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ROGI ANDRÉ, FOTOGRAFA UNGHERESE

Rogi André, pseudonimo di Rozsa Klein, nasce a Budapest il 10 agosto 1900. E’ stata una fotografa ungherese emigrata in Francia, dove ha vissuto la maggior parte della sua vita e si è affermata professionalmente come ritrattista dei principali esponenti artistici e letterari di Parigi tra le due guerre.

Abbiamo già incontrato Rogi André (o Rozsa Klein) quando ci siamo occupati di André Kertész (un genio secondo Henri Cartier Bresson), della sua fotografia, affiancata alla vita sentimentale che l’ha accompagnato. La sua fotografia non si è mai occupata di grandi temi, ma di frammenti di realtà; sviluppandosi in un’esistenza di alti e bassi, illusioni e disillusioni: vicende che esaltano, per poi demoralizzare, spesso però con un lieto fine.

Ciò può dirsi anche per la sua vita sentimentale. Conosce Erzsébet Salamon nel 1919, la donna che diventerà importante nella sua vita; ma non è ancora il tempo, il momento giusto. Arriva il 1925: André lascia l’Ungheria per Parigi dove diventa fotografo professionista. Nella capitale francese conosce Cartier Bresson, Berenice Abbott e tante altre personalità. Incontrerà anche Brassaï e diventerà il suo mentore, avvicinandolo alla fotografia. Gli presterà anche una fotocamera, insegnandogli i primi rudimenti e le tecniche per la ripresa notturna.

Nel primo periodo parigino, mantenne il contatto con Erzsébet, rimasta in Ungheria, attraverso un fitto carteggio, poi, sempre più immerso nel suo lavoro, smette di scriverle. Il 2 ottobre 1928 sposò Rószi Klein. La coppia si separerà due anni dopo e il loro rapporto si concluderà con il divorzio nel 1932. Durante un viaggio in Ungheria, Kertész scoprì che Erzsébet non aveva interrotto la corrispondenza, ma che Rószi aveva intercettato e nascosto le lettere. Si riavvicinarono e nel 1931 Erzsébet lo raggiunse a Parigi, e i due si sposarono infine nel 1933. Una storia a lieto fine.

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IL BAMBINO DI NAGASAKI

Il giorno 9 agosto "Fat Man", una seconda bomba atomica dopo quella di Hiroshima, fu lanciata su Nagasaki. Una nebbiolina diffusa rese difficile la precisione del lancio: l'obiettivo non fu centrato, con un errore di circa 4 chilometri. Anche l'altezza ottimale non fu centrata per circa 150 metri. Morirono 40.000 persone. Il 14 agosto, la riunione del governo nel rifugio antiaereo del Palazzo Imperiale vide l'imperatore Hirohito annunciare la volontà di arrendersi dopo i drammatici bombardamenti delle due città. Il 15 agosto, il suo discorso di resa fu consegnato alla radio. Era definitivamente conclusa la Seconda Guerra Mondiale.

Eventi così drammatici spesso nascondono delle storie, che i fotografi presenti sul posto sono in grado di declinare. E’ il caso del bambino di Nagasaki, ritratto da Joe O’Donnell. Abbiamo preso spunto da una mostra tenutasi a Rimini la seconda metà di agosto 2022, con le immagini dell’autore americano.

Sono scatti commoventi e tristemente poetici quelli emersi dal baule del soldato americano Joe O’Donnell. Fotografie che ritraggono la distruzione della città di Nagasaki subito dopo l’esplosione della bomba nucleare nel 1945. A Marzo del 1946 O’Donnell ritorna in patria e viene esonerato. Non potendo né guardare né mostrare le tragiche foto che ha scattato, le porta a casa con sé e le chiude in un baule, cercando di dimenticare. Solo negli anni Novanta si decise di condividere con il mondo le sue foto, nella speranza che gli errori del passato non si ripetessero in futuro. Ora le sue immagini viaggiano per il mondo come monito alle coscienze di singoli e nazioni.

Desolazione, volti e dettagli compaiono in circa 100 fotografie, dove la più iconica e famosa è certamente quella che ritrae un bambino di Nagasaki con in spalla il fratellino morto nel bombardamento atomico in attesa del suo turno per farlo cremare. Quella stessa immagine è stata scelta nel 2018 da Papa Francesco per trasmettere un rinnovato messaggio di pace e ricordare a tutti «…il frutto della guerra», come recitava la didascalia a commento della foto. O’Donnell morì il 9 Agosto 2007, lo stesso giorno della caduta dell’atomica a Nagasaki, a Nashville nello stato del Tennessee. Aveva 86 anni. Le foto sono oggi custodite dall’associazione buddista di Honmon-Butsuryu Shu (HBS) di Kioto, che le concede solo a patto che le iniziative abbiano come scopo quello di promuovere una Cultura di Pace.

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ABBEY ROAD, CURIOSITA’ E ASCOLTO

L’8 agosto 1969, verso le 11.30, il fotografo Ian Macmillan, salito su una scala, scattò la foto per l’album dei Beatles mentre i quattro attraversano le strisce pedonali di Abbey Road. Ne abbiamo parlato spesso, forse ogni anno; ma l’immagine dei fab four che attraversano le strisce pedonali in perfetta sincronia è rimasta impressa nella nostra memoria. Probabilmente si tratta di una delle copertine più iconiche di tutti i tempi e anche quest’anno ce ne occuperemo.

A detta di molti, "Abbey Road" è il miglior album dei Beatles, secondo forse soltanto a "Sgt. Pepper". Mentre si registra, però, il gruppo è prossimo allo scioglimento. Le premesse non erano buone, sarebbe potuto nascere un album stanco, senza idee, ma non sarà così. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i quattro saranno presenti contemporaneamente durante le sedute di registrazione solamente poche volte. La maggior parte del lavoro di "Abbey Road" è stato compiuto sovra incidendo le singole parti con gli artisti da soli in sala.

Arriviamo alla prima curiosità. L’attraversamento pedonale è stata un’idea di Paul McCartney. I Beatles in realtà avrebbero dovuto prendere un aereo privato, volare ai piedi del Monte Everest, scattare una fotografia e tornare alla base. La concitazione del momento portò Paul McCartney ad avere laa brillante idea: uscire e fare uno scatto proprio lì, in Abbey Road.
Non fu facile ottenere lo scatto ideale. La band si ritrovò ad attraversare la strada circa sei volte. Alla fine, fu scelto il quinto scatto.

Seconda curiosità. La leggenda narra che la copertina di Abbey Road non rappresenti altro che il funerale di Paul McCartney. Paul, a piedi scalzi, tiene una sigaretta nella mano destra, quando veniva comunemente chiamata “chiodo della bara“; tenne però i sandali ai piedi per i primi due scatti e soltanto in un secondo momento decise di camminare scalzo.

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TRA LE TORRI SUL FILO

Ne abbiamo fatto cenno quattro anni addietro, Il 7 agosto 1974, il funambolo francese Philippe Petit compì la sua impresa più famosa: la traversata a più di 400 metri di altezza delle Torri Gemelle al World Trade Center di New York.
Alle 7 e 15 salì sul tetto di una delle torri e fece avanti e indietro per otto volte su un cavo di acciaio lungo più di 60 metri (spesso poco meno di tre centimetri), vestito di nero e con un’asta per tenersi in equilibrio, camminò, si sdraiò sul filo, si inginocchiò e salutò gli spettatori-osservatori che nel frattempo lo applaudivano. Il tutto durò quarantacinque minuti. La polizia gli ordinò di fermarsi e, quando Petit decise di farlo, venne arrestato. Visto il successo dell’impresa – che nel frattempo aveva ottenuto grande copertura mediatica – il procuratore distrettuale fece cadere le accuse formali a suo carico e lo condannò ad esibirsi per i bambini a Central Park.
Philippe Petit scrisse un libro circa l’impresa: “Toccare le nuvole“, edito da Ponte alle Grazie. Dallo stesso, nel 2008, fu tratto un documentario (“Man on Wire“) che vinse moltissimi premi, tra cui un Oscar.

Le Torri Gemelle ci riportano irrimediabilmente all’11 settembre, forse perché quella data segnò un prima e un dopo nella storia dell’umanità.
Quella mattina i cittadini di New York, rimasero ipnotizzati di fronte a ciò che stava accadendo. Si misero a chiamare amici, fidanzate, mariti e figli nel disperato tentativo di sincerarsi sulle loro condizioni.
Mai come quel giorno, però, a New York era presente un numero eccezionale di fotografi di fama internazionale: David Alan Harvey, Susan Meiselas, Thomas Hoepker, Gilles Peress, Larry Towell, Steve McCurry, Alex Webb. La fotografia realizzata da quest’ultimo riesce a trascendere il proprio ruolo di pura e semplice fotografia, divenendo un messaggio di speranza per tutta l’umanità.

Chi scrive ha visto da vicino le Torri Gemelle, volando su un elicottero. Lo spettacolo fu intenso, profondo; ma l’11 settembre è riuscito a cancellare tutto. I due edifici non ci sono più.

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