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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da leggere”. Questa volta incontriamo “Le fotografie del silenzio” (Forme inquiete del vedere), di Gigliola Foschi. Editore Mimesis/Accademia del silenzio (maggio 2019).

In effetti, il silenzio potrebbe rappresentare una ricchezza, soprattutto oggi, visto che siamo circondati da rumori “predefiniti”, usuali e, per questo, fastidiosi. Insomma, viviamo in ambiti inquinati acusticamente, anche tra le mura domestiche. Pensiamo ai bip dei messaggi o dei telecomandi.
Non è comunque questo il territorio dove si sviluppa il saggio di Gigliola Foschi. Il silenzio che la fotografia potrebbe offrirci è anche quello interiore, dove ci si può interrogare senza disturbi esterni. L’immagine non è né muta, né sorda; ma il suono che emette va ascoltato attentamente: in silenzio appunto.

Si legge a pagina 9

Silenzio della foto. Una delle sue qualità più preziose, a differenza del cinema e della televisione, a cui bisogna sempre imporre silenzio, senza riuscirci. Silenzio dell’immagine, che succede (o dovrebbe succedere!) a ogni commento. Ma silenzio anche dell’oggetto, che strappa al contesto ingombrante e assordante del mondo reale. Qualunque siano il rumore e la violenza che la circondano, la foto restituisce l’oggetto all’immobilità e al silenzio. In piena confusione urbana, essa cerca l’equivalente del deserto, un isolamento fenomenale. La foto è il solo modo di percorrere la città in silenzio, di attraversare il mondo in silenzio.

(Jean Baudrillard)

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BRUCE, DURO A MORIRE

Bello, virile, spavaldo: questo è Bruce Willis. I suoi film piacciono per un’interpretazione originale, dove anche nei momenti difficili spunta un sorriso accennato, che poi è quello della sfida, dell’uomo che non si arrende. C’è poi sempre una donna da riconquistare, persa per via degli impegni da poliziotto; ma le cose si aggiustano sempre.
Noi lo ricordiamo in due tipologie di film: Die Hard e FBI protezione testimoni. In quest’ultimo, peraltro raddoppiato da una versione 2, Bruce affronta un ruolo comico, dove la durezza dei suoi metodi sono messi a confronto con l’impaccio di un dentista sempre in imbarazzo. Le due pellicole si vedono volentieri, anche in televisione.
Per le fotografie ci siamo rivolti, come spesso accade, ad Annie Leibovitz; sempre attenta nei ritratti delle celebrità.

Bruce Willis, note biografiche

Walter Bruce Willis è nato il 19 marzo 1955 a Idar-Oberstein, Germania Ovest, da madre tedesca, Marlene Kassel, e padre americano, David Andrew Willis (di Carneys Point, New Jersey). Entrambi allora vivevano in una Base militare degli Stati Uniti. La sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti poco dopo la sua nascita ed è cresciuto a Penns Grove, nel New Jersey, dove sua madre lavorava in una banca e suo padre era un saldatore. Willis ha sviluppato un interesse per le arti drammatiche al liceo, ed è stato presumibilmente "scoperto" mentre lavorava in un caffè a New York City.

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LA COMUNE DI PARIGI

Il 18 marzo 1871 a Parigi il popolo insorge. Vuole decidere del proprio futuro. Nasce la Comune di Parigi, che è pima di tutto il rifiuto di delegare a una classe politica il possesso del proprio destino. Gli insorti del 18 marzo 1871 decidono che al presente si risponde provando a pensare il futuro, cambiando le regole del gioco. Bisogna provare a governare, il che vuol dire «cambiare», non semplicemente «amministrare».

Abbiamo usato il 18 marzo come un pretesto, perché volevamo parlare di Parigi, dei suoi tanti volti, magari menzionando due dei molti fotografi che l’hanno raccontata.
Siamo stati a Parigi, ma da turisti. Volevamo vedere, per offrire la prova a noi stessi di esserci stati e poterlo raccontare. Ancora oggi ne saggiamo il ricordo. Chiudendo gli occhi, ci pare di vedere quella città, di camminarci dentro, scorgendo angoli già visitati (e fotografati) da altri.

Il merito è della Capitale francese, capace di concedersi al pensiero e all’idea, creando addirittura dei modelli di comportamento. Il termine “Bohémien”, ad esempio, nasce in Francia, quando artisti e poeti iniziarono a popolare i bassifondi e i quartieri popolari. Si trattava di giovani creativi che volevano fuggire, distaccarsi, cercando una libertà loro, personale e aggregante al tempo stesso. Solo a Parigi avrebbero potuto farlo.

“Se sei abbastanza fortunato ad aver vissuto a Parigi come un giovane uomo, allora per il resto della tua vita ovunque andrai, essa rimarrà con te, perché Parigi è una Festa Mobile”. Scrisse Hemingway nel suo Parigi è una festa, piccolo libro dove racconta il suo soggiorno nella città e le avventure che colà ha vissuto.
Ma tanti hanno fatto compagnia allo scrittore statunitense. E’ la favolosa Parigi d'inizio '900, ma anche quella del dopoguerra, tra Montmartre, Montparnasse e pure altrove: Picasso, Utrillo, Modigliani, Apollinaire, Coctau, Berenice Abbott, Robert Capa (che lì incontrerà Ingrid Bergman). Pure Elizabeth "Lee" Miller, oggi tanto di moda, per fotografare lascerà la New York del lusso, di Vogue e Steichen, per fuggire a Parigi e cambiare la sua vita.

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IL POETA DI PRAGA

Ne abbiamo parlato tre anni addietro, ma desideriamo farlo ancora ancora. Josef Sudek, fotografo praghese per eccellenza, continua a incuriosirci. Ad attirarci è la semplicità che gli è propria, forse quella tristezza deducibile dai suoi scatti. La vita lo ha fatto soffrire, tanto; relegandolo alla solitudine; ecco quindi il silenzio palesato dalle sue opere: intimo, interiore, mal celato da una ricerca visiva prossima al suo esistere, eppure prolungata nel racconto. C’è curiosità, nelle immagini che ha lasciato al tempo. Con tanta sensibilità, e delicatamente, ha documentato la realtà giocando con i particolari anche quando si occupava di paesaggio. Ne è nato un autoritratto sincero, spontaneo, senza urli o grida: muto si potrebbe dire.

Sudek raramente fotografava le persone e, quando comparivano nelle sue inquadrature, diventavano ombre, all’interno di spazi urbani vuoti, colmi di malinconia. Spesso ritraeva il paesaggio visibile dalla finestra del suo studio, che quindi risultava già inquadrato. L’intimità, però, ne usciva esaltata, quasi che in quei scatti cercasse un continuo dialogo con se stesso. Del resto, due guerre lasciano il segno, soprattutto quando nel corpo permangono le menomazioni degli eventi bellici. Un braccio amputato (eredità della prima guerra mondiale) ha accesso continuamente ricordi tristi e anche rimpianti, perché la vita sarebbe dovuta cambiare per forza, e in peggio.

L’arrivo della II° Guerra mondiale, e le sue conseguenze, hanno peggiorato la sua situazione morale. Sudek si chiuderà ancora di più nella sua solitudine. Lo salveranno la fotografia e l’amore per la musica classica: unico suono armonioso nel silenzio della vita.

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