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NASCE AUGUST ALFRED NOACK

August Alfred Noack è stato un fotografo tedesco naturalizzato italiano, uno dei pionieri della fotografia. Lui, come tanti altri tra fotografi e intellettuali, è stato contagiato dal nostro paese.

In effetti, c’è un’Italia che non si vede, nascosta tra le usanze antiche in borghi nascosti. Per conoscerla, bisogna cercarla, con interesse. E’ il caso di Scanno, divenuto col tempo il paese dei fotografi. Hilde Lotz-Bauer, tedesca, è stata la prima fotografa a rendere quel paese famoso in tutto il mondo. Si avventurò tra le vie del borgo tra gli anni 1933-1938.
C’è un altro borgo in Italia diventato famoso grazie a una fotografa, anch’essa tedesca. Si tratta di Oliena, in provincia di Nuoro, una scoperta di Marianne Sin Pfältzer. «Quando non ci sarò più, vorrei che le mie ceneri fossero sparse nei cieli tra la Corsica e la Sardegna», confidò un giorno Marianne Sin-Pfältzer. In Sardegna l’autrice decise di trascorrere gli ultimi anni della sua vita, forse perché là aveva raggiunto l’armonia: tra uomo e natura, nei rapporti interpersonali e probabilmente anche dentro se stessa.

Un amico di chi scrive, residente in Svizzera, un giorno disse: «Da voi, in Italia, basta uscire dall’autostrada e percorrere qualche chilometro. Sarà facile incontrare un paese bellissimo, dove peraltro si mangia bene». Che dire? C’è un’Italia per tutti.
August Alfred Noack, l’autore di oggi, era innamorato della riviera ligure e in particolare della costa di Portofino. Lui ha dedicato gran parte della sua vita immortalandola attraverso la fotografia. Fu un vero principe di quest'arte, uno dei primi, e a lui dobbiamo le tante immagini di Santa Margherita Ligure e della Portofino del suo tempo.

Leggiamo sul sito portofino.it: «Santa Margherita Ligure e Portofino, con i loro grandiosi paesaggi, con le luci incredibili che a volte il cielo e il mare riuscivano a rendere, erano gli obiettivi che August Alfred Noack apprezzava maggiormente. Per ritrarli bene occorreva, oltre alla sua precisione germanica, l’innato romanticismo che gli permetteva di scegliere quei momenti “magici” che davano un carattere così esotico alle sue foto».

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WHAT HATH GOD WROUGHT?

24 maggio 1844. Samuel F. B. Morse invia il primo messaggio tramite telegrafo elettrico, durante una dimostrazione davanti al Congresso. Il contenuto della missiva, "What hath God wrought?", è stato inviato in codice Morse a un collega che lo rimanda indietro subito dopo. L'invenzione si diffonderà in tutto il mondo.

Samuel Morse era a Parigi nel 1839, l’anno della fotografia. Fu un personaggio importante per quanto attiene la diffusione del dagherrotipo negli Stati Uniti. Durante un viaggio a Parigi conobbe Jacques Louis Mandé Daguerre e in un articolo sul giornale Observer racconta dell’incontro (20 aprile 1839) e la visione dei primi dagherrotipi. Nell’autunno dello stesso anno cercò di fare dei ritratti a New York. Ecco cosa racconta: “Mia moglie e mia figlia posavano fra i dieci e i venti minuti, all’aperto, sul tetto di un edificio, in pieno sole e a occhi chiusi”.
Samuel F. B. Morse ha anche aperto la prima scuola di fotografia in America, nel 1840.
Ricordiamo che, fra tutti i paesi, gli USA furono quelli che adottarono il dagherrotipo con maggiore entusiasmo ed eccelsero anche nell’usarlo. (Fonte Beamont Newhall, “Storia della Fotografia”, edizioni Einaudi).

Nato a Charlestown (ora parte di Boston), Massachusetts, nel 1791, figlio di un ministro, molto prima che il suo interesse si rivolgesse alla telegrafia, Morse intendeva diventare un artista. Sebbene suo padre avesse altri piani, lo mandò a studiare pittura dopo che si era laureato all'Università di Yale nel 1810. Salpò per l'Inghilterra l'anno successivo. Si dimostrò uno studente valente alla Royal Academy of Arts.
Ritornato in patria nel 1815, Morse accettò molti ritratti su commissione, ma questi non gli procurarono quel reddito costante di cui aveva bisogno per mantenere se stesso e la sua famiglia.
Nel 1829, Morse partì ancora una volta per l'Europa per studiare e dipingere ciò che amava. Fu durante il viaggio per mare di un mese verso casa nel 1832 che iniziò per la prima volta ad abbozzare idee per un telegrafo elettrico. Adottò l'idea della telegrafia, ma lui avrebbe avuto bisogno di circa dodici anni di lavoro prima di raccogliere abbastanza conoscenze, consigli ed esperienza per tentare la sua storica dimostrazione del 24 maggio 1844.
Allo stesso tempo, Morse era anche profondamente coinvolto nel tentativo di realizzare la sua ritrovata vocazione di dagherrotipista. Dopo aver incontrato l'artista francese e inventore della fotografia, Louis Jacques Mandé Daguerre (1789-1851), a Parigi, Morse abbracciò con entusiasmo questa sorprendente nuova tecnologia e divenne uno dei primi a praticare la fotografia in America. Lavorò come dagherrotipista per circa due anni ma non riuscì ad ottenere alcun successo finanziario. Tuttavia, attraverso il suo studio a New York, formò molti giovani ansiosi di apprendere la nuova arte. Uno era Mathew B. Brady (c.1823-1896), che divenne uno dei fotografi americani più noti del diciannovesimo secolo.

Alla fine, i posteri non ricorderanno Morse come un artista, né come un politico, un professore o un fotografo. Nonostante affermasse di avere "un cuore da artista" e fosse chiamato da alcuni il padre della fotografia americana, Morse ottenne il suo duraturo successo come inventore del pratico telegrafo elettrico.

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GLI WHO PUBBLICANO TOMMY

«Guardami. Sentimi. Toccami. Guariscimi», sono le parole dal brano Listening To You Tommy. Tutto ha inizio il 23 maggio del 1969, con l’uscita di quella che è universalmente riconosciuta come la prima “Opera” della storia del rock: l’album Tommy. Si tratta della storia di un ragazzo che, per colpa di un terribile trauma, si ritrova sordo, muto e cieco, ma alla fine, grazie a un’abilità “da extraterrestre” nel giocare a flipper, riesce a guarire.
Ancora oggi, il disco continua a essere percepito come maestoso musicalmente, un’opera che trae spunto dai mali del tempo, i soliti si potrebbe dire: dalla società consumistica ai traumi infantili.

Nel 1975 Tommy diventa un film, diretto da Ken Russell. Nel cast sono presenti attori e cantanti, tra i quali gli stessi Who, Jack Nicholson, Elton John, Tina Turner, Eric Clapton e Robert Powell.
Venne presentato fuori concorso al 28º Festival di Cannes ed ottenne due nomination agli Oscar per la colonna sonora e come miglior attrice (Ann Margret).

La trama narra la storia di un bambino, appunto Tommy, che assiste all’uccisione dal padre, pilota della RAF. Questo evento lo rende autistico. Dopo gli inutili tentativi di cura operati dalla madre e dal patrigno, un giorno Tommy scopre i flipper e di questo gioco diventerà un campione, acquisendo fama e ricchezza. Un giorno la madre, stanca delle cure a cui si sottopone il figlio, distrugge, in un atto di disperazione, lo specchio nel quale lui si riflette quando non gioca a flipper. Questo porta a una svolta: Tommy riprende il contatto con la realtà e addirittura crede di essere un nuovo messia e quindi fonda una sua setta. Questa esperienza fallisce drammaticamente e, in seguito ad alcune peripezie, Tommy scalerà una montagna per raggiungere quella che sarà la sua vera libertà.

Era il 1975 anche per chi scrive, che ricorda con nostalgia il Cinema Rialto, ricolmo della gioventù del tempo, quella di una Bologna bellissima. In molti cantavano sottovoce, soprattutto sulle note di “Pinball Wizard”, interpretate da Elton John. Altri tempi, perché probabilmente oggi la pellicola risulterebbe improponibile. Non importa: «See Me, Feel Me, Touch Me, Heal Me». Qualcosa rimane.

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AGUSTÍ CENTELLES, REPORTER SPAGNOLO

Agustí Centelles i Ossó nasce a Valencia il 22 maggio 1909. Lui è stato un fotoreporter spagnolo. Sebbene non molto famoso al di fuori del suo paese, si è distinto fra i creatori del fotogiornalismo in Spagna, dove ha documentato principalmente la guerra civile spagnola.

La guerra civile spagnola è un elemento centrale della storia della prima metà del Novecento, non solo per la sua valenza circa la nazione iberica, ma anche per il suo valore internazionale quale premessa della Seconda Guerra Mondiale. Questa forma di “internazionalismo” si manifestò anche a livello intellettuale, con molte personalità coinvolte.
Hemingway, sull’evento bellico, scrisse “Per chi suona la campana” (1940), uno dei suoi romanzi più famosi. La trama racconta di Robert Jordan, che parte come corrispondente di guerra in Spagna, nelle file dell’armata repubblicana. Questi viene fatto combattere nell’esercito, come tanti intellettuali volontari. Le vicende si sviluppano su vari ambiti: l’amore, il suicidio, la morte, la politica. Ne nasce un affresco terribile della guerra civile spagnola, con la morte che ritorna in modo ossessivo nel romanzo, ricalcando quanto Picasso volle mostrare con la sua Guernica. È evidente come l’esperienza di Robert Jordan ricalchi quella di Hemingway stesso, che in questo capolavoro ci ha dato una visione letteraria di ciò che ha significato uno dei conflitti più importanti della storia del Novecento, troppo spesso dimenticato.

Ricordiamo poi come il conflitto abbia influito sulla vita delle donne spagnole, diventate più autonome a livello decisionale. La guerra permise loro di mettere a frutto le capacità possedute, in una società spagnola ancora molto arretrata. Combatterono costruendo barricate, curando i feriti e organizzando gli aiuti. Rifornirono i soldati dell’equipaggiamento necessario per la guerra. Alcune parteciparono attivamente ai combattimenti come miliziane, con le armi in pugno. Le donne spagnole acquisirono una nuova voce e la loro partecipazione alla vita politica finì per aumentare.

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