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UN’ALTRA STRAGE

Quel 2 agosto l’auto era piena all’inverosimile. La famiglia di chi scrive era in viaggio per le vacanze. Poco dopo le 10,30 la radio trasmise un annuncio pauroso: un’ala della stazione di Bologna era crollata sotto lo scoppio della cucina. Le cose andarono diversamente e i giornalisti radiofonici riferirono i fatti: una valigia piena di tritolo era esplosa nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione del capoluogo emiliano, causando 85 vittime e 200 feriti. Si trattò della strage più sanguinosa nella storia italiana. Si torna nell'incubo del terrorismo.
L'ora della tragedia rimarrà impressa, come ricordo indelebile, nelle lancette ferme del grande orologio che si affaccia sul piazzale della stazione.
I nomi delle 85 vittime della strage sono oggi impressi in una lapide nella stazione di Bologna. La sala d'attesa, ricostruita, presenta nel punto dello scoppio la pavimentazione originale del 1980 coperta da vetro.

E’ la prima volta che ci occupiamo dell’argomento, però quest’anno ci sembrava giusto: non tanto per la ricorrenza in sé (da ricordare sempre), ma per i sentimenti che si rincorsero in quel momento. Non esistevano ancora i cellulari, ma sulla linea fissa ricevemmo tante telefonate, per via che molti temevano che fossimo in viaggio sul treno. Del resto, persero la vita genitori e figli; poi mogli, mariti, lavoratori e militari. La vittima più giovane aveva tre anni, la più anziana 86.

Bologna tornava a fare i conti con il terrorismo. Nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 sul treno Italicus, mentre questo transitava presso San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, avvenne un attentato dinamitardo. Morirono 12 persone.
Non possiamo dimenticare la strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980. Un aereo dell’Itavia esplose in volo. Era partito da Bologna con due ore di ritardo.

Ci sarebbe stato anche un seguito, anni dopo, con la Strage del Rapido 904 o strage di Natale. L'attentato venne compiuto domenica 23 dicembre 1984, nel fine settimana precedente le feste natalizie. Il convoglio fu dilaniato da un'esplosione violentissima mentre percorreva la Direttissima in direzione Nord, all’interno della Grande galleria dell'Appennino, in località Vernio. La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di seconda classe, al centro convoglio.

E’ passato tanto tempo, ma un pensiero ci sembrava doveroso.

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UNA FOTOGRAFA NEOZELANDESE

Prima della fotografa neozelandese occupiamoci di una promessa d’agosto. Il “primo” Agosto 1925 nasce a Senigallia Mario Giacomelli. Inizia a lavorare da giovane in una tipografia (13 anni), ma nel contempo si interessa di pittura e poesia. La passione per i versi l'accompagnerà per tutta la vita, creando un connubio forte con la sua produzione fotografica. Poeti come Leopardi, Montale, Borges faranno parte delle sue immagini.
Scatta la prima fotografia nel 1953, cha raffigura una vecchia suola che galleggia sulla battigia. Le verrà dato il titolo: “l'approdo”.
Inizia a frequentare Giuseppe Cavalli (con lui fonderà il Misa), il quale sarà importante per completare la sua formazione. Tra il '54 e il '57 frequenterà il gruppo la Bussola, ma se ne distaccherà a breve.
Il 1954 sarà un anno importante per Mario Giacomelli, perché nascerà un suo lavoro dal titolo “Vita d'Ospizio”. Lui quell'ambiente lo conosceva bene, per via della madre che lavorava là. Il risultato può essere considerato un incontro tra reportage e racconto poetico. Ne emergono disperazione e degrado, ma anche umanità e speranza. Lui stesso lo conferma con le sue parole: “La mia fotografia non comunica fatti, ma stati d'animo, sensazioni”.
Dal 1955 s’interessa di paesaggio, stile che lo accompagnerà fino al 1992. Le sue Marche diventano luogo di memorie e simboli, dove abita l'anima e la realtà trasfigurata.
Tra il 1957 e il 1959 lo troviamo a Scanno, un paesino dell'Abruzzo: un luogo che aveva già visto lavorare fotografi del calibro di Henry Cartier Bresson.
Negli anni '60 troviamo la sequenza fotografica che lo caratterizza maggiormente. E' chiamata “non ho mani che mi accarezzino il volto”, meglio conosciuta come i “pretini”. Si tratta di scatti ottenuti presso il Seminario Vescovile di Senigallia. I giovani seminaristi vivono nelle immagini del fotografo come senza tempo, già facenti parte della memoria: in una realtà che galleggia senza alcun riferimento terreno.
Ci preme sottolineare ancora due lavori del maestro: “Caroline Branson” (ispirato all'antologia di Spoon River di Edgar Lee Master) e “La mia vita intera”, una sequenza a commento dei versi di J.L. Borges.
Mario Giacomelli morirà a Senigallia il 25 Novembre del 2000.

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PROMESSE D’AGOSTO

Ormai ci siamo: agosto è alle porte. Si tratta di una festa lunga un mese, tutta nostra: completamente “italica”. Ci sarà tempo per riflettere, nei prossimi giorni, in profondità. I ripensamenti li lasciamo a settembre, quando inizierà un nuovo anno: quello della nostra percezione temporale.

Iniziamo da metà mese, o poco più. Il 19 agosto 1839, in una riunione dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti, a Parigi, venne presentato nei particolari tecnici il dagherrotipo: un processo tramite il quale “disegnare con la luce”. Nasceva la fotografia, la nostra passione. Da subito appare evidente la sua modernità: un processo chimico-fisico (ma anche espressivo) era stato annunciato il 7 gennaio, anticipando quanto sarebbe accaduto otto mesi dopo. Oggi tutto questo, magari con tempi più ristretti, accade per l’iPhone, con una modalità analoga a quella del dagherrotipo. E’ vero, nella prima metà dell’800 c’era la corsa all’immagine scattata, con tanti padri impegnati in una sorta di competizione allargata, per cui l’annuncio era necessario; senza dimenticare che nella Francia di quel periodo si parlò addirittura di corruzione (un’altra modernità?). Qualcosa però stava cambiando e la fotografia cavalcava il suo momento storico.

Rimanendo alla fotografia, il 22 agosto 1908 nasce Henry Cartier Bresson, il maestro dell’istante. Suo è l’aforisma che recita così: «È un’illusione che le foto si facciano con la macchina… si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa». La frase che racchiude l’essenza del lavoro di Cartier Bresson, lo stile inconfondibile, il suo approccio con la macchina fotografica; lo strumento dell’intuito e della spontaneità.

Tante altre cose sono successe nel mese di Agosto e molte le incontreremo. Nasce la Lira (24 Agosto 1862) come moneta unica: andata a sostituire tutte le divise presenti nel Regno.
L'abbiamo maneggiata sino al 2002, ma questa è storia recente. Viene lanciato il Compact Disc (17 Agosto 1982), avvengono le esplosioni nucleari della Seconda Guerra Mondiale. E poi i Beatles camminano sulle strisce pedonali di Abbey Road (8 Agosto 1969), mentre i giovani del mondo si radunano a Woodstock.

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L’ULTIMO MAGGIOLINO

Riprendiamo una notizia pubblicata quattro anni addietro. Si parla di un’auto, simpatica al ricordo, che ha occupato la vita di molti. Vive ancora oggi, ma si tratta di rivisitazioni, che comunque poggiano, esteticamente, su un’idea antica.

Il 30 Luglio 2003, in uno stabilimento del Brasile, dalla catena di montaggio esce l’ultimo Maggiolino, almeno quello relativo alla prima serie. La produzione era iniziata nel 1938. La macchina, sviluppata da un’idea hitleriana, era nata per essere “del popolo” e doveva presentare alcune peculiarità: affidabilità, bassi consumi, buona capacità di carico e una velocità di almeno 100 km/h.
Il motore era raffreddato ad aria, il che rappresentò un vanto per i costruttori. «L’aria non congela e non bolle», dicevano. Sempre sullo stesso tema una pubblicità dell’epoca recitava: «Non dimenticate di aggiungere l’antigelo alla vostra Volkswagen» facendo chiaro riferimento al serbatoio del liquido lavavetri. Lo stesso slogan continuava: «Perché con l’aria sappiamo come raffreddare il motore, ma non lavare il parabrezza».
Abbiamo pensato a lungo a una fotografia che potesse richiamare il Maggiolino. Letizia Battaglia ne ha ritratta una, con vicino due signore anziane che lavorano a maglia. L’immagine ha una sua forza narrativa, ma non sapevamo se poterla pubblicare. Parleremo comunque (e giustamente) della fotografa palermitana.

Il Maggiolino è diventato un attore del cinema, nella pellicola “Un Maggiolino tutto matto” (1968). Lì l’automobile (Herbie si chiamava) aveva un comportamento particolare: agiva con una volontà propria, provava sentimenti e soprattutto andava forte, molto.
Dopo un inizio felice del primo film, si è proseguito con "Herbie il Maggiolino sempre più matto" nel 1974, "Herbie al rally di Montecarlo" nel 1977, "Herbie sbarca in Messico" nel 1980 e "Herbie il super Maggiolino" nel 2005.

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