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SALUTIAMO GIGI RIVA

Oggi non ci saranno fotografie d’autore, solo il ricordo sentito di un interprete del calcio: Gigi Riva. Ci ha lasciato improvvisamente, perché il cuore gli ha ceduto: quello che per anni aveva messo in campo con generosità. Calciatore d’altri tempi, coriaceo, muscolare, lo chiamavano “Rombo di tuono” per via della potenza del suo tiro di sinistro. Il soprannome era stato coniato da Gianni Brera, uno che di calcio se ne intendeva. I più anziani ricorderanno Italia Germania, quella del ’70 in Messico. Durante il primo tempo, un diagonale dell’attaccante colpì una cancellata e si sgonfiò.

Gigi Riva era lombardo, essendo nato a Leggiuno, in provincia di Varese, il 7 novembre’44. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili locali, si era poi trasferito a Cagliari, trovando lì la sua dimora per sempre. Il suo contributo alla squadra della città risultò sostanziale, con la promozione in serie A nel 1965. Nel ’70 arrivò anche lo scudetto, l’unico conseguito dalla compagine sarda. Con il Cagliari, vinse anche la Coppa Italia nel 1970 e la Coppa delle Coppe nel 1979, diventando il primo calciatore italiano a vincere un trofeo continentale con una squadra di provincia.

In Nazionale, pur essendo condizionato dagli infortuni, Riva ha segnato 35 gol, risultando il miglior marcatore di sempre della squadra azzurra, con la quale vinse l'Europeo nel 1968, segnando una doppietta nell’ultima partita contro la Jugoslavia. Nel 1970, invece, arrivò in finale ai Mondiali in Messico, dove l'Italia fu sconfitta dal Brasile per 4-1.

Gigi viene ricordato come un personaggio riservato e schivo. Piaceva alle donne, molto; perché aveva la fisicità e i lineamenti dell’eroe. Del resto, tale era in campo: molto forte fisicamente, riusciva a resistere agli scontri con i difensori avversari. Aveva dalla sua anche una grande tecnica e un ottimo senso del gol.
Oggi rimane il suo ricordo, quello che lo renderà simbolo di Cagliari, della Sardegna, ma anche di tutto il mondo del calcio: quello vero.

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NASCE ÉDOUARD MANET

Il 23 gennaio 1832 nasce Édouard Manet. Abbiamo già incontrato il pittore francese il 2 maggio 2022, quando ricordavamo l’inaugurazione de “Le Folies Bergère”, il music hall in rue Richer 32, simbolo della Belle Époque. Édouard Manet scelse questo locale per dipingere tra il 1881 e il 1882 “Il bar delle Folies Bergère”.

La Belle Époque fu un periodo di grande creatività e quella Parigi venne riconosciuta come il “luogo dove tutto era possibile”, dove si aveva la possibilità di esprimersi con forme e linguaggi innovativi. L’epoca bella per eccellenza continua a vivere nella metropoli francese: basta saperla cogliere, come ha fatto il protagonista del film di Woody Allen Midnight in Paris, che si trovava sospeso tra presente e passato, tra sogno e realtà alla ricerca della propria Bèlle Epoque.

“Il bar delle Folies-Bergère” è considerato l'ultimo grande dipinto di Édouard Manet: presentato al Salon del 1882, appena un anno prima della morte dell'artista.
Il rapporto di Manet con il Salon (la mostra d'arte ufficiale dell'Accademia di Francia) era stato turbolento fin dall'inizio. Nel 1863 la giuria ne respinse due terzi delle opere presentate, tra cui “Il pranzo sull'erba”. Questa decisione ha generato il Salon des Refusés, ovvero la "mostra degli scarti", dove l'accostamento di donne nude e uomini completamente vestiti sul dipinto ha suscitato polemiche. Manet continuò a presentare lì i suoi dipinti, desiderando essere acclamato come pittore in modo tradizionale, contrariamente agli impressionisti che rinunciarono del tutto a quell’ambiente. Due anni dopo espose Olympia, un dipinto che suscitò tanto clamore che dovette essere appeso a una grande altezza per evitare atti vandalici. Così, arriviamo ora al 1882, al Bar delle Folies-Bergère e al suo soggetto provocatorio.

Il dipinto mostra uno dei bar e la sua barista. La modella è Suzon, una delle ragazze che lavoravano nel club. Manet introduce un soggetto della vita quotidiana, al limite del decoro, nel Salon, collocando la barista comune tra le Veneri e altre figure mitologiche. Forse l'elemento più sconcertante sulla tela è l'espressione illeggibile sul viso della ragazza. Alcuni pensavano sembrasse annoiata, altri solo stanca per il lungo turno al bar, mentre altri ancora credevano che non mostrasse alcuna emozione. Può essere tutto vero o niente affatto, ma lei sembra certamente distante e distaccata.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da leggere”, anche se oggi sarebbe meglio parlare di “Fotografo da leggere”. Già, perché il volume del quale abbiamo voltato l’ultima pagina porta la firma di Gianni Pezzani: per noi fotografo, anche se poi è stato molto di più. Si tratta di “Inclassificabile”, Nuova Editrice Berti (2023), scoperto durante un girovagare presso la libreria Hoepli, nella sezione dedicata alla fotografia. Non potevamo esimerci dall’acquisto, reso urgente dalla curiosità e dal fatto che avevamo conosciuto Gianni Pezzani nel 2016, per l’intervista su Image Mag.

Iniziamo da una citazione dell’autore, della quale non specifica la fonte (pagina 85): «Il critico di mestiere vuole sempre apparire intelligente. Cerca concetti raffinati che volutamente combacino all’immagine dell’opera d’arte, sviluppa frasi composte ricucite con la grande presunzione di aver compreso e di far comprendere». Non vogliamo cadere nell’errore paventato dalle righe precedenti, così evitiamo il vespaio del fotografo scrittore. Piuttosto ci piace esprimere i rimpianti nati dalla lettura del libro. Gianni Pezzani ha condotto un’esistenza straordinaria, frutto della sua cultura e anche della capacità di guardare oltre, al di là dei confini confortevoli. Sarebbe stato bello conoscerlo a fondo, indagando sui suoi soggiorni in Giappone e anche altrove. Ovunque ha riscosso successi, anche come creatore di moda (non interpretandola solamente, quindi).

Il libro, autobiografico, ha un respiro narrativo forte; come ci piace dire: galleggia. Anche i personaggi (tanti) sono tratteggiati con cura, ambientati a dovere. Sono poi straordinari i riferimenti linguistici. Il rimpianto però diventa anche personale: una vita può essere salvata anche con le parole scritte, in un quadro che diventa un’immensa fotografia. S’incontrano tante storie, che meritano un tratteggio per renderle più fruibili dalla memoria. Gianni Pezzani l’ha fatto.

Circa le fotografie, oltre alla copertina del libro abbiamo inserito un’immagine che il fotografo ci aveva concesso per l’intervista nel 2016, facente parte della serie “Milano notte”.

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RALLY DI MONTECARLO, LA PRIMA

Il 21 gennaio 1911 prende il via la prima edizione del Rally di Monte Carlo. La corsa si svolge lungo la costa francese, tra la riviera monegasca e il sudest francese. Fu voluto dal Principe Alberto I. La competizione presenta una grande varietà di condizioni: asfalto asciutto, bagnato, ghiaccio, neve fresca; e spesso tutte queste situazioni sono presenti anche in un’unica tappa, il che influisce sulle scelte di pneumatici e settaggi delle vetture.

Nella memoria di molti c’è la prova speciale del Col de Turini, corsa spesso in notturna. La frazione veniva anche chiamata “Notte dei Lunghi Coltelli”, per via dei potenti fasci di luce emessi dalle vetture mentre passavano nell’oscurità. Ce ne ha parlato anche Franco Turcati, l’autore delle fotografie che vediamo (grazie). Lui nel ’68 era sul Turini a scattare fotografie di fianco a Giorgio Lotti (chi lo avrebbe mai detto!), con delle scarpe normali e i piedi gelati; il che non gli ha impedito di cogliere l’immagine della Lancia HF, ricca di un fascino antico e fortemente evocativo.

Chi scrive, ricorda la Lancia Fulvia Coupé HF, versione sportiva dell’elegante Coupé; un sogno prematuro per i tempi, visto che non era ancora patentato. Quell’auto avrebbe vinto il Montecarlo nel 1972, con a bordo Sandro Munari e Mario Mannucci, una coppia storica dei rally.
Tra le auto di quel periodo, è giusto ricordare la Porsche 911, insieme alla Mini Cooper S. Quest’ultima vinse per la prima volta il Rally di Montecarlo nel 1964. A rivederla, la piccola inglese, pare quasi un paradosso; eppure sulle strade monegasche era velocissima, fatta quasi apposta. Si trattava di una piccola berlina familiare, con però tanti vantaggi; tra questi: la trazione anteriore e il motore montato trasversalmente. Il fatto che fosse di piccole dimensioni, con le strade rese più strette a causa della neve accumulata ai bordi, rappresentava un elemento positivo non trascurabile.

Oggi, nel mondo dell’auto, tutto è cambiato: si è andati oltre e manca il sogno plausibile. In ambito motoristico, piace il Moto GP, perché il più fortunati una Desmo16 se la possono permettere, mentre altri riescono a vederla come un desiderio alla portata. Che dire? Giusto così.

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