IL PRIMO DISCO D’ORO
10 febbraio 1942, Glenn Miller riceve il primo Disco d'Oro della storia per il brano Chattanooga Choo Choo. Il disco d'oro riproduce un vinile, in oro appunto; e viene dato agli artisti musicali per certificare un dato numero di copie vendute (in origine un milione).
Nel 1942: in soli tre mesi il 78 giri di Glenn Miller con Chattanooga Choo Choo vendette un milione di copie, ecco perché casa discografica gli regalò un disco a 78 giri dipinto d'oro.
Qualche riferimento italiano. Domenico Modugno nel 1958 vinse il disco d'oro con Nel blu dipinto di blu (1958), che vendette ben 22 milioni di copie di cui 800 000 in Italia.
Il primo 33 giri ad ottenere il disco d'oro in Italia fu La voce del padrone di Franco Battiato.
Chi scrive prova un po’ di nostalgia nel parlare di Glenn Miller. Tra i vinili di famiglia, nella casa dei genitori, ve ne sono molti, ma non nei 78 giri. Il padre ne ascoltava spesso uno dove in copertina il musicista vestiva i panni del graduato dell’esercito. Cosa strana (ma non troppo, forse), si trattava di un trentatré dal diametro leggermente inferiore rispetto agli altri. In una traccia era appunto contenuto il brano Chattanooga Choo Choo.
Questa volta non incontreremo fotografie d’autore, il che ci introduce all’argomento del prossimo libro di “Fotografia da Leggere” (speriamo di inserirlo il prossimo lunedì): La fotografia di autore non identificato, a firma Roberto Mutti (Silvana Editoriale).
Le fotografie che non riportano il nome vengono spesso definite anonime, un termine forse un po’ troppo riduttivo. Sono le immagini che ritroviamo nei mercatini, spesso contenute in scatole di cartone insignificanti, ma che attraggono la curiosità degli appassionati, al pari di chi scrive appunto. Come suggerisce Roberto Mutti nel suo libro: «E’ meglio definire le immagini senza nome come “fotografie di autore non identificato”, perché qualcuno dietro alla fotocamera c’è pur stato e chissà se è importante identificarlo o è meglio considerare il suo lavoro come frutto di una visione collettiva che ci coinvolge tutti».
Forse ha ragione Diane Arbus, quando dice: «La fotografia è un segreto intorno a un segreto; quanto più ti dice, quanto meno ne sai». L’autorialità a volte può essere ininfluente.