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AUGURI A TUTTE LE DONNE

Celebriamo la festa delle donne senza un rito. Molti di noi porteranno a casa le mimose, magari comprandole al semaforo, consapevolmente. Forse sarebbe più giusto dedicare alle nostre compagne di vita un pensiero profondo, perché, noi maschietti, in svariate occasioni siamo stati salvati. Lo stesso dicasi per le amiche: disponibili alla confidenza e al racconto quando il momento lo richiede; anche loro meritano una riflessione attenta. Da oggi sarebbe meglio mettere in atto un comportamento migliore, perché la diversità oggettiva va colmata, alla ricerca di un linguaggio univoco e premiante, per un’assonanza che manca da sempre.

Noi parliamo di fotografia e leggendo le donne che l’hanno affrontata, soprattutto quelle del passato, ci accorgiamo come loro abbiano trascorso l’esistenza sempre all’ombra dell’uomo. Seguendo le impronte di Roberto Mutti, e le sue “Interciste impossibili”, siamo andati indietro nel tempo con la fantasia, a metà ’800. Ci troviamo a Lacock, nel Wiltshire in Inghilterra, per scambiare due parole con Fox Talbot. Siamo arrivati in carrozza e già pensavamo di incontrare la moglie Constance ad accoglierci col suo italiano stentoreo ma deciso. Lei ci avrebbe parlato del marito, disordinato (forse) per via delle tante fotocamere sparse per casa. Poi, eccolo Henry, col viso da timidone. Forse i discorsi sarebbero finiti sulle vacanze da lui trascorse a Bellagio, sul Lago di Como. Per disegnare, in quel lontano 1833, usava la camera chiara, ma i risultati non furono soddisfacenti. Fu lì, probabilmente, che nacque l’idea della fotografia (ancora non si chiamava così): far nascere un processo che con la chimica potesse trasferire quanto visto su un supporto rigido.
Fox Talbot inventò la calotipia, ma già nel calendario si era strappato il foglio del 1839. C’era chi aveva già fatto qualcosa, forse più di lui; perché il Dagherrotipo restituiva ottimi dettagli. Cosa provava in quei momenti? Invidia? Paura? Competizione? Volevamo chiederlo, dandogli la soddisfazione di aver vinto nel secondo tempo, per via del negativo e della pubblicazione di The Pencil of Nature, il primo libro fotografico. Con Fox Talbot lo scatto restituiva tante immagini, il che voleva dire una spinta verso la modernità.
Siamo stati sfortunati, di fronte a quella bella casa inglese non ci ha aperto nessuno; ma forse è meglio così. Non si può volare indietro nel tempo con la mentalità di oggi, dimenticando le donne. Già, perché la moglie del fotografo inglese ha avuto un ruolo importante, che è giusto portare alla luce.

Ci sembra corretto, oggi, raccontare la storia di due donne, tra le prime a cimentarsi nell’arte fotografica: Constance Fox Talbot e Anna Atkins, che peraltro si conoscevano. Da loro abbiamo tanto da imparare.

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WE ARE THE WORLD

Il 7 marzo 1985 viene pubblicato il singolo We Are the World, su iniziativa di Michael Jackson, per raccogliere fondi circa la carestia in Etiopia. Il brano (firmato da Michael Jackson e Lionel Richie) avrebbe poi fatto parte di un album, distribuito il 23 aprile 1985.
Aderirono al progetto del 45 giri altrettanti artisti e basta citarne alcuni per rendersi conto di come l’iniziativa puntasse al meglio del panorama rock e pop del momento, in ordine sparso: Lionel Richie, Michael Jackson, Stevie Wonder, Diana Ross, Ray Charles, Tina Turner, Cyndi Lauper, Billy Joel, Bob Dylan, Bruce Springsteen e Dionne Warwick. Prince declinò l’invito, ma poi partecipò all’album con il brano “4 the Tears in Your Eyes”.
Oggi, però, nessuno si ricorda dell’album, ma in molti hanno in mente le note del singolo, retoriche e sdolcinate; e forse anche le immagini del video, che fu realizzato per pubblicizzare il 45 giri e l’album, proprio negli anni del boom dei videoclip.

Nella lunga lista di cantanti che hanno preso parte a We Are the World non si possono non ricordare anche Bob Dylan e Bruce Springsteen. Ai tempi, il primo non veniva considerato un artista dalle particolari prestazioni vocali, nonostante la sua voce fosse diventata un tratto distintivo della sua musica; fu quindi una sorpresa vederlo nel gruppo. Bruce Springsteen, invece, ha offerto al brano la sua potenza vocale. Oggi le due rockstar continuano con live e tour in giro per il mondo, ancora seguiti da milioni di fan.
Tra i grandi assenti è da annoverare Madonna, che trova in Cyndi Lauper la ragione del diniego. Una sorpresa, soprattutto per chi scrive, è la presenza di Dan Aykroyd, certamente un artista di livello (attore cult di film come The Blues Brothers e Ghostbusters), ma forse non paragonabile ai giganti del disco a livello canoro.

Tra i grandi cantanti di We Are the World, alcuni ci hanno lasciato, e occorre ricordarli. In primis va citato Michael Jackson (deceduto nel 2009), che insieme a Lionel Richie si occupò della scrittura del brano. Lui rimane una figura indimenticata del panorama musicale.
Ray Charles ci ha lasciato nel 2004, all’età di 74 anni. Lui si è dimostrato un interprete assoluto della musica soul. La sua vita è stata condizionata dalla cecità, causata da un glaucoma all’età di sei anni, forse una marcia in più per l’espressività musicale che sapeva trasmettere.
Tra i cantanti di We Are the World, la morte più vicina ai giorni nostri è quella di Tina Turner. La regina del rock ‘n’ roll si è spenta il 24 maggio 2023, all’età di 83 anni. La voce sensuale e potente, le gambe incredibili, la bellezza longeva nel tempo, il sex-appeal e la sua storia indimenticabile hanno contribuito tutti al suo status leggendario. La cantante è stata grande anche nella vita, quella che le ha proposto tante difficoltà: familiari e sentimentali. Ne è uscita bene: che dire? Simply the best.

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IL CHITARRISTA DEI PINK FLOYD

David Gilmour è nato il 6 marzo 1946 a Cambridge, nel Regno Unito. Lui è chitarrista, cantante dei Pink Floyd, nonché autore di testi e musiche; famoso anche per il lavoro da solista: il suo acclamato album di platino del 2006 On An Island è stato il numero 1 nel Regno Unito e ha raggiunto la Top Ten in molti paesi.

Le qualità musicali di David Gilmour sono indiscutibili. La rivista Rolling Stone l’ha inserito al 14º posto nella lista dei migliori chitarristi di sempre, questo nel 2016. E’ bello, però, considerare la sua vita di fianco a un amico d’infanzia: Roger "Syd" Barrett. I due s’incontrarono da bambini a Cambridge e in seguito iniziarono a suonare la chitarra insieme. A un certo punto, però, le loro strade si dividono: “Syd” ha dei problemi, grossi. Si rivedranno in sala d’incisione, inaspettatamente; per l’ultima volta.

Nel 1975 i Pink Floyd entrano agli Abbey Road Studios di Londra per registrare il loro nono album, dopo lo straordinario successo di The Dark Side of The Moon. Roger Waters, Richard Wright, Nick Mason e David Gilmour continuano a essere ispirati dal ricordo di Syd Barrett, fondatore del gruppo, travolto dalla pazzia e dall’abuso di droghe. Il gruppo sta incidendo Wish You Were Here, una delle canzoni più belle e più famose nella storia della musica, nella quale il tema è proprio l’assenza di Syd.
Mentre i Pink Floyd stanno lavorando negli studi di Abbey Road, improvvisamente entra un uomo che si siede tra loro con lo sguardo assente. Questi dice qualche frase, poi chiede: «Dove entro con la chitarra?» È grasso, pelato, irriconoscibile, ma è Syd Barrett. La band all’inizio non lo riconosce, poi capiscono che è lui, gli chiedono cosa ne pensa del pezzo che stanno registrando e lui risponde: «E’ un po’ vecchio». La sera stessa viene organizzata una festa. Tutti chiedono a Syd di fermarsi, lui dice di sì; poi ad un certo punto sparisce. Da quel giorno, nessuno dei Pink Floyd l’ha più visto.

“Wish you were here” è dedicata a Syd Barrett. Leggiamone l’ultima strofa.
How I wish, how I wish you were here / We’re just two lost souls / Swimming in a fish bowl / Year after year / Running over the same old ground / And what have we found? / The same old fears / Wish you were here (Come vorrei, come vorrei che tu fossi qui / Siamo solo due anime perse / Che nuotano in una boccia di pesci / Anno dopo anno / Correndo lungo lo stesso vecchio terreno / E cosa abbiamo trovato? / Le stesse vecchie paure/ Vorrei che tu fossi qui).

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NASCE IL CORRIERE DELLA SERA

5 marzo 1876, nel pomeriggio esce il primo numero del quotidiano Corriere della Sera.

Lo stesso giorno, ma nel 1935, nasce Letizia Battaglia, tra le prime fotoreporter italiane. Le sue immagini hanno raccontato Palermo, le tradizioni popolari, i bambini, le donne; e poi la guerra di mafia in Sicilia. Dal 1974 al 1991 dirige il team fotografico del quotidiano palermitano L’Ora e sempre nel 1974 fonda l’agenzia Informazione Fotografica. Nel 1985 è stata la prima donna europea a ricevere il Premio Eugene Smith per la fotografia sociale. Cofondatrice nel 1979 del Centro di documentazione Giuseppe Impastato, nel 2017 ha inaugurato il Centro Internazionale di Fotografia a Palermo.
Ci ha lasciato il 13 aprile 2022. Giusto ricordarla oggi, con ammirazione.

Per tornare al Corriere della Sera ci rivolgiamo a una fotografia divenuta iconica. E’ il 2 giugno 1946. Con un referendum istituzionale, gli italiani votano il passaggio dalla monarchia alla repubblica (12.717.923 voti contro 10.719.282); Umberto II di Savoia lascia il paese. E’ un grande cambiamento, che avviene dopo ottant’anni di monarchia, due guerre mondiali, un conflitto civile. A ricordare l’esito del referendum c’è l’immagine che vediamo, ormai diventata un simbolo. Ritrae una giovane donna sorridente, che sbuca fuori da una pagina del Corriere della Sera. La fotografia fu pubblicata per la prima volta il 15 giugno del 1946 sulla copertina del settimanale Tempo, il periodico fondato nel 1939 da Alberto Mondadori sull'esempio di Life.
La bellezza genuina della donna e il suo sorriso infondono fiducia e speranza, dopo anni di guerra, a una nazione che doveva ripartire. Oggi sappiamo che quella donna si chiamava Anna.
Per ottenere l'immagine, che durerà più di settant’anni, il fotografo aveva prodotto 41 scatti con la sua Leica, come si vede nei provini a contatto conservati presso il Museo della Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo. Pare che alcuni siano stati realizzati sulla terrazza della sede dell’Avanti.
La fotografia di Federico Patellani è stata utilizzata per illustrare articoli, saggi e libri; ha accompagnato mostre e manifestazioni politiche. Siamo sicuri che le occasioni si moltiplicheranno anche in futuro.

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