Skip to main content

RICORDANDO FULVIO ROITER

Ci ripetiamo tutti gli anni: vogliamo farlo. Il 18 aprile 2016 ci lasciava Fulvio Roiter. Dopo otto anni ci manca ancora di più: come fotografo e per il fatto di aver trascorso l’esistenza con la sfrontatezza di un eterno ragazzo. «L’età», ci disse in un’intervista, «Non sono gli anni che abbiamo, ma quelli che ci restano da vivere».

Il libro “Fulvio Roiter, di Roberto Mutti”, Bruno Mondadori Editore (2012), ci offre qualche spunto sul fotografo veneto, a iniziare dalle sue parole: «Mio padre aveva pochi mezzi, anche se non mi lesinava nulla. Com’era però nella cultura del tempo, me lo faceva pesare. Eravamo una famiglia mediamente numerosa, io ero il maggiore, mia sorella era più giovane di tre anni, mio fratello era arrivato molto più tardi, nel 1948, e noi si era sempre con l’acqua alla gola. Le discussioni e le decisioni più importanti, come in genere in tutte le famiglie di quel tempo, si prendevano a tavola tutti assieme».
Succede così che una sera il giovane Fulvio se ne esce con una frase che spiazza molti: «Voglio andare in Sicilia per vedere se sono un fotografo o un chimico», riferendosi al diploma conseguito all’istituto tecnico per periti chimici.

Andrà in Sicilia, Fulvio Roiter, per volere della famiglia. La girerà con un motorino acquistato in loco, iniziando a produrre immagini (in B/N allora) dall’intenso formalismo compositivo. Prima c’era stata la Gondola (il circolo di Venezia) e Monti, che l’aveva aiutato a capire fotograficamente. La vita spesso vive del caso e quella di Fulvio Roiter ne è un esempio.

Abbiamo conosciuto Fulvio Roiter al “Lido”, assieme alla moglie. Il suo sguardo era quello di un ragazzo: lucido e indisponente. Anche i dialoghi scaturiti vivevano di una vivacità spontanea, lasciata scorrere senza freni.
La sua carriera è iniziata nel dopoguerra: nell’Italia che ancora non telefonava e che continuava ad andare in treno. Siamo prima del boom, per intenderci, e forse in quel periodo è stato in grado di restituirci i lavori migliori (Sicilia, Umbria, Sardegna). Negli anni successivi sarebbero arrivati i libri e anche il colore. Per tutta la vita l’ha accompagnato un amore intenso per la sua Venezia, esplorata in ogni angolo dal suo obiettivo.

Continua a leggere

IL RUGGITO DELLA MGM

17 aprile 1924. Viene fondata la Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), storica casa di produzione cinematografica USA. Tante volte il ruggito del suo leone a scandito l’inizio del film che aspettavamo.

La Metro-Goldwyn-Mayer, un tempo era lo studio cinematografico più grande e redditizio del mondo. Raggiunse il suo apice negli anni '30 e '40. In quel periodo la MGM ebbe sotto contratto personalità di spicco del cinema come Greta Garbo, John Gilbert, Lon Chaney, Norma Shearer, i Barrymore (Ethel, Lionel e John), Joan Crawford, Jeanette MacDonald, Clark Gable, Jean Harlow, William Powell, Myrna Loy, Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Judy Garland, Mickey Rooney, Elizabeth Taylor, Gene Kelly e Greer Garson.

La società venne costituita quando Marcus Loew, esercente e distributore cinematografico, acquistò la Metro Pictures nel 1920. Quattro anni dopo la società si fuse con la casa di produzione Goldwyn. I Goldwyn Studios di Culver City, vicino a Hollywood, divennero infine la sede centrale dello studio della MGM.
Nel 1925 Louis B. Mayer Pictures si unì al gruppo e Mayer fu capo esecutivo dello studio per 25 anni. Nei primi anni Irving Thalberg (1899-1936) era il giovane produttore creativo dello studio con l’autorità di rimontare qualsiasi film della MGM. Lo studio ha prodotto successi come Grand Hotel (1932), David Copperfield (1935), The Good Earth (1937), The Women (1939), The Philadelphia Story (1940), Mrs. Miniver (1942), Gaslight (1944), e La giungla d'asfalto (1950).

La MGM divenne particolarmente celebre per i suoi sontuosi musical, tra cui Il mago di Oz (1939), Ziegfeld Girl (1941), Meet Me in St. Louis (1944), Till the Clouds Roll By (1946), Easter Parade (1948 ), In città (1949), Un americano a Parigi (1951), Cantando sotto la pioggia (1952) e Gigi (1958). La MGM iniziò a declinare negli anni '50 e subì una serie di cambiamenti di gestione a partire dagli anni '60. Le produzioni successive dello studio includevano Doctor Zhivago (1965) e 2001: Odissea nello spazio (1968). Lo studio vendette molte delle sue attività negli anni '70 e per un certo periodo si diversificò in iniziative non cinematografiche, come hotel e casinò. Dal 1973 in poi, la MGM ebbe vari rapporti finanziari con un altro studio cinematografico, la United Artists Corporation. Il 17 marzo 2022 MGM viene ufficialmente acquisita da Amazon.

Continua a leggere

IL KAREEM DELLO “SKY HOOK”

C’era ancora il tubo catodico ai tempi, ma guardare l’NBA risultava essere comunque un privilegio. Siamo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Il ricordare le leggende del periodo emoziona ancora oggi: Larry Bird (Boston Celtics), Julius Erving (Philadelphia), Magic Johnson (Lakers). Ce ne sarebbero altri, ma tra le gemme della pallacanestro d’oltre oceano c’era anche Kareem Abdul-Jabbar, con tutti i suoi preziosismi spalle a canestro. Il suo gancio cielo era micidiale: non sbagliava mai.

Parlare di Kareem oggi fa emergere un po’ di nostalgia, perché tante volte, in palestra, abbiamo dichiarato, tentandolo, il suo famoso gancio quasi immarcabile. Ci vengono in mente anche le telecronache di Dan Peterson, che quando la partita aveva preso una direzione definitiva diceva: «Mamma, butta la pasta».

Jabbar è apparso sugli schermi cinematografici interpretando se stesso in “L’aereo più pazzo del mondo”, film demenziale divenuto in fretta titolo cult della cinematografia anni Ottanta. I pochi minuti della sua recitazione rivelano il suo lato ironico, anzi auto-ironico, fin lì sconosciuto. Per Kareem si aprì un palcoscenico che lo avrebbe fatto conoscere anche a un pubblico distante dal basket e dalla NBA.
La scena si svolge nella cabina di pilotaggio. Un ragazzino viene fatto entrare, perché possa conoscere l’aereo e i suoi piloti. Riconoscerà Kareem e dirà che suo padre ha mosso delle critiche sulla sua difesa. Il gocatore, pur tentando di nascondere la sua identità, alla fine dirà: «Dì a tuo padre di provare a marcare cristoni grandi e grossi per 48 minuti».

Il cast del film comprende Leslie Nielsen, che riuscì a rilanciarsi come interprete comico. Otto, il singolare pilota automatico gonfiabile, fonte di numerose battute, anche audaci, è ironicamente accreditato nei titoli di coda. I tre registi (Zucker-Abrahams-Zucker) compaiono anche in un cameo.
Il film ha avuto un sequel due anni dopo, dal titolo “L'aereo più pazzo del mondo, sempre più pazzo”, con la partecipazione di numerosi attori del primo film, ma con un diverso regista e sceneggiatore.

Continua a leggere

MARIE HØEG, FOTOGRAFA FEMMINISTA

Marie Høeg, nata il 15 aprile 1866, è stata una fotografa norvegese e attivista per i diritti delle donne.

In Finlandia, ha incontrato la sua futura compagna di vita, Bolette Berg, di cinque anni più giovane, anche lei all'epoca apprendista fotografa. In Norvegia, già dal 1860, per le donne la fotografia poteva essere considerata un nuovo lavoro dignitoso. Peraltro, secondo una stima, nel 1910 si contavano ben 118 fotografe indipendenti nel paese, anche se molte altre preferivano nascondersi dietro al nome del marito.

Marie e Bolette sono cresciute in un panorama femminista in rapida evoluzione, un trampolino di lancio per le due: non solo nella titolarità della propria azienda, ma anche per la convivenza come partner d'affari.
Al momento della loro nascita, rispettivamente nel 1866 e nel 1872, i diritti delle donne stavano prendendo piede di anno in anno. Nell’arco di una generazione si era compiuto un grande passo avanti.
All'interno della loro raccolta “privata” d’immagini, si notano molte messe in scena nelle quali Marie assume le caratteristiche di un protagonista maschile. Osservando i loro ritratti “commerciali” accanto alle loro immagini private, è facile vedere come Marie e Bolette siano state influenzate dai modi maschili di presentarsi, pur rappresentando anche quelli apertamente "femminili".
Sempre nell’archivio privato, si vedono gruppi di donne che giocano a carte e forse d'azzardo, altre che fumano, ma quasi tutte sorridono. Queste immagini offrono uno spaccato intimo dei circoli sociali di Marie e Bolette. Il senso di giocosità associato al “giocare a travestirsi” mostra che le due donne si sentivano a proprio agio con queste persone, il che deriva da fiducia e sicurezza.

Nonostante le implicazioni morali all’apertura della collezione “privata” delle due donne sollevate da qualcuno, il potere e la fiducia riesumati nelle immagini giocose mostrano un altro lato della vita delle coppie omosessuali delle fotografe della metà del secolo. Da un punto di vista politico e storico, le immagini create da Marie e Bolette nei loro circoli privati si aggiungono al quadro più ampio di sessualità e diritti, anticipando i tempi.

Continua a leggere