca e blu (quella con le codine) ci stava portando in Emilia, dai nonni. Sulla Radicofani ci fermammo lungo il ciglio della strada. «Qui passava la Mille Miglia», disse mio padre. Io allora non capii, ma ero incuriosito dal suo sguardo: cercava dettagli, particolari, forse memorie; si era anche allontanato, fermandosi vicino a un paracarro bianco e nero, sul quale aveva poggiato il piede mentre osservava la strada. Attorno a noi si respirava il silenzio, quello che neanche il vento riusciva a colmare. Lontano abbaiava un cane. All’improvviso ecco un’auto, annunciata da un brusio; poi diventato rombo, ruota che stride, sassolini che s’inseguono sull’asfalto, carte che svolazzano. Subito dopo, rimaneva un’eco indistinta, seguita dai suoni consueti del panorama toscano, quasi un niente.
Ripartimmo con il sole all’orizzonte. Il “Babbo” guidava col finestrino aperto e intanto fumava, mentre armeggiava col cambio al volante. Le curve s’inseguivano una dopo l’altra. «Vai piano», disse la mamma, «Non sei alla Mille Miglia». Io invece apprezzavo il momento: il padre diventava l’eroe, la maschera del rischio, i muscoli che chiamano il coraggio per andare più veloce, oltre la svolta successiva.
«La nonna Mercedes aspettava Nuvolari», disse la voce dal sedile posteriore; e tutto si fece più chiaro. La “Corsa più bella del mondo” concedeva l’ideale, il sogno, il profilo del divo; e poi passava e basta, come quell’auto sulla Radicofani, che quasi era difficile scorgere piloti ed equipaggi. Un po’ come nella vita: tutto passa e restano le curve della suggestione, arrotondate nella memoria.

La Mille Miglia affascinava anche il pubblico femminile, come narrato nel film Amarcord, di Federico Fellini (1973). Siamo a Rimini tra il 1932 e l’anno successivo, quando si correva la 7^ edizione della “Corsa più bella del mondo”. La ragazza è sul balcone, lui sul ciglio della strada: i due si parlano, ma lei si comporta in maniera antipatica. Il ragazzo sognerà di guidare un bolide durante la corsa. Passando sotto il balcone, risponderà male al suo saluto di lei. E’ lo spazio per il sogno, quello che non si avvererà mai.

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NICOLE KIDMAN, BELLEZZA ESAGERATA

Il titolo rischia di ingannare, perché le qualità di Nicole Kidman non si fermano alla sola bellezza. Certo è che si tratta di un aspetto recitativo presente e disponibile, sempre ben gestito; nulla di male, quindi: né circa la versatilità dell’attrice (immensa), tantomeno nei nostri confronti, per via di un titolo azzardato solo in apparenza.

Abbiamo incontrato Nicole Kidman il 20 giugno del 2020, dove parlammo di “Fur - Un ritratto immaginario di Diane Arbus”. All’inizio del film, Nicole Kidman impersona la tipica donna americana anni ’50. Ha i genitori ricchi ed è sposata con un fotografo. La sua esistenza non le offre nulla di speciale: aiuta il marito nella sua attività, cambia i rullini, sistema le macchine fotografiche. Per il resto, si occupa dei figli, accantonando interessi e ambizioni. La svolta nella trama arriva quando nel palazzo dove vive viene ad abitare un nuovo inquilino, mascherato e misterioso. Lui eserciterà una forte attrattiva su Diane, sin dal primo contatto visivo, avvenuto per caso.
La conoscenza di Lionel (questo il nome dell'uomo, ricoperto di peli per via di una strana malattia) aprirà a Diane una nuova visione sul mondo, dove vivono desideri oscuri, assieme a uomini e donne deformi, nani e travestiti, individui costretti a nascondersi. Tra i due nascerà un'amicizia che diventerà amore. Le certezze di Diane crollano e verrà spinta a trasformarsi in una fotografa, offrendo così alla propria vita una sterzata improvvisa. La sua fotografia diventerà ricerca, provocazione, rottura degli schemi. La bellezza dell’attrice, anche questa volta esagerata, offrirà il giusto contrasto alle vicende.

Un altro film che ci ha colpito è The Interpreter, per la regia di Sydney Pollack. Fuori orario, nell'edificio dell'ONU, dentro una cabina insonorizzata, Silvia Broome, un’interprete (Nicole Kidman), ascolta per caso una voce che minaccia di morte il leader di uno Stato africano. Da quel momento la sua vita è sconvolta: braccata da chi vuole ucciderla e sospettata dall'FBI, troverà sollievo soltanto nelle parole di Tobin Keller (Sean Penn), l’agente federale incaricato di proteggerla.
Kidman interpreta una Silvia dalla bellezza esagerata, anche quando veste abbigliamenti senza eccessi. Nel clima "armato" del terrorismo internazionale trova un mondo diplomatico dell'anima assieme a Tobin, un territorio ampio nel quale comunicare e raggiungersi. Sydney Pollack crede nel potere della parola in grado di negoziare la pace: quella pubblica e privata, del mondo e della coscienza.

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NASCE GIANGIACOMO FELTRINELLI

Prima di parlare di Feltrinelli desideriamo ricordare Anouk Aimée, appena deceduta. L’abbiamo festeggiata quest’anno nel giorno del suo compleanno, il 27 aprile. L’attrice ha lasciato al cinema tutto il suo fascino elegante.

Giangiacomo Feltrinelli, detto Osvaldo, è nato il 19 giugno 1926 a Milano, da una delle famiglie più ricche d'Italia. Durante la seconda guerra mondiale Feltrinelli decise di prendere parte attiva alla lotta anti-fascista. Aderì poi al Partito Comunista, che sostenne con ingenti somme di denaro. Nel 1954 Giangiacomo Feltrinelli fondò l'omonima casa editrice, che pubblicò alcuni tra i libri più importanti della letteratura italiana del tempo, come "Il Gattopardo", di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e "Il dottor Zivago", di Boris Pasternak.
Nei suoi viaggi a Cuba incontrò Fidel Castro. Riportò a casa "Diario in Bolivia", opera di Che Guevara, e soprattutto la foto "Guerrillero Heroico", scattata il 5 marzo 1960 da Alberto Korda, divenuta poi celebre in tutto il mondo rendendo iconografico il volto del Che.

Il 14 marzo del 1972, Giangiacomo Feltrinelli morì mentre si trovava su un traliccio dell’ENEL per provocare un black-out a Milano. Le cause del suo decesso conservano ancora oggi molte ombre.

Parlando di Giangiacomo Feltrinelli è giusto ricordare anche la figura di Che Guevara. Lui nasce a Rosario, in Argentina, il 14 giugno del 1928. Verso la metà degli anni '50 si trasferisce a Cuba e diventa il braccio destro di Fidel Castro. Insieme, guidano e vincono la rivoluzione cubana. Dopo il 1965, Guevara, soprannominato “Il Che”, ormai noto in tutto il mondo, abbandona l’isola caraibica per combattere altre battaglie per la liberazione dei popoli, prima nell’ex Congo Belga e poi in Bolivia. Il 9 ottobre 1967 viene ucciso per mano di un gruppo di militari governativi boliviani assistiti dai servizi segreti americani.
La figura di Ernesto diventa un "mito", un'icona di livello internazionale per tutti quelli che si riconoscono nei suoi ideali rivoluzionari. Una sua foto scattata nel 1960 dal fotografo Alberto Korda e da questi regalata all'editore italiano Giangiacomo Feltrinelli è diventata una delle immagini più famose del Ventesimo secolo, la più riprodotta in assoluto nella storia della fotografia.

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BUON COMPLEANNO GIANNI

Gianni Pezzani fotografo, all'anagrafe Giovanni Pezzani, nasce a Colorno il 18 giugno 1951. Lo abbiamo incontrato nella rubrica “Fotografia da leggere”, quando presentammo il libro “Inclassificabile”, a sua firma, edito dalla Nuova Editrice Berti (2023). Era il 22 gennaio di quest’anno.

Anni addietro (2016) ci è stata offerta la possibilità di intervistarlo. Eccone un riscontro, con le impressioni del dialogo intercorso.

L’incontro con Gianni Pezzani è cordiale e diretto. Abbiamo l’impressione che abbia voglia di parlare con noi, di fotografia e della sua vita: due elementi che sono difficili da separare nello scorrere del racconto che lo riguarda.
Laureato in Agraria, inizia a fotografare da giovanissimo. Ci dice di amare la stampa, a livello maniacale; e noi crediamo che questo rappresenti un sintomo e non soltanto un’esigenza primaria. Sì perché lui ama sperimentare e affidare i suoi sforzi a dei progetti a lunghissimo termine, messi in un cassetto e alimentati pian piano, in rapporto ai risultati. La stampa, forse, sottolinea un elemento terminale: suggerisce che un processo è terminato o che, quantomeno, le cose stanno andando per il giusto verso.

È anche il fattore tempo a emergere nei lavori di Gianni. «Senza ricordi non si è vissuto», ci dice; ma la ricerca del nostro va oltre la memoria, trasformando quel preciso istante in una connotazione in più. I suoi lavori sono storie affidate a chi guarda, dove il tempo diventa una dimensione aggiuntiva assolutamente facilitante. Non è quindi il fotografo a utilizzarla direttamente; piuttosto si tratta di una chiave di lettura affidata allo spettatore, comunque sempre presente nei lavori che abbiamo visto, persino nei più semplici.

Cosa ancora su Gianni Pezzani? Gli abbiamo riconosciuto una sensibilità infinita. Lui ama la notte, camminandoci dentro. Del resto, la fotografia la sente dentro di sé, vivendola come sentimento. La sperimentazione nasce anche da lì, come confronto con lo strumento: una messa in discussione che fu dei grandi. Gianni Pezzani è tra questi.

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