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LOVE ME TENDER

15 novembre 1956, esce nelle sale cinematografiche statunitensi il primo film in cui compare Elvis Presley: Love Me Tender. Elvis non è il protagonista ed entra nella trama di un western semplice, forse banale, fatto di amori, guerra e morte retorica. Ovviamente Elvis entra nella colonna sonora, dove canta appunto “Love me tender”, una delle sue ballate più celebri e riconoscibili. Quel brano divenne disco d’oro già con le prenotazioni.

Elvis diventa un fenomeno e forse era un predestinato, anche quando nessuno scommetteva su di lui. Si dice che tutto sia nato da un regalo della madre: quella chitarra comprata al posto della bicicletta che il figlio avrebbe desiderato. Andando avanti, ecco arrivare Menphis, dove la famiglia di Elvis si è trasferita. Lì il futuro cantante riesce a mescolare la musicalità nera con la sua anima bianca, sviluppando anche le movenze che l’avrebbero reso famoso. C’è dell’altro, però, perché l’America sta cambiando e il suo conformismo storico inizia a scricchiolare. Quel ragazzo dai capelli folti e neri provoca anche sessualmente, senza imbarazzo, in semplicità; diventando il simbolo di un nuovo pensiero e di desideri rinnovati. Pare che anche Bruce Springsteen, quello di “I’m on Fire”, si sia ispirato al cantante del Mississippi per formulare la sua carriera, pur con risultati artistici differenti.

Elvis Presley è diventato un’icona, osannata ancora oggi. Il suo merito sta nell’aver contribuito alla genesi del rock and roll. Love me tender, comunque, la si ascolta volentieri ancora oggi. La sua forma “a ballata” di certo ha ispirato la fantasia di tanti altri compositori.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Domenica d’autunno, ideale per la lettura. Un libro diventa un amico, soprattutto se dedicato alla nostra passione e firmato da un autore fotografo e scrittore, Ferdinando Scianna. Il volume è “Lo specchio vuoto”, fotografia, identità e memoria (Editori Laterza). Scorrendo le righe, diventa piacevole riconoscersi, tra elementi storici, sociali e di costume; ma soprattutto risulta splendido comprendere una volta di più come la fotografia abbia influito sull’uomo e sulla sua coscienza di sé. Si parte da Narciso, colui che si specchia nell’acqua cadendovi dentro: non per vanità, ma per il fatto di vedere un altro ragazzotto di bell’aspetto: un altro di sé. Il “narcisismo” che gli abbiamo sempre attribuito è diventato una definizione di comodo, forse non meritata. Per lui, finirà male; ma un fiore ne sorreggerà il ricordo.

Con la fotografia tutto cambierà, ma tante cose si erano modificate prima, con la Rivoluzione Francese e il “positivismo”, corrente filosofica, quest’ultima, fatta di scienze e misurazioni, di vero e reale. Come dire: la fotografia è arrivata al momento giusto; serviva in quel momento storico e gli uomini la inventarono (Alberto Savinio)

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Quasi a conclusione di questa introduzione, ma all’inizio del libro, leggiamo: «[…] i processi cerebrali che hanno a che fare con le immagini sono determinanti per lo sviluppo della coscienza e dell’identità stessa. Insomma, siamo uomini anche perché produciamo immagini, e produciamo e consumiamo immagini perché siamo uomini, per costruirci come individui dotati di coscienza».

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LEOPOLD E WALT, FANTASIA

13 novembre 1940, negli Stati Uniti viene proiettato in anteprima il film Fantasia della Disney, la cui uscita su scala nazionale avverrà il 6 gennaio 1942. La pellicola nasce dall’idea di due grandi, Leopold Stokowsky (il direttore d’orchestra) e Walt Disney, che progettarono di fondere musica e disegni animati. Per il protagonista si era pensato al solo Topolino, mentre da vita all’Apprendista Stregone (musiche di Paul Dukas). Il risultato avrebbe dovuto configurarsi come un “corto”, ma alla fine ne nacque un vero e proprio lungometraggio, proiettato in stereofonia su volere dello stesso Disney. I riscontri della critica furono tiepidi, anche per via dei costi sostenuti, anche se il tempo avrebbe celebrato Fantasia come uno dei capolavori di Disney.

Il film è suddiviso in sette episodi e apre con la Toccata e fuga in Re minore di Johann Sebastian Bach. Segue la suite dallo Schiaccianoci di Pëter Il'ic Cajkovskij e dopo l'Apprendista Stregone di Paul Dukas, dove Topolino è alle prese con la magia. Il film prosegue con le musiche di Igor Stravinskij da La Sagra della Primavera. E’ la storia della Terra, quella messa sullo schermo, addirittura prima della sua nascita. Poi, a poco a poco, il pianeta prende forma e arriva la vita. La musica diventa imperiosa quando due dinosauri si affrontano. Con la Sinfonia Pastorale di Ludwig Van Beethoven, siamo alle pendici del monte Olimpo, dove prendono vita gli dei greci e le altre creature della mitologia. Il pezzo forte, a nostro avviso, arriva con la Danza delle Ore di Amilcare Ponchielli, dove si assiste a un balletto tra ippopotami, coccodrilli, struzzi ed elefanti. Per chiudere, Disney si affidò uno dei suoi temi più classici: lo scontro tra il bene e il male, notte e giorno. La musica è Una Notte sul Monte Calvo di Modest Musorgskij. Il bene arriva all'alba, quando le campane costringono le creature a tornare nell'ombra e l'orchestra esegue l'Ave Maria di Franz Schubert.

Diverse generazioni hanno visionato “Fantasia” e tutte l’hanno celebrato come un capolavoro. La fusione tra cartoni animati e musica classica a tutt’oggi rappresenta un’avanguardia nell’ambito della multimedialità.

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LA CAMERA DIVENTA CHIARA

Col titolo, abbiamo scherzato circa il saggio scritto dall’autore che incontriamo oggi: Roland Barthes. Stiamo parlando de “La Camera Chiara – Nota sulla Fotografia”, un libro che non dovrebbe mancare nella biblioteca di chi nutra passione per l’immagine fotografica. Diciamo che il “diventa chiara” del titolo risulta giustificabile per il fatto che l’intellettuale francese s’interroga su cosa sia la fotografia; questo prima di addentrarsi in questioni personali ed emotive. Un bell’incontro, quello di oggi.

Roland Gerard Barthes è stato un influente filosofo e critico letterario francese, che ha esplorato la teoria sociale, l'antropologia e la semiotica, la scienza dei simboli e ha studiato il loro impatto sulla società. Il suo lavoro ha lasciato un'impronta sui movimenti intellettuali dello strutturalismo e del post-strutturalismo.

L'opera più famosa di Barthes è un saggio intitolato "La morte dell'autore" (1967) in cui presenta la sua famosa teoria letteraria. Si oppone fermamente all'incorporazione del background, dell'educazione, della casta, dell'etnia, della religione, della nazionalità e del genere di un autore durante l'interpretazione delle sue opere letterarie.

Barthes era del parere che uno scrittore e il suo lavoro dovessero essere entità separate, e quindi non correlabili quando il suo lavoro veniva esaminato criticamente. Tenere presente il pregiudizio e le inclinazioni religiose e politiche dell'autore mentre si esaminano i suoi testi potrebbe sembrare un modo più semplice per comprendere le sue opere, ma in realtà si tratta di un sistema imperfetto che può potenzialmente limitare la comprensione dei lettori.

Il suo approccio critico alla letteratura ha contribuito notevolmente allo sviluppo della semiotica, dello strutturalismo e del post-strutturalismo. La sua filosofia non si limita a queste scuole di pensiero; in effetti, ha influenzato varie modalità di comunicazione, come la fotografia, la musica e persino i computer. Il lavoro di Roland Barthes è in continua evoluzione e sempre adattabile, fornendo nuove intuizioni ai filosofi letterari anche oggi.

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