FOTOGRAFIA DA LEGGERE …
Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da leggere”. Oggi incontriamo “Caro Maestro, Caro Simenon”, di André Gide e George Simenon, Lettere 1938 – 1959 (Rossellina Archinto, Milano).
Il rapporto del libro con la fotografia è certamente labile, tenue, forse inesistente. Certo è che la sua lettura ha indotto alcune riflessioni, dalle quali sono nati dubbi e perplessità. Su di loro è giusto soffermarsi. La settimana scorsa abbiamo proposto: “Dieci splendidi oggetti morti”, di Massimo Mantellini; due di questi sono la Penna e la Lettera. Non vogliamo entrare negli argomenti trattati in entrambi i capitoli, dove peraltro c’è un’analisi delle cause e dei perché circa la “morte” degli oggetti. Certo è che le missive ci mancano: come scrittori e lettori. Chi scrive ha sempre spedito una lettera a casa durante i viaggi. Non era importante la velocità delle poste, perché troppo spesso tornava prima dell’arrivo delle parole scritte. Era però importante “salvare” un tempo, con fermezza; perché non venissero dimenticati sentimenti e sensazioni vissuti al momento. Un racconto postumo avrebbe edulcorato il tutto, diluendone i significati. Il rapporto con la fotografia inizia a diventare più credibile, perché lo scatto si occupa di tempo, salvandolo appunto.
Per finire, oggi abbiamo l’esistenza di raccontarci con maggiore profondità: come soggetti, ma anche per le fotografie che desideriamo produrre. Sempre di racconto si tratta. La lettura del libro che proponiamo oggi può essere utile.
Sinossi di André Gide e George Simenon, Lettere 1938 – 1959
Qualcosa nella scrittura del giovane Simenon coinvolge Gide profondamente; legge e rilegge i suoi romanzi cercando di comprendere il mistero di quella straordinaria capacità di rinnovamento. Non ci riuscirà, e il saggio sull’opera di Simenon più volte anticipato non sarà mai portato a termine. Dal canto suo, Simenon vede in Gide l’autorità capace di accompagnarlo fuori dalla crisi, verso «il romanzo» cui aspira ma che, forse, non ha ancora scritto. Così, le quarantun lettere di questa inusuale corrispondenza finiscono per essere una sorta di conversazione preliminare, nell’attesa di un incontro liberatorio mai veramente avvenuto, mai veramente cercato.
Per finire, le lettere del libro racchiudono sentimenti e suggestioni che non sarebbero mai esistiti oggettivamente. Scrivere e raccontarsi è importante, perché è un modo per anticipare (e creare) momenti che potrebbero anche non avverarsi.