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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Riprendiamo con la rubrica del lunedì, la “Fotografia da Leggere”; il giorno dopo però (chiediamo scusa). Oggi incontriamo un libro intimo, anche per chi legge. Si tratta di “Vita di Luigi Ghirri, Fotografia, Arte, Letteratura e Musica” firmato da Vanni Codeluppi (Carocci Editore).
Nel guardare le immagini del fotografo di Scandiano ci s’immerge nel silenzio visivo, non perché riguardino luoghi privi di rumori, ma per il fatto che creano uno spazio di silenzio dentro chi osserva, trasportando altrove i suoi pensieri abituali. La definizione è di Gigliola Foschi, autrice del libro “Le fotografie del silenzio”, peraltro riportata anche nel volumetto che abbiamo tra le mani. Nello sviluppo dei contenuti, l’autore tenta (riuscendovi) di offrire una spiegazione filosofica alle fotografie di Luigi Ghirri e anche al silenzio interiore che riescono a far scaturire.

Leggiamo nel prologo. Dieci fotografie di Luigi Ghirri. Non sono le più importanti, soltanto alcune tra le centomila scattate. Ognuna di queste, però è legata a un’importante componente della filosofia estetica del fotografo, così come a un decisivo capitolo della sua vita di essere umano. Un’esistenza che è stata breve e non avventurosa, ma sicuramente intensa.
[…]
Arrivato alla fine del suo esistere, Luigi si è accorto di aver messo insieme un immenso mosaico, che rappresentava magicamente il suo volto. Ha capito, cioè, che noi essere umani siamo interamente costituiti di quel mondo che ci circonda, ci entra dentro e ci dà vita. Come ha fatto Luigi, si tratta solo di lasciarlo passare, senza opporre alcuna resistenza.
Del resto, lui impara come i legami con gli altri siano importanti e per questo li curerà con un impegno assiduo. Non solo, da adulto conserverà grande affetto verso tutti i parenti e i luoghi che hanno caratterizzato la sua infanzia; ed è il passato a rappresentare uno dei temi rilevanti della sua poetica.
Questo e altro costituisce l’ossatura del lavoro di Codeluppi, il tutto argomentato dalle dieci fotografie che dicevamo, anch’esse da leggere (e comprendere). Perché negli scatti di Luigi sembra che la realtà si sia messa in scena per lui. Non è così: egli ne ha saputo cogliere una porzione che è già ordinata e messa in scena alla perfezione.

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DEBUTTA LUCIANO PAVAROTTI

29 aprile 1961. Luciano Pavarotti debutta nel ruolo di Rodolfo nell’opera La Bohème di Puccini, al Teatro municipale Romolo Valli di Reggio Emilia.
Nato il 12 ottobre 1935 a Modena, ha manifestato fin da subito una precoce vocazione al canto, anche se all’inizio si trattava di una passione coltivata in privato. Tra l’altro, da adolescente sarebbe voluto diventare insegnante di educazione fisica.
Nel 1961 Pavarotti vince il concorso internazionale "Achille Peri" che segna il suo vero esordio sulla scena canora.

Come dicevamo, il debutto arriva con la Bohème di Puccini. E’ il 29 aprile 1961, siamo a Reggio Emilia e il tenore ha ventisei anni. Nei due anni successivi, Pavarotti porta l’opera in diverse città italiane, mentre aggiunge Rigoletto al suo repertorio. Qui da noi è una giovane promessa, ma all’estero lo conoscono in pochi. La fortuna però è dalla sua parte. Viene chiamato a Londra assieme a Di Stefano, che però si ammala: Pavarotti lo sostituisce. E’ il 1963. Il nome del tenore italiano inizia a girare all’estero.

Stati Uniti e Londra saranno le tappe successive, con la Lucia di Lammermoor, “Traviata” e Sonnambula. Sarà però ancora Bohème a sancire un suo trionfo. Nel 1965 debutta alla Scala, diretto da Herbert von Karajan, che l’aveva richiesto espressamente.
Il prosieguo della carriera del tenore modenese è tutto sulla falsariga di questi strepitosi successi, tra incisioni, interpretazioni e applausi sui palchi di tutto il mondo e con i più famosi direttori d’orchestra. Pavarotti ha infatti un indiscutibile pregio: la sua voce è di rame e fraseggia come il teatro vorrebbe, il che lo rende idoneo a un repertorio vasto, tra le opere di Puccini, Donizzetti, Bellini e Verdi. Nel 1990, insieme a José Carreras e Placido Domingo, Pavarotti dà vita a "I Tre Tenori". Nel 1991 affascina più di 250 mila persone con un grande concerto a Hyde Park di Londra.
Da lì in poi Pavarotti ha poi intrapreso una carriera all'insegna della contaminazione dei generi. Con il "Pavarotti & Friends" Pavarotti invita artisti di fama mondiale del pop e del rock per raccogliere fondi a favore di organizzazioni umanitarie internazionali. L’evento si ripete ogni anno.

Abbiamo ascoltato Pavarotti più volte: con i dischi e anche per radio. Non siamo gente “da loggione”, ma con Tosca e Turandot abbiamo applaudito da soli. Il tenore modenese aveva vinto come Calaf alle prime luci dell’alba (Turandot).

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NASCE CINECITTÀ

Il 28 aprile 1937, in via Tuscolana, viene inaugurata Cinecittà, la Hollywood italiana, la fabbrica dei sogni nostrani. Può vantare 14 teatri di posa, tre piscine per le riprese acquatiche, 40mila metri quadrati di strade e piazze, 35mila di aiuole e giardini, potendo così rivaleggiare con i mitici studi americani.
A Cinecittà sono stati girati più di 3000 film, 90 dei quali hanno ricevuto una candidatura all’Oscar. 47 avrebbero poi vinto la prestigiosa statuetta. Celebri registi, nazionali e internazionali, vi hanno lavorato: da Federico Fellini a Francis Ford Coppola, da Luchino Visconti a Martin Scorsese. La storia degli studi Cinecittà è legata a un misterioso incendio che, nella notte del 26 settembre 1935, distrusse gli studi della casa di produzione Cines di via Veio a Roma. Per porvi rimedio, fu individuata un’area lungo la via Tuscolana, in aperta campagna, con un settore di 500.000 metri quadrati per realizzare la nuova città del cinema. Oltre ai numerosi teatri di posa, vennero costruiti stabilimenti di sviluppo, stampa e montaggio, la nuova sede dell’Istituto Luce e quella del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Come dicevamo, Cinecittà ha ospitato le riprese di grandi capolavori della cinematografia mondiale, oltre che i migliori film italiani. Vale la pena ricordare Amarcord (19739, di Federico Fellini, un racconto autobiografico sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta del giovane Titta. Il ragazzo è circondato da stravaganti personaggi nella cittadina immaginaria di Borgo, ispirata alla città d’origine di Fellini, Rimini, nell’Italia fascista degli anni ’30. Proprio Rimini, con le due piazze, il corso, la chiesa, è stata ricostruita a Cinecittà.

Merita di essere ricordato anche Ben-Hur, diretto nel 1959 da William Wyler. Si tratta del colossal più premiato nella storia del cinema con ben 11 Oscar, con imponenti scenografie, magnifici costumi e migliaia di comparse per realizzare le scene che hanno fatto la storia del cinema, come la corsa delle bighe. Venne costruito un Circo fuori Roma, su un’enorme distesa sabbiosa. Inoltre, per la ripresa delle navi da guerra, fu creata una vasca con dei modellini, che agli spettatori appariva come un vasto mare con dei colossi a galleggiarvi.

I film famosi girati a Cinecittà sono tanti, eccone alcuni titoli: Quo Vadis?, di Mervyn Leroy (1951); Bellissima, di Luchino Visconti (1951); Cleopatra (1963) di Joseph L. Mankiewicz; I Vitelloni di Federico Fellini (1953); Il Paziente Inglese, di Anthony Minghella (1996); Habemus Papam, di Nanni Moretti (2011). Per quest’ultima pellicola, è stata ricostruita la Cappella Sistina quasi a grandezza naturale.

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ANOUK AIMÉE, ELEGANTE E ROMANTICA

Anouk Aimée nasce il 27 aprile 1932, a Parigi. Considerata "una delle cento stelle più sexy della storia del cinema", secondo un sondaggio del 1995 condotto da Empire, il suo stile di recitazione è spesso quello di femme fatale, con un'aura malinconica, valorizzata da grandi registi di fama internazionale come Vittorio De Sica, Sidney Lumet e Federico Fellini.

“Un uomo e una donna”, di Claude Lelouch, ha decretato il suo successo internazionale. Palma d'Oro 1966, Oscar per il miglior film straniero e la migliore sceneggiatura originale nel 1967, "Un uomo e una donna" è uno dei lungometraggi francesi che ha conosciuto il maggior successo internazionale. Il regista (e produttore) l’ha sempre considerato il più importante della sua carriera.
Di cosa si compone la pellicola? Una splendida storia d'amore (l'incontro tra due giovani vedovi che crescono i figli da soli), una realizzazione coraggiosa (tutte le scene all'aperto sono a colori e quelle all'interno in bianco e nero), due grandi attori (Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée), una colonna sonora importante. Accanto alla coppia, un quarto elemento irrompe sullo schermo: una Ford Mustang! A quel tempo, quell’auto era di gran moda in tutto il mondo, anche in Francia.

Una delle ultime scene è da ricordare come un capolavoro. Lui corre con la sua auto (la Mustang appunto) verso una stazione. Lei è sul treno: assorta, malinconica, bella come non mai. I due s’incontrano sul marciapiede della stazione, dopo essersi riconosciuti in mezzo ai passeggeri appena scesi. La musica incalza, poi ci sarà uno sguardo, un abbraccio, un bacio: il preludio di un grande amore.

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