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ABBAS ATTAR, NATO FOTOGRAFO

Ci sono fotografi dei quali ci si accorge in ritardo, pur conoscendone l’esistenza. Non può essere chiamata in causa solo la distrazione dell’appassionato, ma la stessa vita dell’autore, quella che non ha mai concesso attimi di riflessione o pause nell’operatività.

Ecco cosa leggiamo sul sito della Magnum, la nota agenzia. Abbas occupava una nicchia a cavallo tra il fotogiornalismo e l’arte. «Mi descrivevo come un fotoreporter e ne ero molto orgoglioso», ha scritto Abbas per Magnum. «La scelta prevedeva due possibilità: pensare a me stesso come un fotoreporter o come un artista. Non era per umiltà che mi definivo fotoreporter, ma per arroganza. Pensavo che il fotogiornalismo fosse superiore, ma oggigiorno ho cambiato idea, perché anche se utilizzo le tecniche di un fotoreporter e vengo pubblicato su riviste e giornali, sto lavorando alle cose in profondità e per lunghi periodi di tempo. Non mi limito a creare storie su ciò che sta accadendo. Sto creando storie sul mio modo di vedere cosa sta succedendo».

Secondo Abbas esistono due approcci alla fotografia: «Uno è scrivere con la luce e l’altro è disegnare con la luce». Il fotografo ha poi aggiunto: «Per la scuola di Henri Cartier-Bresson la singola immagine è fondamentale. A mio parere, non è mai stato questo il punto. Le mie foto fanno sempre parte di una serie, di un saggio. Ogni immagine dovrebbe essere abbastanza bella da reggere da sola, ma il suo valore è parte di qualcosa di più grande».
Anche se la sua biografia ufficiale afferma che era un “fotografo nato”, Abbas ha raccontato di come il viaggio a New Orleans, nel 1968, lo abbia reso un “professionista”; questo perché, attraverso la realizzazione del suo primo saggio fotografico, è riuscito a comprendere come la sequenza delle immagini sia essenziale per costruire una narrazione. Ha scritto: «All'epoca non lo sapevo, ma l'importanza che attribuisco alla sequenza del mio lavoro è iniziata lì per lì. Chi conosce il mio lavoro sa che quando mi definisco fotografo intendo dire uno che scrive con la luce». (Fonte: sito Magnum).

Non sappiamo se definire Abbas reporter o artista, ma il dilemma non ci riguarda. Può e deve essere annoverato tra i grandi di sempre.

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IN SPAGNA FINISCE LA GUERRA CIVILE

28 marzo 1939. Le truppe nazionaliste, guidate da Francisco Franco, entrano a Madrid. Quattro giorni dopo verrà annunciata la fine della guerra civile spagnola, vinta dai nazionalisti. Sono trascorsi tre anni di sanguinosi scontri, nel corso dei quali hanno perso la vita oltre un milione e mezzo di persone.

Per onore di cronaca, vogliamo ricordare come il 28 marzo abbiano visto i natali tre fotografi importanti nella storia della fotografia: André Adolphe-Eugène Disderi e Roger Fenton, entrambi nel 1819; Étienne Carjat nel 1828. Il primo è probabilmente il personaggio più singolare e caratteristico tra i fotografi del XIX secolo. Nel 1854 apre uno studio al n° 8 di Boulevard des Italiens, richiedendo contemporaneamente il brevetto per una sua invenzione in campo fotografico, le “Carte-de-visite”, fotografie delle dimensioni di 10x6 cm. Per ottenere queste piccole immagini Disderi usava un apparecchio particolare fornito di quattro obiettivi e di un porta-lastre scorrevole.
Roger Fenton divenne fotografo ufficiale della guerra di Crimea, iniziata il 4 ottobre 1853. Lui e il suo assistente, Marcus Sparling, sistemarono la loro camera oscura in un carro. Utilizzando il processo fotografico a collodio umido. hanno scattato circa 360 fotografie della guerra. Non ripresero mai soldati feriti, probabilmente nel rispetto della sensibilità vittoriana.
Étienne Carjat era tanto giornalista e caricaturista grafico quanto fotografo. Il suo talento nel catturare lo spirito dei suoi soggetti celebri spesso eguagliava o superava quello del suo contemporaneo più noto, Felix Nadar, del quale era molto amico.

Torniamo alla guerra civile spagnola. Il conflitto ha influito sulla vita delle donne spagnole, diventate più autonome a livello decisionale. La guerra permise loro di mettere a frutto le capacità possedute, in una società spagnola ancora molto arretrata. Combatterono costruendo barricate, curando i feriti e organizzando gli aiuti. Rifornirono i soldati dell’equipaggiamento necessario per la guerra. Alcune parteciparono attivamente ai combattimenti come miliziane, con le armi in pugno.
Le donne spagnole acquisirono una nuova voce e la loro partecipazione alla vita politica finì per aumentare.

Volendo parlare del conflitto spagnolo al femminile, ci piace far emergere una donna che ha dato molto alla fotografia e a quegli anni di Spagna. Abbiamo già parlato di lei, è bello, però, poterla mettere in primo piano almeno una volta, visto che il suo lavoro è stato spesso oscurato da quello di altri autori. E poi, ci piacerebbe potesse venir fuori la stima che è riuscita a costruirsi e anche l’affetto di molti dal quale è stata circondata.

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CESARE E LA 50 SPECIAL

E’ il 27 maggio 1999, nel panorama musicale italiano irrompe 50 Special. Il ritornello della canzone si compone di queste strofe: «Ma quanto è bello andare in giro con le ali sotto ai piedi, Se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi, Ma quanto è bello andare in giro per i colli bolognesi, Se hai una Vespa Special che i toglie i problemi».
Il successo è immediato, perché il brano è semplice, ritmato, reso coinvolgente dalle intro che esplodono nel ritornello. E poi c’è lei una Cinquanta Special, un modello degli anni ’70, quando i Beatles erano già apparsi da tempo e il boom economico iniziava a vacillare. La contestazione studentesca aveva già preso piede e non prevedeva atteggiamenti borghesi, ma la Vespa faceva la sua bella figura, con un conducente vestito del “poco politico” (senza brand) e animato dall’ideologia nei pensieri. Crediamo che molti studenti di allora abbiano vissuto attimi di spensieratezza a cavallo di quello scooter e che ancora oggi pensino a quei tempi, sognando di correre altrove sulla mai dimenticata 50 Special, con le ali sotto ai piedi.

Cesare è figlio di una professoressa di lettere e di un medico, ma le carriere dei genitori non hai mai influito sulle sue scelte nella vita. La sua passione è sempre stata la musica, riconosciuta in tenera età di fronte al pianoforte, prendendo la prima lezione addirittura a soli 6 anni.
L’amore per le note è andato a sommarsi a un talento raro, fatto di estro e creatività: una miscela che si è trasformata in canzoni, poesie, racconti, e molto altro ancora. C’è poi la personalità del Cesare ragazzo: a soli 15 anni, scriverà il suo primo pezzo originale, “Vorrei”, dal quale emerge quella consapevolezza che già promette una carriera luminosa.

Per dipingere Cesare Cremonini occorre considerare l’affetto che lui nutre per la terra dove è nato. Ama l’Emilia e anche Bologna, la città natale. Tifa poi rosso blu, con tutta la passione possibile. Quest’anno pare andargli bene.

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LA REGINA DELLA DISCO MUSIC

L’autoradio era estraibile e la portavamo con noi ovunque: al cinema, in pizzeria, a casa di amici. Alle volte la nascondevamo sotto il sedile del passeggero, correndo il rischio di non trovarla. Siamo negli anni ’80 e ascoltavamo spesso la cassetta di Diana Ross che riproduceva i brani della cantante americana, quelli già ascoltati in discoteca. Già, il ballo era un’abitudine del tempo e anche un appuntamento notturno consueto, mai prima della mezzanotte; con un ritorno a casa alle prime luci dell’alba.
Il nome di Diana Ross evoca ricordi e nostalgie, ma accende anche quella spensieratezza tipica della “Disco”: il luogo d’incontri a base di Coca e Rum, dove conoscere la ragazza del cuore, irraggiungibile di giorno. Già, i locali di quella musica rappresentavano un mondo diverso, lontano, quasi virtuale, incomprensibile e immaginario: surreale. C’era chi ballava bene, ma spesso alcuni, soprattutto i maschietti, rimanevano a bordo pista a guardare.
Diana Ross riempiva quelle nottate, restituendo l’adrenalina necessaria; poi l’idea di lei si trasferiva in auto, per un tempo che arrivava fino a casa per le ultime chiacchiere.

Diana Ross tra gli anni settanta e i primi anni ottanta divenne la cantante più famosa dell’“età del rock” e comparve in film, programmi televisivi e a Broadway. Nel corso della sua carriera ha vinto un Tony Award per lo speciale “An Evening With Diana Ross” (1977), sette American Music Awards ed un Golden Globe per aver interpretato Billie Holiday in “la Signora del Blues” (1972). Lei è anche una delle poche artiste ad avere due stelle nell’Hollywood Walk Of Fame: una come artista solista e l’altra per la carriera con i Supremes.

I riscontri di Diana Ross sono di assoluto livello: cento milioni di dischi venduti, dodici Grammy, una nomination all'Oscar, la Medaglia presidenziale della libertà conferitale da Obama nel 2016 e il titolo di "Artista femminile di maggior successo di tutti i tempi" del Guinness dei primati (1993). Resta comunque il ricordo di un tempo e di un’era, incancellabili entrambi; Diana Ross è la diva che riecheggia a ogni brano, anche se quel mangianastri dell'auto non suona più.

Per le fotografie ci siamo rivolti a un disco con le immagini di Victor Skrebneski.

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