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ROD STEWART, IL PROVINCIALE CHE PIACE

Piaceva, Rod Stewart: molto; certo non per la bellezza. Lui è stato bravo a non svestirsi del tutto da quel ragazzo di provincia dai capelli strani, ribelle a piccole dosi. Il suo atteggiamento non era di protesta, ma di sicuro proponeva un’alternativa all’omologazione maschile. Giocava bene a calcio e questo la dice lunga circa il suo substrato di provenienza.
La voce l’ha aiutato molto, questo è certo, facendolo diventare anche un ottimo esecutore di cover. Nella nostra lista d’ascolto, oltre ai brani che enunceremo, abbiamo: Sailing, The First Cut is the Deepest e Bewitched (un brano di Richard Rodgers del 1940, cantato anche da Ella Fitzerald). Per il resto, c’è poco da dire: non siamo ai livelli di Joe Cocker. I suoi dischi venivano regalati per non sbagliare e spesso costituivano una colonna sonora d’intrattenimento. I gusti spesso si legano alla generazione e chi scrive gradiva maggiormente un ascolto più “ruvido”. Altri tempi, comunque. Rod Stewart merita la fama che si è conquistato. Applausi.

Conosciuto per la sua caratteristica voce roca, il cantautore britannico Rod Stewart si è esibito in diverse band britanniche negli anni '60. Una volta intrapresa la carriera da solista, "Maggie May" divenne il suo primo singolo degno di nota, nel 1971. Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1975, le canzoni di successo di Stewart includevano "Tonight's the Night" (1976) e "Do Ya Think I'm Sexy?" (1978). Ha vissuto una pausa di carriera durante gli anni '80 e '90, ma è tornato alla ribalta cantando i classici negli anni 2000, vincendo un Grammy Award come miglior album vocale nel 2004.

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FOTORAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con Fotografia da Leggere. Il consiglio per la lettura è “Sulla fotografia” (Realtà e immagine nella nostra società), saggio scritto da Susan Sontag (Edizioni Einaudi), un testo che non può e non deve mancare nella biblioteca del professionista, dell’amatore, di colui che anche lontanamente si interessi di fotografia. Il volume è stato scritto nel 1977, ma resta attuale: soprattutto per una comprensione ragionata della fotografia, sui suoi effetti sulla società e circa lo spazio importante che si è ricavata nel tempo (pensiamo a quello di oggi!).
La pubblicazione comprende delle parti storiche, dove si parla di reportage, di foto-giornalismo, con un riferimento diretto agli accadimenti accaduti durante la vita della scrittrice. Molto belli, nel saggio, sono i riferimenti a Diane Arbus e ai maestri della fotografia americana quali Walker Evans e Robert Frank. Una parte corposa è poi dedicata all'ambiguità della fotografia, del potere che ha nell’intrappolare una quantità enorme, e crescente, di nozioni, oggetti, persone e luoghi del mondo. Fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa, stabilendo con il mondo una relazione particolare che restituisce il senso del potere.
Come vedremo, Negli anni '80 iniziò una relazione con la fotografa Annie Leibovitz, durata fino alla morte della Sontag, per leucemia. Le due donne, insieme, spingono in alto i valori della fotografia: Annie con le sue immagini delle rock band (ma anche dello star system) e Susan con i propri saggi.

La Sontag diceva spesso: «Ciò che è importante ora è riscoprire i nostri sensi”. “Dobbiamo imparare a vedere di più, ad ascoltare di più, a sentire di più». Di mezzo c’era certamente la rivoluzione sessuale, ma anche un tentativo profondo di esaltare il senso estetico.

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ARNOLD GENTHE, CULTURA E RITRATTI

La storia spesso nasconde i suoi protagonisti, anche in fotografia. E’ il caso di Arnold Genthe, tedesco, migrato negli Stati Uniti dopo gli studi umanisti nel suo paese. Abiterà prima a San Francisco, poi a New York. In California vedrà tremare la terra e ne subirà le conseguenze, restituendo però ampia documentazione dell’accaduto e anche della città prima dell’evento tellurico.
A San Francisco viene affascinato dal quartiere cinese, che si impegna a documentare. Forse è in quelle circostanze, pensiamo, che inizia ad approcciare al ritratto, almeno per ciò che concerne la relazione. A New York ritrarrà molte celebrità, tra queste Greta Garbo, Lee Miller, Peral S. Buck, la scrittrice che ha ambientato molti dei suoi romanzi in Cina. Ha anche viaggiato molto, Genthe, aspetto che abbiamo tralasciato; ma la sua ritrattistica si manifesta in maniera imponente, assieme a quella cultura coltivata in gioventù. La storia della fotografia gli deve molto.

Arnold Genthe nacque l'8 gennaio 1869 a Berlino, in Germania, da Luise Zober e Hermann Genthe, professore di latino e greco al Graues Kloster (Monastero grigio) di Berlino.
Ha frequentato il Wilhelm Gymnasium ad Amburgo, in Germania, proseguendo gli studi in filologia classica, archeologia e filosofia presso le Università di Berlino e Jena, ottenendo un dottorato in filosofia nel 1894. Ha studiato anche alla Sorbona di Parigi dal 1894 al 1895.

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TANTI AUGURI FOTOGRAFIA

Con una ricorrenza quale quella di oggi non possiamo fare altro che ripetere quanto detto due anni addietro, aggiungendo comunque qualcosa.
Il 7 gennaio 1839, ai membri dell'Académie des Sciences francese furono mostrati, dallo scienziato François Jean Dominique Arago, i prodotti di un'invenzione che avrebbe cambiato per sempre la natura della rappresentazione visiva: la fotografia. Le immagini sorprendentemente precise che hanno visto erano opera di Louis-Jacques-Mandé Daguerre (1787–1851), pittore e incisore romantico fino ad allora famoso come proprietario del Diorama, un popolare spettacolo parigino con pittura teatrale ed effetti di luce. Ogni dagherrotipo (come Daguerre soprannominò la sua invenzione) era un'immagine unica su un foglio di rame placcato argento altamente lucido.
Da quel gennaio 1839, il pennello non sarebbe più stato il solo a rappresentare la realtà. La «scrittura con la luce» (questo il significato del termine fotografia, declinato per la prima volta da sir John Frederick William Herschel in una lettera a Fox Talbot il 27 febbraio 1839) avrebbe trasportato il mondo in un altro mondo, quello dell’aderenza con la realtà.

La fotografia, da quel 1839, è cambiata nel tempo: quasi da subito, se consideriamo che il dagherrotipo è vissuto solo vent’anni. I punti di non ritorno sono stati tanti, fino al digitale di oggi. Di mezzo ci sono stati ritratti, paesaggi, reportage, moda, per una realtà interpretata e dedicata a chi volesse osservarla. Del resto Edward Steichen ebbe ragione nel dire: «Missione della fotorafia è raccontare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso».

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