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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con la “Fotografia da leggere”. Questa settimana incontriamo un libro sontuoso, ricco, corposo, imperdibile potremmo dire. Si tratta di: “Fotografia, la storia completa”, a cura di Juliet Haching; Atlante Editore (2013).
Il volume può essere approcciato anche con una semplice consultazione periodica, questo per dire che ci è permesso tenerlo sul comodino o nel luogo dove ci occupiamo della nostra passione. L’indice è suddiviso in capitoli, per periodi storici: L’età sperimentale (1826-1855), Il commercio e l’arte della fotografia (1856-99), La fotografia e la modernità (1900-45), Dal dopoguerra alla società permissiva (1946-76), dal postmodernismo alla globalizzazione (1977-oggi). Il tutto è arricchito da un glossario e un indice analitico, sempre apprezzato quando si cerca qualcosa.

Leggiamo nella prefazione (a firma David Campany): «La fotografia ha dimostrato di avere più vite di un gatto […]. Per oltre un secolo, la fine del medium è stata annunciata regolarmente. Prima la minaccia sembrava venire dal cinema, poi dalla televisione […]; poi arrivate, quasi simultaneamente, la fotografia digitale e internet, a decretare non certo la fine dell’immagine fissa ma, al contrario a inflazionare l’ambiente d’immagini ripetitive e scadenti. La fotografia però si è dimostrata imprescindibile e quanto mai adattabile, fino a far pensare che alla sua base vi sia non solo questa o quella tecnologia, ma un insieme assai variabile di caratteristiche difficilmente riproducibili da altri mezzi».

Nelle ultime parole della prefazione troviamo queste parole: «La fotografia esercita un forte richiamo perché è al tempo stesso un simulacro del passato e un passaporto verso il futuro. Interrogarsi su di essa (soprattutto storicamente (n.d.r.) significa dotarsi di strumenti significativi mentre ci si avventura in tutti gli aspetti del reale che essa ha toccato e contribuito a trasformare».

Il libro, come dicevamo, è quasi da avere per forza. E’ interessante il fatto come ogni capitolo sia accompagnato dalla descrizione di alcune fotografie storiche e iconiche, che facilitano la lettura.

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BIANCANEVE E I SETTE NANI

4 Febbraio 1938. Nelle sale cinematografiche statunitensi esce il film Biancaneve e i sette nani. L'anteprima si era tenuta il 21 dicembre dell'anno precedente.

Una regina cattiva ordina al suo cacciatore di uccidere Biancaneve, perché lo specchio parlante l’ha definita la più bella del reame. La ragazza fugge. Aiutata dagli animaletti del bosco, arriva alla casa dei sette nani, e lì si addormenta. Eolo, Mammolo, Pisolo, Brontolo, Dotto, Gongolo e Cucciolo la accolgono e la proteggono. Quando la regina, trasformatasi in strega, arriva per ucciderla con la mela avvelenata, i nanetti inseguono la cattiva che precipita da un burrone. Biancaneve, è vegliata dai suoi amici come morta, ma torna in vita quando viene baciata dal giovane principe innamorato.
Basato sull'omonima fiaba dei fratelli Grimm, è il primo lungometraggio di Walt Disney, uno dei titoli che fanno parte della leggenda vivente del cinema.
La pellicola, sicuramente dolciastra, ha resistito nel tempo, rendendo felici diverse generazioni. Il merito è anche della colonna sonora, con le celebri canzoni come “Impara a fischiettar”, “Ehi Ho!” e “Il mio amore un dì verrà”.

Il film permette un aggancio con la fotografia, perché, nel 2007, la Disney ha contattato Annie Leibovitz perché ritraesse un gruppo di celebrità di prim'ordine mentre vestono i panni dei classici personaggi Disney, in una serie di immagini promozionali per i Parchi Disney. I Disney Dream Portraits hanno avuto un tale successo che il lavoro della fotografa è continuato fino al 2014.
Beyoncé Knowles, Scarlett Johansson, David Beckham, Jennifer Lopez, Gisele Bündchen e tante altre celebrità sono finite davanti l’obiettivo della Leibivitz. Tra l’altro, guardando l’elenco delle persone famose ritratte, ci si stupisce del fatto che sia stato chiamato a posare il tennista Roger Federer nei panni di Re Artù (La Spada nella Roccia).
La scelta dei protagonisti dei diversi scatti non si è soffermata solo sulla somiglianza fisica, ma in ognuno dei soggetti la fotografa ha visto i tratti dei personaggi Disney: per indole caratteriale e per quanto rappresentano come personaggi al cospetto dei fan.
Per Biancaneve e i sette nani Annie Leibovitz ha scelto Rachel Weisz.

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ALVAR AALTO, L’UMANITA’ DEL PROGETTO

Il 3 febbraio 1898 nasce l’architetto Alvar Aalto. La sua reputazione internazionale si basa ancora oggi su una miscela distintiva di modernismo e raffinatezza.
Il lavoro dell’architetto finlandese esemplifica il meglio dell'architettura scandinava del XX secolo. E’ stato uno dei primi a discostarsi dai disegni rigidamente geometrici comuni al primo periodo del movimento moderno. Ha utilizzato forme complesse e materiali vari. Raggiunse una reputazione internazionale grazie ai suoi oltre 200 edifici e progetti, dalle fabbriche alle chiese, alcuni dei quali costruiti fuori dalla Finlandia.

A Riola, nel Comune di Grizzana Morandi, in provincia di Bologna, sorge l’unico esempio in Italia di architettura ecclesiastica progettato dal grande architetto finlandese Alvar Aalto: la chiesa di Santa Maria Assunta. Tra l’altro, si tratta dell’ultimo progetto al quale l’architetto si è dedicato!

Tutto nasce da un incontro tra il Cardinale Lercaro (arcivescovo di Bologna dal 1952 al 1968) e Alvar Aalto, avvenuto a Firenze il 19 novembre 1965, alla fine di una giornata nella quale si era chiuso il Concilio Ecumenico. Lercaro propone, così Aalto acconsente all’idea di affrontare nel bolognese il tema della chiesa parrocchiale cattolica. Il 3 dicembre 1966, l’architetto presenta a Bologna il suo progetto.
Le vicende si complicano e in più passano gli anni. Aalto muore nel maggio del 1976, prima di aver saputo dell’apertura del cantiere per i lavori. Lercaro è solo un po’ più fortunato: vive quel tanto che basta per sapere che il giorno 11 settembre 1976 la gente di Riola, dopo il montaggio dell’ultima arcata, ha salutato con un grande applauso la nascita della chiesa.

Il 17 giugno 1978, il nuovo Arcivescovo di Bologna Cardinale Antonio Poma benedice la chiesa e celebra la Santa Messa. Il momento verrà definito come “L’avvenimento tra i più significativi nel campo dell’architettura religiosa del nostro tempo”.

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TOSCANINI DIRIGE LA PRIMA DI BOHÈME

E’ il 1°febbraio 1896, debutta La Bohème di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. La prima si è tenuta al Teatro Regio di Torino, diretta dal ventinovenne Arturo Toscanini.
Già a quel tempo, seppur giovane, il maestro aveva messo in mostra la propria personalità, riformando lo spettacolo lirico. I cantanti prima di lui erano i padroni della scena, ma Toscanini inizia a coinvolgere tutti: le voci, l’orchestra, il pubblico; in un’unità rivoluzionaria allora. Impone luci basse, silenzio assoluto, sposta l’orchestra nella buca (altrettanto fece in seguito a Milano con il “golfo mistico”) impedisce i bis, cura ogni particolare. Da quegli anni, la figura del direttore d’orchestra assunse un‘importanza maggiore, la stessa che riconosciamo oggi.

Negli anni ’20 contribuisce al successo della Scala di Milano, quando si era già diffusa la sua fama di maestro esigente, fin troppo severo, e dal carattere difficile. La cura del dettaglio lo portava a scelte tollerate solo a lui, giustificate dal suo amore per la musica e gli autori.
Dopo la morte di Giacomo Puccini, Toscanini dirige al Teatro alla Scala, in prima mondiale, Turandot, opera incompleta, ultimata da Franco Alfano. E’ il 25 aprile 1926. Non farà eseguire tutta l’opera, ma si fermerà sulle ultime note del musicista toscano, pronunciando le famose parole: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto».

Toscanini vivrà una lunga parentesi statunitense, costellata di successi radiofonici, televisivi e discografici. Segue però le vicende italiane e lo stato della sua Scala, distrutta parzialmente dai bombardamenti. «La Scala è l'amante che più mi ha fatto disperare», pronunciò un giorno. La ricostruzione sarà rapida, grazie anche alla donazione di Toscanini, che versa un milione di lire: una cifra astronomica per l’epoca. Il maestro, a guerra finita, rientrerà in Italia per celebrarne la riapertura.

La sera dell'11 maggio 1946, dirigerà le note di Rossini, Verdi, Puccini e Boito, portando al debutto una giovanissima promessa: il soprano Renata Tebaldi (come letto ieri).
Quel giorno, il maestro parmense salì sul podio non solo per i tremila spettatori presenti in sala, ma anche per tutta la folla che occupava le piazze vicine, davanti agli altoparlanti: operai, artigiani, piccoli commercianti; coloro che avevano visto Milano bruciare e che potevano festeggiare la rinascita di uno dei simboli della città.

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