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NASCE IL REGGISENO

Il 3 novembre 1914, Mary Phelps Jacob, ventitreenne newyorchese, ottiene il brevetto del reggiseno. Oltre che per quell’invenzione epocale, diventerà famosa, con lo pseudonimo di Caresse Crosby, come editrice di grandi autori, tra cui: Ernest Hemingway, Henry Miller, Anaїs Nin e Charles Bukowski.

Non siamo esperti di moda, tantomeno d’intimo; ma non accogliamo con semplicità le affermazioni che definiscono il reggiseno come un elemento di seduzione. Può esserlo, per carità; e in molti film appare come tale. E’ comunque un accessorio indossabile da colei che l’utilizza, senza l’aiuto di nessuno; al contrario del corsetto, che prevedeva l’intervento di qualcun altro. Insomma, se rivoluzione è stata, ne ha tratto vantaggio la donna, che comunque lo sceglie per come vuole apparire, indossandovi sopra il vestito, senza cioè far sì che si veda per forza. Per il resto, nell’iconografia cinematografica, la donna in reggiseno appare il più delle volte in un ambiente domestico, a sottintendere confidenza o anche fretta d’agire, non per forza seduzione. Una donna mezza vestita, con quell’indumento addosso, sta per uscire e dialoga per quanto sarà. Di fotografie famose con il reggiseno come accessorio evocativo ve ne sono tante. Ne abbiamo scelte due, utili per accompagnare la storia della donna che l’ha inventato: la scena di un film e uno scatto di Helmut Newton; semplicità e seduzione, i due estremi possibili.

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CAMILLO BENSO DI CAVOUR, UNA FOTOGRAFIA IN TRIBUNALE

Il 2 novembre 1852, Camillo Benso conte di Cavour viene nominato Presidente del Consiglio del regno sabaudo. Con quel ruolo, prosegue l'opera di modernizzazione del regno: l'apertura verso i mercati esteri dell'economia piemontese, la realizzazione di numerose opere di canalizzazione e l'allargamento della rete ferroviaria. L’innalzamento del prelievo fiscale e i progetti di laicizzazione dello stato suscitano un forte disappunto. Il 26 aprile 1855 Cavour è costretto a rassegnare le dimissioni, ma il Re è costretto il 3 maggio a richiamarlo alla guida del governo.

Oggi, però, non parleremo di politica, ma di una fotografia che ritrae il conte Camillo Benso, scattata a Parigi. Finirà in tribunale, come elemento probante di una causa sui diritti d’autore o giù di lì: una novità per il tempo.

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NASCE IL RAGAZZO DI MEOLO

Non è la prima volta che ci occupiamo di Fulvio Roiter, ma mai lo abbiamo fatto in maniera approfondita. Ce ne sentiamo in colpa, questo è certo: per il valore del fotografo e per quanto ancora oggi ci sta lasciando, pur con la sua dipartita. Sentiamo solo il desiderio di giustificarci: non tanto per chiedere scusa, quanto per comprendere meglio quanto abbiamo letto, negli anni, all’interno delle sue immagini, ricche di un equilibrio formale quasi istintivo.

Ebbene, con Roiter non riusciamo a tirare in ballo le tante regole che attanagliano la fotografia “parlata”. Nelle sue immagini c’è l’attimo “bressoniano”? Non sappiamo. Troviamo il racconto degli umanisti? Difficile rispondere. Riconosciamo i dettami del reportage? Nessuno può dirlo. Con un po’ di umiltà, e con tanta paura di essere fraintesi (il nostro giudizio è oltremodo positivo) riconosciamo nel nostro le qualità di un prestigiatore, di un medium. Lui riesce a confezionarci degli scatti che possiedono, al loro interno, la giusta complessità, le prospettive inusuali, quel tanto di emozione che quasi non riesci a spiegarla: com’è giusto che sia. Per il resto (e anche qui chiediamo scusa) lui rimane un autore del dopoguerra, di quel periodo nel quale i circoli (leggendari i nomi: la Bussola, la Godola, e via dicendo) sono stati i promotori della fotografia italiana, assopita (non del tutto, a dire il vero) da un ventennio di rincorsa.

Di Roiter ci piace la sua prima Sicilia, la Venezia dei sogni, il Brasile; ma anche quella vita che l’ha portato, in gioventù, a dormire in stazione solo per frequentare quel circolo (la Gondola, in questo caso) che tanto gli stava dando in contenuti e consapevolezza. Tutto parte da lontano, dalla direzione che diamo alle storie della vita. Per il momento, guardiamo i suoi libri (ne possediamo tre) e ci consoliamo con le immagini. La speranza è quella per la quale la poca attenzione che gli abbiamo dedicato rimanga solo un episodio, non replicato da altri.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Conoscere i fotografi è importante per rendere consapevole la nostra passione per lo scatto, questo perché la fotografia è una pratica relazionale e occorre comprendere, per gli autori più famosi, come le vicende della vita possano aver influito sulla loro creatività. “Il mio ritratto” di Margaret Bourke-White (Edizioni Contrasto) può aiutarci ad aprire il nostro sguardo su cosa l’autrice americana abbia messo in atto per primeggiare nell’immagine, oltre ovviamente al coraggio. Già perché lei è stata la prima donna in molti ambiti e questo risulta essere il valore aggiunto che si ottiene dalla lettura della sua autobiografia.

Già, la “Prima donna”; ecco cosa scrisse Alessandra Mauro, curatrice della mostra della mostra milanese, a Palazzo Reale, tenutasi dal 25 settembre 2020 al 2 giugno 2021. «Una donna di primati, Margaret Bourke-White; la prima ad arrampicarsi sulle colate di ferro delle fonderie e ad affrontare il calore delle fornaci per realizzare fotografie industriali insolite, visionarie; la prima ad affrontare la fotografia aerea (“se ti trovi a trecento metri di altezza, fingi che siano solo tre, rilassati e lavora con calma”, era il suo motto); la prima a realizzare un libro di testi e fotografie sulla Depressione degli anni Trenta nel Sud degli USA; la prima a documentare la Russia del piano quinquennale e l’unica a ottenere una sessione di posa da Stalin. La prima per cui viene disegnata la divisa di corrispondente di guerra, e poi, la prima a riprendere l’orrore del campo di concentramento di Buchenwald, a testimoniare l’India nel momento di separazione con il Pakistan e l’unica a realizzare un intenso ritratto del Mahatma Gandhi a poche ore dalla sua morte. La prima a scendere sottoterra con i minatori in Sud Africa, a fotografare la segregazione razziale degli USA a colori. La prima, soprattutto, a non sottrarsi alla macchina fotografica diventando a sua volta il soggetto di un reportage che documenta, con la forza e la tenerezza dello sguardo del collega Alfred Eisenstaedt, la sua lotta contro il Parkinson che la immobilizzerà e la porterà alla fine. In quei momenti Margaret, famosa per la sua eleganza e il gusto innato per i vestiti, non ha paura di mostrarsi debole, invecchiata e impaurita. La prima, insomma, quasi in tutto. Con le sue immagini, le sue parole, la sua vita, Margaret Bourke-White è stata in grado di creare un personaggio forte e invidiabile costruendo il mito attraente di se stessa, donna e fotografa».

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