LA FOTOGRAFIA SENZA GIOVANNI
Ricordiamo ancora la telefonata: «E’ morto Giovanni Gastel». Pareva impossibile, eppure lui è andato via così, all’improvviso, senza avvisarci. Ci viene in mente ancora la sua disponibilità, sommata a una generosità spontanea, voluta, naturale. Giovanni, per chi scrive, è stato l’amico desiderato, quello che ti abbraccia a ogni incontro, colui che sa comprenderti solo con lo sguardo, la persona alla quale avresti voluto spedire la lettera del cuore. Sono mancate le parole, però, per anni; era più facile ascoltarlo, anche da lontano, quando non c’era.
I ricordi ci portano a un lungo viaggio in autostrada. Giovanni si era reso disponibile a parlare di fotografia in un piccolo paese dell’Appennino bolognese, in umiltà e con eleganza, mostrando l’atteggiamento di sempre. Fece vedere le sue fotografie, in quell’occasione, mostrando per prime quelle che lui riteneva “brutte”. Da lì iniziò la sua lezione, con queste parole: «Spesso si disquisisce sulla fotografia, sul suo linguaggio, se possa o debba essere naturale o meno. La grande qualità è abbattere la barriera tra quello che sei e ciò che fai. Se l’operazione riesce, non si rischia nulla: tantomeno la volgarità». E’ poi emersa la tematica dell’eleganza e alle tante domande a riguardo lui ha risposto così: «La mia non è mai fine a se stessa. Ricevo tanti impulsi da quello che succede fuori e io riorganizzo un piccolo pezzo di realtà, dove le regole sono quelle che decido. Descrivo il mondo per come mi piacerebbe che fosse. L’eleganza vera non è mai stucchevole. Che dire? E’ la mia lettera nella bottiglia. Se sei elegante, puoi dire tutto; affrontando qualsiasi argomento: dalla moda, fino al dolore. La fotografia è bambina».
Ha poi parlato di sé, Giovanni, partendo da lontano: «Ho iniziato prestissimo, da piccolo. Ricordo la poesia, a 14 anni, poi subito dopo ecco comparire la fotografia. Ricordo che ho aperto uno studio in via Mascagni che non ero neanche ventenne, con peraltro tutta la famiglia contro. Avevo al mio fianco un amico. Con lui ho condiviso tutto: i giochi d’infanzia, le rive del lago, i diciotto anni, il militare, il lavoro. Abbiamo anche sposato due sorelle. Sono arrivati i primi servizi di matrimonio (non c’era la moda allora) e i lavori generici di fotografia».
Ecco un sentimento importante: l’amicizia. Giovanni aveva tanti amici ed era molto amato. Crediamo altresì che abbia vissuto questa situazione con difficoltà, perché diceva: «Tutti siamo unici e irripetibili, ma mettersi in mostra, creando, significa scegliere la solitudine e pochi riescono ad affrontarla». Già, ma lui rasserenava tutti, prendendosene cura.
La fotografia ha perso un amico.