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NASCONO ANDRÉ ADOLPHE-EUGÈNE DISDERI E ROGER FENTON

Nello stesso giorno e anno, 28 marzo 1819, nascono due figure importanti nella storia della fotografia: André Adolphe-Eugène Disderi e Roger Fenton. Quest’ultimo divenne fotografo ufficiale della guerra di Crimea, iniziata il 4 ottobre 1853. Il conflitto vedeva opposte la Russia e un’alleanza composta da Francia, Inghilterra e Turchia.
Fenton e il suo assistente, Marcus Sparling, sistemarono la loro camera oscura in un carro. Utilizzando il processo fotografico a collodio umido dell'epoca, hanno scattato circa 360 fotografie della guerra. In qualità di agente del governo, tuttavia, Fenton ha interpretato solo le parti "accettabili" del conflitto. Sebbene fosse mostrato poco dell'azione reale, le immagini furono nondimeno le prime a rappresentare gli aspetti “senza morte” della guerra moderna. Egli non riprese mai soldati feriti, probabilmente nel rispetto della sensibilità vittoriana.

Abbiamo incontrato entrambi gli autori gli anni scorsi. Oggi ci occuperemo in maniera più approfondita di Disderi, svelando anche piccoli dettagli. Ne emerge una fotografia “moderna”, già alla fine dell’800, quando il fotografo parigino inventa indirettamente l’album di fotografie, regalando al mondo un processo produttivo facile da attuare, causa della sua povertà in età avanzata.

André Adolphe Eugène Disderi è probabilmente il personaggio più singolare e caratteristico tra i fotografi del XIX secolo. Si avvicina alla fotografia proveniente dalla pittura, una delle arti in cui si è cimentato; e nel 1854 apre uno studio al n° 8 di Boulevard des Italiens, richiedendo contemporaneamente il brevetto per una sua invenzione in campo fotografico, la “Carte-de-visite”. Non dimentichiamo, poi, come Alessandro Pavia, fotografo genovese, con le Carte-de-Visite, abbia realizzato uno dei progetti più grandi della storia della fotografia. Vive in prima persona, nel 1860, l’epopea della spedizione dei Mille e concepisce l’idea di fotografare, uno per uno, tutti i partecipanti all’impresa.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con fotografia da leggere, ma anche da vedere questa volta. Il libro che incontriamo porta il titolo: “50 Icone della Fotografia, le storie dietro gli scatti”, di Hans-Michael Koetzle (Edizioni Taschen). Ne abbiamo parlato nella “Biblioteca che vorrei”, ma oggi ci interessa sottolineare la componente “da leggere”.

I libri di fotografie esplorano vari ambiti. Si va dalle antologiche degli autori, alla saggistica; dallo studio iconografico, all’approfondimento del linguaggio; dall’analisi compositiva, alle questioni tecniche. In realtà le immagini, soprattutto quelle famose, hanno influenzato radicalmente la percezione della realtà in ciascuno di noi; e l’hanno fatto nel tempo, nella storia: non modificando gli eventi, ma certamente favorendo comportamenti e suggerendo sensibilità. Il volume “50 icone della fotografia” tratta la storia dietro le immagini più straordinarie e famose, dimostrando la profonda influenza che queste hanno esercitato sulla società e sulla cultura.
Ogni capitolo di questa edizione speciale è dedicato a una singola fotografia, descritta e analizzata nel dettaglio e sotto ogni punto di vista: estetico, storico e artistico.

L’originalità del volume sta proprio nella prospettiva esplorata. Il valore iconografico di ogni opera risulta indiscutibile, ma su di esso si sviluppano notizie e curiosità: quali il nome del miliziano di Capa o i frangenti nei quali Marilyn Monroe arrivò a ferire le sue stesse immagini, quelle dell’ultimo mese vi vita, scattate da Bert Stern.

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NUOVO CINEMA PARADISO VINCE L’OSCAR

Il 26 marzo del 1990 Giuseppe Tornatore conquista l’America vincendo l’Oscar con “Nuovo Cinema Paradiso”, premiato come migliore film straniero. La pellicola (del 1988) rappresenta un’appassionata dichiarazione d'amore rivolta al cinema mediante il racconto dell’amicizia tra un bambino e il proiezionista scontroso di un cinema di paese.
“Nuovo Cinema Paradiso” ci ha riportato alla magia dei cinema di provincia, quando entrarvi voleva dire sognare, partecipare, crescere, frequentare. Eravamo agli albori di una “virtualità” consapevole, anche se inattesa; oggi migrata altrove e ricercata con morbosità e col peccato. Tornatore ha capito tutto e l’ha spiegato da par suo, con strumenti differenti. Del resto cinema, fotografia, e oggi i nuovi strumenti, altro non fanno che provare ad allungare la vita ai sentimenti, perché continuino a brillare anche quando la luce che li anima risulti irrimediabilmente spenta.

I film vivono di storie, che alle volte ci portano lontano con la fantasia, in ambiti mai esplorati eppure coinvolgenti. E’ il caso di “Nuovo Cinema Paradiso”, costruito su pochi elementi, trattati però in profondità. C’è Alfredo (Philippe Noiret), il proiezionista del cinema in paese, e un ragazzino che cresce al suo fianco mentre lui proietta le pellicole; emerge però anche la Sicilia del tempo, in un divenire incessante e ben ritmato. S’intuisce poi, sempre nel film, il ruolo della sala cinematografica: centrale nella vita della comunità, lì come altrove. Si andava al cinema, ecco tutto: frequentemente. Altri tempi.

Già, chi scrive andava al cinema tutte le domeniche, allo spettacolo pomeridiano (ore 14), qualsiasi fosse la pellicola proiettata. Non esistevano i pop-corn, allora; e le sedute erano di legno. Capitava spesso, nella sala parrocchiale, che immagini e suono non fossero sincronizzate. Dopo una pausa a luci accese, tutto riprendeva regolarmente, con quel fascio di luce che sullo schermo proiettava storie, attese, aspirazioni, sogni, con la prima sigaretta a tossire in gola: beata gioventù.

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HELMUT NEWTON A MILANO

Ecco cosa scrivevamo tempo addietro circa Helmut Newton.

Non è la prima volta che affrontiamo le immagini del fotografo berlinese. Le conosciamo, ma solo per averle già viste; e in ogni occasione, abbiamo scoperto un piano di lettura diverso: vogliamo osservarle ancora. “I grandi”, ci ha suggerito Giovanni Gastel, “con le loro opere attivano il pensiero di chi guarda, spesso con chiavi interpretative differenti”. “Io stesso”, ha aggiunto, “Con le mie fotografie, non offro mai una visione univoca”.

Ecco svelato il mistero. Se sentiamo il bisogno di vedere e rivedere, se questo ci aggrada, dipende dalla complessità dell’artista, ma anche dal nostro stato d’animo: possiamo essere sentimentali in un’occasione, analitici in un'altra; e così via. Con Newton la vicenda si complica. Le immagini del fotografo solleticano i sensori del gusto, la vista di ciascuno di noi. Le figure femminili solo in apparenza sono soggiogate dal volere maschile (sarebbe meglio dire maschilista?), o almeno non completamente: vivono consapevolmente, e agevolmente, in habitat eleganti, irraggiungibili ai più. I contorni, per così dire, sono di alta classe: in una scenografia di lusso.

E gli uomini? Non ci sono “maschi”, nelle fotografie di Newton, solo ragazzi e uomini di buona famiglia, alle volte indisponenti perché indifferenti: lontani dall’offerta o da quanto sta per avvenire. Già perché, di fronte alle immagini dell’artista, spesso abbiamo vissuto l’idea che qualcosa potesse muoversi, divenire. Le labbra che si avvicinano potrebbero toccarsi e non ci stupirebbe se carezze e movenze giungessero a compimento, o anche se la “ragazza sellata” iniziasse a “gattonare” per noi, per tutti. Ecco un altro mistero che si scioglie. Quante volte ci siamo detti che nelle fotografie di Newton non compare la volgarità? Approfondiremo l’argomento, ma in parte abbiamo già risposto: manca l’uso e l’abuso, esiste solo la provocazione. Si comprende così come sia facile perdonare qualche traccia di violenza: i busti, gli arti ingessati, le fruste, aggiungono retrogusto e sapore a degli ambienti (le location) che alla fine risulterebbero troppo classici, se non addirittura stucchevoli.

Tutto questo lo sapevamo già. Entriamo in Palazzo Reale.

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