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REGINA DI HOLLYWOOD

Prima di parlare della “Regina di Hollywood”, ricordiamo come il 2 agosto sia nata la scrittrice Isabel Allende. Parlammo di lei il 29 agosto dello scorso anno, nell’ambito della “Fotografia da Leggere”. Oggi è una delle voci più importanti della letteratura sudamericana. È nata a Lima, Perù, nel 1942, ma all'età di tre anni si è trasferita in Cile con la madre e due fratelli. Ha trascorso la sua infanzia lì, a casa dei nonni materni, viaggiando anche viaggiato molto e vivendo in diversi paesi, per via della carriera diplomatica del suo patrigno. Da adulta è tornata in Cile, dove si è sposata, ha avuto due figli, lavorando lì come giornalista fino al 1973. Dopo il colpo di Stato militare di Pinochet si è trasferita in Venezuela e, subito dopo, negli Stati Uniti; ora vive a San Rafael, in California, con il suo secondo marito. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. Scrive principalmente narrativa, ma si è anche occupata di racconti per bambini, libri umoristici, spettacoli teatrali. Tra i suoi libri ricordiamo: "La casa degli spiriti", "D'amore e ombre", "Eva Luna", "La pianura infinita", "Paula" (un libro di ricordi, scritto in un periodo tragico, la malattia e la morte della figlia), e la trilogia di libri per giovani adulti, "La città delle bestie", "Regno del drago d'oro" e "La foresta dei pigmei”.

In questa sede ci piace ricordare “Ritratto in Seppia”. Gli ingredienti del libro sono tanti: una famiglia, complicata e complessa, la morte, la guerra, un’infanzia dimenticata, gli incubi, i nonni, la passione per la fotografia della protagonista. In un disordine entropico, tutto raggiunge le sue simmetrie logiche; con l’arte dello scatto quale fattore coadiuvante.

Myrna Loy è nata il 2 agosto 1905 a Radersburg, nel Montana (USA). Ha iniziato la sua carriera cinematografica interpretando donne fatali. Raggiunse la celebrità negli anni '30 in ruoli disinvolti e intraprendenti, per via del suo fascino, sommato a grazia e brio. E’ stata la sua eleganza a farle meritare il titolo di "Regina di Hollywood", anche per via delle accattivanti doti di dolcezza e disinvoltura.

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DUE ORI IN 16 MINUTI

Prima di parlare della notizia inerente al titolo, vogliamo ricordare come l’1 agosto 1925 a Senigallia sia nato Mario Giacomelli. Lui a tredici anni inizia a lavorare in una tipografia, ma si interessa anche di pittura e poesia. La passione per i versi l'accompagnerà per tutta la vita, creando un connubio forte con la sua produzione fotografica. Poeti come Leopardi, Montale, Borges faranno parte delle sue immagini. Del resto i temi trattati dal fotografo saranno diversi, ma ognuno con un forte carattere esistenziale: l'amore, la sofferenza, il trascorrere del tempo, la vecchiaia, la memoria, il ricordo e la terra; tutti legati tra loro dalla poesia.

Arriviamo al titolo e alla notizia allegata. 1 agosto 2021. Ai Giochi della XXXII Olimpiade disputatesi a Tokyo due atleti italiani vincono due medaglie d'oro in 16 minuti: prima il salto in alto con Gianmarco Tamberi (metri 2,37) e poi i 100 metri con Marcell Jacobs. E’ successo tutto in un battibaleno. I due atleti si abbracceranno a lungo, per un trionfo dell’atletica italiana.

Nella nostra vita di sportivi televisivi ma avremmo potuto immaginare un italiano oro nei cento piani, alle Olimpiadi per giunta. La memoria corre a ritroso, tra le notizie che ormai sono in archivio. Vengono in mente Berruti, vincitore a Roma ’60 nei 200 metri, con una elegantissima corsa in curva; e anche Pietro Mennea, campione olimpico dei 200 metri piani a Mosca 1980, nonché primatista mondiale della specialità dal 1979 al 1996 con il tempo di 19"72 (che ad oggi costituisce, dopo più di 40 anni, il record europeo). Occorrerebbe ricordare anche Sara Simeoni, oro alle Olimpiadi di Mosca. Nel 2021, però, c’era qualcosa in più: non circa il valore sportivo, ma per quel che concerne il momento storico. Era un’Italia che voleva ripartire, quella di Tokyo, e a dircelo è stato un ragazzone bresciano, cresciuto sportivamente a Desenzano: a lui il primo oro italiano sui 100, pochi minuti dopo il volo olimpico di Gianmarco.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con fotografia da leggere. Questa volta ci rivolgiamo a un libro appena uscito, scritto da un autore che abbiamo ospitato spesso nell’appuntamento settimanale: Ferdinando Scianna. Si tratta di “Abecedario fotografico”, Edizioni Contrasto. Diciamo subito che si tratta di un volume elegante, ben impaginato, come sono d’abitudine quelli dell’editore romano. Questa volta la copertina è flessibile (forse per via della foliazione), ma il piacere nel girare le pagine è quello di sempre.

Il titolo (“Abecedario fotografico”) può trarci in inganno. Non siamo di fronte a un dizionario enciclopedico o a un vocabolario di significati e sinonimi, ma a un’opera di sintesi, coraggiosa per questo, del pensiero fotografico (e non solo) maturato in una vita. Del resto, per Scianna la fotografia ha rappresentato una maniera di vivere, come ci spiega con le sue parole:
«La fotografia è per me un mestiere, il filtro attraverso il quale entro in relazione con il mondo e il mondo con me; la ricerca, forse assurda, d’istanti di senso, di forma, nel caos della vita. Tentativo di comprendere, di comprendersi. Una maniera di vivere».

L’ordine alfabetico riguarda i vari argomenti affrontati e quindi mette un po’ d’ordine alle varie riflessioni. A noi è piaciuto molto il capitolo “Emozioni” (lettera E). Lì si specifica come la memoria riproponga immagini ferme e quindi fotografie. Ecco cosa scrive Ferdinando Scianna: «Perché non è vero che le fotografie restituiscono solo ciò che è stato, piuttosto, a me pare, ripropongono in una sorta di lancinante presente ciò che non è più. Forse è per questo che a poco a poco mi sono andato convincendo che la massima ambizione per una fotografia sia di finire in un album di famiglia. E’ quello, forse, il luogo dove le fotografie sprigionano le più profonde emozioni».

Non potevano mancare riflessioni su analogico e digitale, moda, fotogiornalismo, ritratto. C’è poi un capitolo sull’ambiguità (Lettera A), che è specifico dell’autore siciliano.
Il libro è da leggere più volte e anche da consultare, se necessario, per tornare su un argomento. Tra le righe c’è tanta fotografia e anche una lezione per viverla appieno.

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CATTIVO CON IL CUORE DA BUONO

Stiamo parlando di Jean Reno, l’attore andaluso nato il 30 luglio 1948. Lo ricordiamo a volte duro, in altre romantico, in alcuni casi spietato, in altri quasi goffo. I ruoli di Jean Reno sono stati così, variegati; ma tutti interpretati con bravura. L’attore francese ha preso parte ai set più importanti del cinema contemporaneo.
Ci sovviene il ruolo interpretato in “French Kiss” (1995), dove veste i panni di un ispettore di polizia buono è accondiscendente. Nulla a che vedere con quanto ha mostrato in “Léon” (1994), dove impressionava (e spaventava) per i suoi silenzi, un killer che portava sempre con sé una pianta di gerani, citata anche nei dialoghi:
«Ami la tua pianta?»
«E' la mia migliore amica. Sempre felice, niente domande ed è come me, vedi? Senza radici». «Se la ami davvero, dovresti portarla in mezzo ad un prato in modo che le metta le radici!». Nella stessa pellicola (Léon) viene fuori la filosofia del killer:
«Le cose non rimangono uguali dopo aver ucciso qualcuno. La tua vita cambia per sempre. Dovrai dormire con un occhio aperto per il resto della vita».
E ancora:
«Il fucile è la prima arma che s’impara ad usare perché ti permette di mantenere una certa distanza dal cliente. Più ti avvicini a diventare professionista, più riesci ad avvicinarti al cliente. Il coltello, per esempio, è l'ultima cosa che s’impara».

A vincere era anche la sua fisicità: imponente e convincente (quasi 1,90 di altezza). La stessa che ha mostrato in Mission Impossible, al fianco di Tom Cruise. Lì, duro lo era veramente. Jean Reno ha comunque imparato a far tutto, forse da quando passava il suo tempo davanti alla televisione in bianco e nero. Sua è la convinzione che riportiamo:
«Un attore deve saper fare tutto, perché nella sua carriera potrebbe interpretare qualunque ruolo, secondo la regola fondamentale per cui più si fa meglio si riesce».

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