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LA PRIMA DEL CONCERTO DI CAPODANNO

1 gennaio 1941. Poco dopo l'annessione dell’Austria alla Germania nazista, il direttore d'orchestra Clemens Krauss dedica un concerto al musicista Johann Strauss jr., figura che simboleggia l'identità di stato sovrano, pur sotto il nazismo. Il concerto si tiene tuttora, ogni inizio d'anno, a Vienna.

La notizia, per quanto scontata, festeggia bene il primo giorno dell’anno nuovo. Tutti noi, almeno una volta, abbiamo assistito al concerto viennese, ammirandone il rigore musicale e lo sfarzo, l’eleganza (anche troppa) e il coinvolgimento del pubblico.

l programma si basa prevalentemente su musiche della famiglia Strauss (Johann padre, Johann figlio, Josef ed Eduard), con tre brani che vengono eseguiti tutti gli anni: una polka veloce (che cambia a ogni edizione), An der schönen blauen Donau (Sul bel Danubio blu) di Johann Strauss figlio e la Radetzky-Marsch (Marcia di Radetzky) di Johann Strauss padre; durante quest'ultimo brano il pubblico in sala è solito battere le mani seguendo il tempo scandito dal direttore, assieme all'incalzare dell'orchestra. Una nota, Strauss padre compose la sua marcia in onore del conte di Radetzky dopo la vittoria a Custoza e l’ingresso delle truppe a Milano. Come dire: abbiamo poco da applaudire.
Sempre da tradizione, alle prime note del Danubio blu il pubblico fa partire un lungo applauso, che interrompe l'esecuzione, a cui seguono gli auguri degli orchestrali e del direttore, che dice: «Die Wiener Philharmoniker und ich wünschen Ihnen Prosit, Neujahr!». «I Filarmonici di Vienna e io auguriamo a voi Buon Anno! (l’augurio è urlato dagli orchestrali in coro)».
Diciamolo: Sul bel Danubio blu (An der schönen blauen Donau) è riconosciuto a livello mondiale come uno fra i più famosi brani di musica classica di tutti i tempi.

Due direttori d’orchestra italiani hanno preso parte al Concerto di Capodanno viennese: Claudio Abbado (due volte) e Riccardo Muti (sei volte); a quest’ultimo dedichiamo la fotografia di Guido Harari.

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GIOVANNI PASCOLI, ANCHE FOTOGRAFO

“O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna”. Questo verso riecheggia nella nostra mente per via dei ricordi scolastici. E’ tratto da un componimento di Giovanni Pascoli (nato il 31 dicembre 1855), che ritroviamo inserito nella raccolta Canti di Castelvecchio. Il tema affrontato è quello dell'assassinio del padre, evento drammatico che colpisce profondamente l'esistenza del poeta, segnandone a lungo la poetica: attraversata dalla percezione della morte, del dolore e dal senso di provvisorietà del “nido” familiare.

Giovanni Pascoli si avvicinò anche alla fotografia, anzi: ne era fortemente attratto. Possedeva una macchina fotografica Kodak, che ancora si conserva nella casa di Castelvecchio: era un modello del 1895 ricevuta in regalo dai fratelli Orvieto, insieme a un bastone da passeggio lavorato e a una pipa.
Il poeta rifiutava la società industriale, ma era sensibile agli oggetti della modernità.
Evidentemente rimase affascinato da questo nuovo strumento espressivo, che ha sempre necessitato, ammettiamolo, una base culturale intensa. Del resto, la fotografia rappresentava anche una forma di relazione nella società del periodo, quasi un gioco. Si potevano immortalare momenti felici e significanti, passeggiate, visite di persone particolarmente gradite. E non occorreva solo scattare, ma anche sviluppare le pellicole: non dimentichiamolo.

Nell’Archivio Pascoli, alcune fotografie sono montate su un passepartout con questa iscrizione latina: Opus aetherii solis et Iani Nemorini, “opera dell'etereo sole e di Giovanni Pascoli”, dove è stato latinizzato anche il nome del Poeta.
Le immagini mettono in mostra un Pascoli catalizzato verso la vita contadina che lo circonda. Molte sono riferibili a Caprona e a Castelvecchio, con la casa, i campi, le passeggiate nei dintorni; e ci mostrano un Pascoli sempre sorridente, allegro, conviviale, spesso in compagnia di visitatori e amici. Molte fotografie sono dedicate alla sorella Mariù e a Gulì, il loro cane.
Il poeta ha anche immortalato alcuni personaggi delle sue poetiche, come il piccolo Valente Arrighi, protagonista della celebre lirica “Valentino” (Canti di Castelvecchio).

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NATALIA BODE, FOTOGRAFA DI GUERRA

Abbiamo scoperto Natalia Bode quasi per caso. Ha comunque destato la nostra curiosità, per cui abbiamo continuato a cercare i rete. Questo per dire che la fonte è stata unicamente internet.

Natalia Bode è una fotografa sovietica che ha documentato la II^ Guerra Mondiale.
Quella del fotoreporter militare è una professione difficile e pericolosa, soprattutto se portata avanti da una donna: un fenomeno unico e raro in qualsiasi periodo storico e in qualsivoglia Paese. Di certo lo “sguardo al femminile” su tali eventi consente di realizzare scatti completamente diversi, investiti da un'emotività profonda e sentimentale, in grado di mostrare la vera verità della vita. Il percorso da Stalingrado a Berlino, riflesso nelle fotografie, dà un'idea non della Guerra, ma della vita nelle terribili e difficili condizioni storiche del 1941-1945. Le foto non trasmettono odio, non un atto eroico, ma la quotidianità della situazione militare, completata da sentimenti reali: pietà, confusione, tensione e tristezza, nonché felicità e tenerezza, anche in un momento così difficile come è diventata la guerra per milioni di cittadini sovietici.

Leggendo le memorie su Natalia Bode, emerge un'immagine interessante: porta l'intero abito da vacanza blu nel suo borsone, per indossarlo nel Giorno della Vittoria. I genitori di Natalia, lasciando frettolosamente Kiev poche ore prima della sua occupazione, insieme al suo giovane figlio, non dimenticano di portare con loro una bottiglia del suo profumo preferito, per conservarla fino alla fine del conflitto. Questi episodi fanno emergere l'immagine non di una "combattente", ma di una ragazza molto femminile.
Tuttavia, la guerra è guerra e la vita di Natalia, dopo il 22 giugno 1941, è cambiata radicalmente. Suo marito muore di lì a poco e Natalia, lasciando il figlioletto ai suoi genitori, va al fronte come fotoreporter.

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ATTENTI AL LUPO, PRIMO POSTO

29 dicembre 1990, Lucio Dalla è primo in classifica con Attenti al lupo.
Siamo alla fine del 1990. Il sogno infranto dei mondiali è ancora presente nei ricordi tanti, con Caniggia che infila Zenga nella semifinale di Napoli contro l’Argentina di Maradona. «Attenti al lupo», la canzone di Lucio Dalla, risollevò il morale di molti, anche perché la cantavano tutti: adulti, ragazzi, bambini. Scritta da Ron, il brano fu il singolo trainante di Cambio, uno degli album più venduti da Lucio in carriera.
Nella fotografia di copertina, un ragazzo è seduto a un tavolo tra due donne: lui è un giovanissimo Lucio Dalla, mentre le donne sono la madre, Jole Melotti, e la cugina Silvana Scaglioni. L’immagine è stata colta a Manfredonia, dove Dalla trascorreva le estati in gioventù.

Non era la prima volta che una copertina discografica del cantante bolognese riportava un’immagine della cittadina garganica. Il 45 giri 4 marzo 1943, pubblicato dalla RCA, raffigura il porto di Manfredonia in bianco e nero: una fotografia evocativa, con una freccia che indica il palazzo presso il quale il cantautore alloggiava con sua madre in quelle indimenticabili estati. Il rapporto di Lucio Dalla con il mare del Gargano era qualcosa di speciale, una sorta di legame con una musa ispiratrice. «Dice che era un bell’uomo e veniva dal mare», cantava in “4 marzo 1943”, giorno della sua nascita; e nel brano compare l’uomo misterioso, che a Manfredonia consumò “l’ora più bella” di una madre adolescente.

C’è da dire che negli anni con le canzoni di Dalla abbiamo percorso un “Viaggio in Italia”, in senso geografico. I suoi brani spesso hanno prodotto una fotografia musicale: nella sua Bologna, a Sorrento (Caruso), a Milano (la città «Sempre pronta al Natale, che quando passa piange e ci rimane male»). Lucio, con “La sera dei Miracoli” ha ricordato anche la capitale: «È la notte dei miracoli fai attenzione / Qualcuno nei vicoli di Roma / Ha scritto una canzone». Alla fine, ecco le Tremiti. E’ lì, nella sua casa, che ha composto “Com’è profondo il mare”, una canzone intima, personale, profonda.

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