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RICORDANDO RICHARD WAGNER

Il 13 febbraio 1883 muore a Venezia Richard Wagner. Dell’autore tedesco ricordiamo l’impeto e la forza delle sue composizioni, ma anche il leitmotiv, che tradotto vorrebbe dire motivo conduttore. In genere è costituito da una breve melodia, un accordo o semplicemente una figura ritmica. Richard Wagner, per l’appunto, ne ha fatto largo uso. Nel ciclo Der Ring des Nibelungen (L'anello del Nibelungo) ben 74 Leitmotive si susseguono continuamente per rappresentare personaggi o situazioni. Molti temi, inoltre, vengono ripresi all’interno dell'intero ciclo, costituendo un elemento unificatore.

Tornando alla forza della musica di Wagner, ci viene in mente un film di Woody Allen: Misterioso omicidio a Manhattan, dove il regista recita di fianco a Diane Keaton. La trama narra le vicende di una coppia che vive di contrasti e che alla fine indagherà su un omicidio accaduto in un appartamento vicino all’abitazione dei due. Lui e lei sono diversi di carattere: esuberante Carol, la Keaton nel film; più timido e circostanziato Larry, Allen appunto. Si dissociano anche in relazione ai gusti: la donna ama teatro e concerti, il marito lo sport dal vivo. In una scena s’intuisce come la coppia sia uscita anzitempo da un concerto d’opera. Larry (Woody Allen) dirà; «Io non posso ascoltare troppo Wagner, lo sai: già sento l'impulso a occupare la Polonia».

«Là dove si arresta il potere delle parole, comincia la musica», questo soleva dire Richard Wagner, che quindi con le sue composizioni andava oltre, superando perfino il confine logico dell’esistenza. I suoi lavori hanno avuto un'influenza rivoluzionaria sul corso della musica occidentale: sia per l’estensione delle sue scoperte, che nella reazione contro di loro. Il nostro Verdi, all’apice della fama con il suo melodramma, un giorno viaggiò da solo fino a Bologna per ascoltare la musica del maestro tedesco, subendone poi l’influsso. In molti, peraltro, hanno asserito come le ultime opere del compositore di Busseto fossero ispirate appunto da Wagner, Falstaff in testa, la cui prima si tenne a Milano proprio a febbraio, il 9 del 1893 per l’esattezza.

Lasciamo però ogni cosa al suo posto, senza intaccare la fama di due giganti. Oggi occupiamoci di Wagner e della sua vita trascorsa a volte selvaggiamente, ma dominata dall’istinto verso il pianoforte e la composizione; accompagnata dalla lettura di Shakespeare, Goethe e Schiller.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da Leggere”. Oggi incontriamo ancora Roberto Mutti, che ci regala un’altra sorpresa delle sue: “Le fotografie di autore non identificato”, Silvana Editoriale.

Alla prima pagina troviamo un aforismo interessante: «La fotografia è un mistero attorno a un segreto. Quanto più ti dice, quanto meno ne sai». E in affetti, l’autore ci introduce in una selva oscura dantesca, dentro la quale non ci eravamo mai inoltrati: quella delle fotografie d’autore sconosciuto. Mutti preferisce non utilizzare l’aggettivo “anonime” in relazione alle immagine che non portano una firma, perché uno scattante comunque è esistito: ha guardato, scelto, deciso, raccontando se stesso e interpretando il senso del suo sguardo. La domanda che propone in seguito apre uno scenario immenso: è importante cercare di individuarlo o è meglio considerare queste immagini come frutto di una visione collettiva che tutti ci coinvolge? Già, nella realtà gli “anonimi” siamo noi; e allora: preferiamo venire ricordati come autori o desideriamo che il contenuto della nostra fotografia sopravviva a noi stessi?. Certo, bello sarebbe che accadessero entrambe le eventualità, anche se (parere personale) il salvataggio del tempo ottenuto con lo scatto dovrebbe prevalere nei desideri già espressi con la scelta del soggetto e dell’istante significante.

Leggere il libro è stato piacevole, molto. Nei vari capitoli, il volume diventa quasi un manuale del collezionista. Leggiamo, a pagina 41: «La ricerca delle fotografie che si stanno considerando implica che chi lo fa assuma un atteggiamento di grande consapevolezza; questo sempre che non voglia limitarsi a una “raccolta di figurine”». E poi, ancora: «Per un’autentica comprensione bisogna essere capaci di maneggiare gli strumenti dell’economia e della sociologia, studiare l’evoluzione della tecnica e dell’agricoltura, tenere conto della distribuzione della ricchezza come del ruolo della sanità». Insomma, occorre analizzare la vita che si dipana di fronte ai nostri occhi: l’autore non identificato diventa così più vicino e non è importante (forse) conoscerne il nome.

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NASCE VITTORIO ECCLESIA

Non conoscevamo il fotografo Vittorio Ecclesia. Abbiamo scoperto la sua data di nascita (11 febbraio 1847) per caso, iniziando subito dopo a cercare notizie su di lui in ogni dove. I testi storici in nostro possesso non riportavano molto, per cui ci siamo rivolti alla rete e a fine testo riportiamo le fonti.

Pare che Vittorio Ecclesia sia stato mosso dalla passione per la fotografia sin dalla giovane età e che abbia iniziato da apprendista già a dieci anni. Diciamo che lui è nato nel posto giusto, perché la Torino dell’epoca era vivace in ambito fotografico. Questo però non riduce i suoi meriti, artistici e imprenditoriali. Già, perché la sua vita è costellata di successi e onorificenze. Tra l’altro, il credo fotografico che lo animava deve essere stato contagioso, con lui collaborarono infatti i quattro figli avuti dalla moglie Anna Gariglio, e cioè: Ottaviano, che lavorò essenzialmente a Torino; Clotilde, attiva fra Pavia e Savona; Maria, fotografa ad Ivrea; Umberto, che affiancò più da vicino l'opera paterna, impegnandosi soprattutto nelle campagne di Asti e dell'Astigiano.

I successi arrivarono sin da subito, già con l’apertura del primo studio in società col fotografo Rondoni. Ecco cosa riportano i commenti dell’epoca: «Ha un grazioso giardino ove poter all'uopo fotografare anche cavalli, cavalieri, carrozze; e tanto spazio da far gruppi ed interi battaglioni. Su ritratti di qualsiasi grandezza si vede un'eccellente distribuzione di luce, vitalità vera nelle movenze dei modelli, gusto squisito nelle pose, maestria incontestabile nella finezza di ogni dettaglio che valga a dar risalto alla persona».

Interessante, è il caso di dirlo, risulta essere il suo lavoro sul territorio. Anche lui, come molti altri fotografi dell'ambito torinese e piemontese sviluppa, oltre al lavoro eminentemente ritrattistico, un interesse per il paesaggio e la fotografia delle ricchezze architettoniche, contribuendo a testimoniare, valorizzare e catalogare il patrimonio artistico medievale dell'area piemontese.

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IL PRIMO DISCO D’ORO

10 febbraio 1942, Glenn Miller riceve il primo Disco d'Oro della storia per il brano Chattanooga Choo Choo. Il disco d'oro riproduce un vinile, in oro appunto; e viene dato agli artisti musicali per certificare un dato numero di copie vendute (in origine un milione).
Nel 1942: in soli tre mesi il 78 giri di Glenn Miller con Chattanooga Choo Choo vendette un milione di copie, ecco perché casa discografica gli regalò un disco a 78 giri dipinto d'oro.

Qualche riferimento italiano. Domenico Modugno nel 1958 vinse il disco d'oro con Nel blu dipinto di blu (1958), che vendette ben 22 milioni di copie di cui 800 000 in Italia.
Il primo 33 giri ad ottenere il disco d'oro in Italia fu La voce del padrone di Franco Battiato.

Chi scrive prova un po’ di nostalgia nel parlare di Glenn Miller. Tra i vinili di famiglia, nella casa dei genitori, ve ne sono molti, ma non nei 78 giri. Il padre ne ascoltava spesso uno dove in copertina il musicista vestiva i panni del graduato dell’esercito. Cosa strana (ma non troppo, forse), si trattava di un trentatré dal diametro leggermente inferiore rispetto agli altri. In una traccia era appunto contenuto il brano Chattanooga Choo Choo.

Questa volta non incontreremo fotografie d’autore, il che ci introduce all’argomento del prossimo libro di “Fotografia da Leggere” (speriamo di inserirlo il prossimo lunedì): La fotografia di autore non identificato, a firma Roberto Mutti (Silvana Editoriale).
Le fotografie che non riportano il nome vengono spesso definite anonime, un termine forse un po’ troppo riduttivo. Sono le immagini che ritroviamo nei mercatini, spesso contenute in scatole di cartone insignificanti, ma che attraggono la curiosità degli appassionati, al pari di chi scrive appunto. Come suggerisce Roberto Mutti nel suo libro: «E’ meglio definire le immagini senza nome come “fotografie di autore non identificato”, perché qualcuno dietro alla fotocamera c’è pur stato e chissà se è importante identificarlo o è meglio considerare il suo lavoro come frutto di una visione collettiva che ci coinvolge tutti».

Forse ha ragione Diane Arbus, quando dice: «La fotografia è un segreto intorno a un segreto; quanto più ti dice, quanto meno ne sai». L’autorialità a volte può essere ininfluente.

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