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BEAUTIES OF THE COMMON TOOLS

Aspettiamo Luglio, per cui ci sembra giusto divagare, saltando il 30 giugno. E’ il 1968, Riccardo Del Turco vince il Disco per l'Estate con “Luglio”. E' il tormentone delle vacanze (anni dopo si chiamerà così). L'Italia sta uscendo dal boom economico col solito “cuore e amore”. Arriveranno gli anni di piombo, che iniziano con la strage di Piazza Fontana (12 Dicembre 1969); del resto c'era già il Vietnam, documentato da Raymond Depardon (nato il 6 Luglio 1942). Il 20 Luglio 1969 (22,17, ora italiana) l'uomo sbarca sulla luna. Ci saranno solo le televisioni a trasmettere l'accadimento, così la “nostra” fotografia cerca una nuova dimensione di se stessa. E saranno capolavori, ancora: forse di più; regalati da Ferdinando Scianna (nato il 4 Luglio 1943) ed Elliot Erwitt (venuto al mondo il 26 Luglio 1928).

Torniamo a noi e alla nostra cadenza temporale. Sul numero di luglio di Fortune (1955), viene pubblicata la straordinaria serie “Beauties of the Common Tool”, la bellezza degli utensili comuni, di Walker Evans.
Nel portfolio del fotografo, gli strumenti da ferramenta trasmettono correttezza, proprio perché non sono stati realmente "progettati", si sono semplicemente evoluti attraverso l'ingegno, l'istinto e l'uso. Questo processo ha permesso di affinare un oggetto grezzo e funzionante in ciò che diventa una cosa molto bella e assolutamente raffinata.

Il successo degli oggetti ritratti da Walker Evans è dovuto al fatto che la vera natura del materiale, l’utilizzo e la struttura del prodotto ne definiscono il carattere, la forma e l'estetica. Ed è piacevole riconoscere oggetti che rifiutano l'abitudine dello styling, cercando viceversa una comprensione più vera e maggiormente profonda rispetto alle altre cose di cui ci circondiamo.

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29 GIUGNO 2007, NASCE iPHONE

Quel giorno, in tutti gli Apple Store degli Stati Uniti, veniva lanciato il primo iPhone (Il 2G, per intenderci).

Durante la presentazione del prodotto, avvenuta il 9 gennaio dello stesso anno, Steve Jobs aveva detto che iPhoneOS (si chiamava così allora il sistema operativo, poi cambiato in iOS) rappresentava una soluzione avanti a tutti gli altri di almeno 5 anni. Probabilmente disse la verità. Lui intuì il ruolo centrale del telefono cellulare, che avrebbe soppiantato l’iPod per l’ascolto musicale. Mise insieme i due prodotti, aggiungendo internet, in un fantastico 3 in 1. Dopo è arrivata anche la fotografia.

Certo, al tempo non esistevano le app e ciò che usiamo oggi, ma era tutto il resto a impressionare: l’apertura delle pagine WEB, la gestione delle mail e quella delle fotografie. Non citiamo i riferimenti fotografici di questa notizia, che però sono “ghiotti”, almeno per la coda di opinioni che ne è scaturita nel tempo.
Dopo due mesi dal lancio del primo iPhone, erano state vendute già più di un milione di unità. S’imboccava una nuova strada, che avrebbe cambiato la vita di molti. Il primo modello di iPhone aveva una sola fotocamera da 2 Megapixel, ed era disponibile in tre modelli con una memoria da 4, 8 o 16 Giga. Lo schermo aveva una dimensione di 3,5 pollici. Steve Jobs voleva che l’utente potesse usare l’iPhone con una sola mano: da qui le dimensioni ridotte.

Non abbiamo la pretesa di esprimere giudizi sociologici: non lo vogliamo neanche. Viviamo l’era del telefonino e così è: prendere o lasciare. La fotografia? Poco c’entra, almeno per come ci piacerebbe intenderla. E non è una questione di qualità, ma di approccio. Il piccolo telefono e il suo ambiente (internet e i social) fanno rivivere il momento per quello che vale, quasi in diretta. Resta il fatto che spesso ci capita di tornare a casa e trovare i singoli col telefono in mano, immersi in un mondo proprio. Un tempo i trasduttori erano in comune: TV, giradischi, registratori; e le generazioni s’incontravano, a mezza via. Oggi sono proprio i gusti a non essere in comune.

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ONE WEEK’S TOLL

E’ il 27 giugno del 1969, la rivista LIFE pubblica in copertina il volto di un ragazzo, che è quasi quello della porta accanto; sempre in copertina, compaiono alcune parole forti: «I volti dei morti americani in Vietnam, il pedaggio di una settimana». All’interno sono stati pubblicati, foto dopo foto e nome dopo nome, 242 giovani uomini uccisi.
La risposta del pubblico è stata immediata e viscerale. Alcuni lettori hanno espresso stupore; altri si sono indignati per il fatto che la rivista era a favore dei manifestanti contro la guerra, i traditori del paese. Molti sono rimasti in silenzio, comunque devastato e sconsolato.

Si tratta di un servizio fotografico agghiacciante, questo è certo: pur nella sua semplicità. Del resto, è il destino della foto tessera: certifica l’esistenza, con l’identità, ma anche il decesso. Le tombe ne sono piene.
Il 27 giugno 1980 è il giorno della strage di Ustica. In rete si trova la fotografia di quell’aereo (non di uno simile!) parcheggiato in un aeroporto. Nel vederlo, si prova tristezza, e angoscia; anche perché mentalmente ci si colloca in una dimensione personale: «Potevo esserci io su quel velivolo, o qualcuno dei miei». Allo stesso modo, le immagini del servizio di LIFE ricordano quelle dei cari, delle persone ce compongono la nostra prossimità. La morte non rimane una notizia, per diventare un dato tangibile, concreto, tremendamente possibile.

Dopo tanti anni, non siamo in grado di giudicare la scelta editoriale di LIFE, e forse non vogliamo neanche farlo. Di certo, di fronte a una tragedia è giusto sapere “chi” ha perso la vita e non soltanto quanti l’esistenza l’hanno perduta. In più, per non che siamo appassionati, è giusto sottolineare come lo scatto rappresenti un gesto responsabile, al quale dedicare la giusta attenzione.

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BOB MARLEY A MILANO

27 giugno del 1980, a San Siro si radunarono in centomila per ascoltare Bob Marley. Erano cambiati i tempi rispetto al 1965, quando i Beatles arrivarono al Vigorelli, che peraltro avrebbero suonato a Roma proprio il 27 giugno dello stesso anno. Di mezzo c’era, oltra alla musica, l’impegno sociale, la protesta contro razzismi e diseguaglianze, il sogno per un mondo più giusto e quindi migliore. L’evento divenne trasversale: una partecipazione così folta fece sì che giovani e meno giovani vivessero le vibrazioni di una musica già nota ai tempi, in un happening di suoni e balli (le persone sul prato) vissuto per la voglia di esserci, anche ideologicamente. Le cronache riportano come nel pomeriggio avesse suonato Pino Daniele, ancora sconosciuto ai più.
Ci piacerebbe poter rivivere quelle sensazioni, ma ovviamente è impossibile. C’erano gli accendini allora (si fumava di più e non esistevano i cellulari) e la fiamma scaldava (oltre a bruciare le dita!) il sentire degli animi.
Bob Marley sarebbe morto l’anno dopo, l’11 maggio, per un male incurabile. Ricevette i funerali di stato.

Ascoltiamo spesso “No Woman, No Cry”. La versione “Live” del ’75 è diventata un’icona musicale. Il suono dell’Hammond accompagna il testo cantato, che sul più bello lascia il posto a un assolo di chitarra gradevole all’ascolto, che s’inserisce bene nell’atmosfera del brano.
Ci viene in mente la Giamaica, che visitammo a inizio millennio, Ne ricordiamo la capitale e la spiaggia di Negril: oggi meta turistica, ma un tempo primo approdo continentale delle navi che trasportavano gli schiavi. La sera, sulla sabbia bianca, dei complessi locali suonavano la musica di Bob Marley, che là è venerato come un profeta. Di certo lo era musicalmente, avendo divulgato un genere dalle sponde caraibiche in tutto il mondo.

Un altro ricordo. Il 27 Giugno 1980, un aereo dell’ITAVIA decollerà dall’Aeroporto di Bologna con due ore di ritardo, destinazione Palermo. In prossimità di Ustica, non darà più traccia di sé; verrà così a realizzarsi uno dei tanti misteri “italici”, fatti di piombo e verità nascoste. Non dobbiamo dimenticare.

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