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JAMES LEBRON, IL PREDESTINATO

Il 30 dicembre ricorrono due compleanni illustri: di Eugene Smith (nato il 30 dicembre 1918) e Patti Smith (nata il 30 dicembre 1946). Di loro abbiamo parlato gli anni scorsi, così quest’anno ripieghiamo sulla passione (di chi scrive) per la pallacanestro, incontrando una leggenda della palla a spicchi: James LeBron.

Che lo sport del canestro sia degli alti è cosa risaputa, ma lassù la lotta è aspra e per emergere occorrono le doti di sempre: applicazione, impegno, coraggio e fantasia. James ha avuto un’infanzia difficile, accompagnata dalla povertà. Ha iniziato ad amare cerchio e retina sin da piccolo, per via di un regalo di sua madre. E’ stato il suo primo allenatore a forgiargli l’autostima, spalancandogli le porte per una carriera invidiabile. Quattro titoli NBA vinti (in tre città diverse) parlano da soli, ma emergono soprattutto i suoi numeri nei campionati disputati, tra punti segnati, rimbalzi conquistati e assist. Il suo fisico è straordinario, modellato per il parquet. I fondamentali in suo possesso lo rendono vincente in molti ruoli: ala piccola, ala forte, spalle a canestro; ma lui palleggia anche molto bene, per cui risulta praticamente immarcabile. Dalla lunga distanza le sue percentuali sono buone. Che dire quindi? E’ già una leggenda. Il suo nome brillerà al pari di Jordan, Bird, “Magic”, Briant; perché predestinato.
Anche a livello mediatico il suo valore commerciale è alto ed è curioso il fatto che Vogue gli abbia dedicato una copertina assieme alla Top Model Gisele Bundchen. Chi ha scattato la fotografia? Non poteva che essere lei, Annie Leibovitz; capace com’è d’interpretare i soggetti e i contesti che li contengono. Le due immagini che proponiamo parlano da sole.

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ACCENDIAMO LA RADIO

Il 29 dicembre del 1891, l'inventore americano Thomas Edison brevettava la radio, strumento che sarebbe divenuto fondamentale in vari campi, arrivando vivo e vegeto fino ai giorni nostri. Edison fu il primo imprenditore che seppe applicare i principi della produzione di massa. LIFE lo classificò al primo posto tra le "100 persone più importanti negli ultimi 1000 anni", anche grazie all’invenzione della lampada ad incandescenza.

Non vogliamo entrare nei dettagli dell’invenzione, ma comprenderne il significato sociale e culturale. Se ci pensiamo, di apparecchi nella nostra vita ne abbiamo visti tanti: grandi e di legno quelli dei nonni, più piccoli e a transistor nelle mani dei nostri genitori. E poi, il loro suono riconoscibile usciva dalle finestre d’estate, animava negozi e bar; e le domeniche pomeriggio accompagnava le passeggiate degli adulti in attesa dei risultati di calcio. Che dire poi delle emittenti? Erano nazionali o lontane, fino agli anni ’70; libere subito dopo, distribuite capillarmente un po’ ovunque. La radio molto presto ha iniziato anche a far sentire la sua voce in auto, particolarmente nelle ore notturne. «La radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei», così cantava Ligabue in Certe Notti. Perché, è vero: la radio è intima, personale, vicina all’individuo; e forse a questo deve la sua longevità. C’è un DJ pronto a parlarti anche al buio, quando la notte vuole lasciarti a pensare, con solo la strada davanti illuminata dai fari. Si potrebbe poi parlare delle trasmissioni, tipo “Supersonic” (metà anni ’70), o delle emittenti private, come “Punto Radio Zocca” del primo Vasco Rossi; ma il discorso cadrebbe nella retorica più nostalgica. Sta di fatto che l’apparecchio radio è ancora lì, vivo e vegeto; nonostante internet, i social, lo smartphone. E’ lui a scegliere noi, nei momenti della nostra giornata. Accendiamolo.

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ANDIAMO AL CINEMA

Ne abbiamo parlato due anni addietro. Sabato 28 Dicembre 1895 nasce il cinema per merito dei fratelli Auguste e Louis Lumière, con una proiezione pubblica. L’evento si è tenuto nel Salone Indiano del seminterrato del Grand Café, in Boulevard des Capucines, la strada dove era ubicato lo studio di Felix Nadar. Auguste e Louis Lumière si trovarono la strada spianata dall’invenzione di George Eastman, che nel 1885 aveva brevettato la pellicola cinematografica. Per assistere alla prima proiezione pubblica occorreva pagare (1 franco il costo del biglietto) e vi assistettero trentatré persone. Vennero mostrati dieci cortometraggi, tra cui: “L’uscita dalle officine Lumière”, “La colazione del bimbo”, “La pesca dei pesci rossi”, “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat”.
La stampa definì l’evento come straordinario e anche il pubblico si manifestò entusiasta. La folla iniziò ad accalcarsi nelle vie limitrofe: tutti volevano andare al cinema. Sì, perché i Lumière non crearono il primo film della storia, ma inventarono il concetto stesso di cinema, inteso come proiezione su uno schermo di un film per un gruppo di persone riunite in una sala. Tutto era iniziato il 22 marzo sempre del 1895, a Parigi, quando i fratelli Lumiere organizzarono la prima proiezione privata di un film, “L’uscita dalle officine Lumière”, usando un cinématographe. E’ da questo termine che deriverà poi la parola "cinema". L’anno precedente il padre dei due fratelli ebbe occasione di assistere a una dimostrazione del kinetoscopio di Edison e propose ai suoi figli di cercare un sistema per perfezionarla. I due fratelli crearono un apparecchio in grado di registrare immagini in movimento e di proiettarle su uno schermo. Il loro film consisteva nella riproduzione di una sequenza di fotogrammi 35 mm, forati ai bordi perché la pellicola potesse essere trascinata.

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VIAGGIATORE IN ITALIA

Due sono i compleanni famosi che si celebrano il 27 dicembre: quello di Gérard Depardieu, l’attore francese, nato il 27 dicembre 1948; e l’altro di Marlene Dietrich, nata il 27 dicembre del 1901. Di entrambi abbiamo già parlato in passato, così scartabellando qua e là, ci siamo imbattuti in una storia strana e interessante, quasi intangibile: quella del fotografo Frank Monaco. Il cognome parla di origini italiane e sarò proprio “casa nostra” ad aprirgli le porte della fotografia.
Le fonti (solo in rete) poco ci dicono di lui come persona. Certo, il cognome sembrerebbe svelarci un fotografo duro, tenace, con una vita condotta al limite. Le fotografie, però, parlano d’altro: uno sguardo infantile alla ricerca del bambino che è negli altri.

Lui era un interprete delle vite semplici e dei modi di vivere comuni. Ha iniziato a fotografare giusto in tempo per documentare gli ultimi giorni di una cultura tradizionale, quella del Molise, nel sud d’Italia, dove sua madre era cresciuta prima di emigrare a New York. Le sue immagini del piccolo villaggio di montagna di Cantalupo nel Sannio (Isernia) sono state riconosciute non solo come fotografie straordinarie, ma alla stregua di una testimonianza unica circa uno stile di vita rurale che stava scomparendo.
Ha viaggiato in Italia, Frank Monaco, non solo a Cantalupo. A dire di molti, l’edizione italiana di un suo libro risulterebbe la migliore. Bene così, ci fa piacere.

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