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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con fotografia da leggere. Oggi incontriamo “La fotografia come arte contemporanea”, di Charlotte Cotton (Piccola Biblioteca Einaudi).
Avevamo il libro sulla scrivania da mesi, ma abbiamo deciso di parlarne solo oggi: dopo una lettura approfondita e una continua consultazione.
Evitiamo gli equivoci, Charlotte Cotton non si occupa della fotografia come forma d’arte; prende viceversa in esame il fenomeno per il quale molti autori considerano la galleria o il libro come il luogo naturale per il loro lavoro. Come suggerisca l’introduzione, «Identificare “l’arte” come il territorio preferito per le loro immagini è diventata attualmente l’aspirazione di molti fotografi».

Sempre all’inizio del libro si legge: «Lo scopo di questo libro non è quello di creare una lista di tutti i fotografi che meritano di essere segnalati in una disamina sull’arte contemporanea, quanto piuttosto dare un senso allo spettro di motivi ed espressioni che esistono, al momento, in questo campo».
In effetti, al di là del pittorialismo (del quale qui non si parla), molte volte alcuni autori hanno aperto una strada nuova dell’esprimersi, sconfinando quindi nell’arte quasi di diritto. E’ il caso, ad esempio, di William Eggleston negli anni ’70; ma lo stesso potrebbe dirsi (è una nostra considerazione) per il nostro Franco Fontana, il fotografo più imitato della storia.

Leggiamo ancora nell’introduzione: «I capitoli del libro suddividono l’arte contemporanea in otto categorie. Queste ultime (dei temi quindi) sono state scelte per evitare l’impressione che siano soprattutto lo stile o la scelta del soggetto a determinare le caratteristiche salienti della fotografia artistica attuale». Ancora: »Una tale struttura pone in un primo piano le idee che sono alla base della fotografia artistica contemporanea prima di prendere in considerazione i loro esiti visivi».

Il libro è bello da leggere, ricco d’immagini e riferimenti. Molti sono gli autori segnalati. Il volume rende più ricca la biblioteca dell’appassionato di fotografia.

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WILLIAM P. GOTTLIEB E L'ETÀ D'ORO DEL JAZZ

Non ci siamo occupati spesso della musica jazz. Il più delle volte abbiamo incontrato grandi interpreti quando celebravamo fotografi famosi. William Claxton è stato ospite del nostro appuntamento quotidiano, per il suo libro “Jazz Life”, redatto assieme a Joachim Berendt (musicologo). Loro due hanno viaggiato per gli Stati Uniti sulle tracce della musica jazz. Attraverso le sale di musica e le bande musicali, le strade secondarie e le metropolitane sono riusciti a documentare quel fenomeno musicale che ha rapito l'America, scavalcando barriere sociali, economiche e razziali.
Siamo però in un’altra era. William Gottlieb, il fotografo di oggi (nato 28 gennaio 1917), ha prodotto il suo lavoro tra il 1938 e il 1948, durante l’ascesa del fenomeno musicale.

Le fotografie di William Gottlieb scattate durante l'età d'oro del jazz testimoniano la crescita di quello stile nella tradizione americana. Lui era presente nel punto d’intersezione del crescente impatto di quel fronte musicale sulla cultura.

Il jazz ha influenzato gli aspetti più profondi della cultura americana, estendendosi da linguaggio musicale a fenomeno culturale. Tre delle più grandi leggende del jazz, Miles Davis, Charlie Parker e Louis Armstrong sono stati immortalati attraverso l'obiettivo della fotocamera di Gottlieb. Catturarli nel loro ambiente durante le performance è stato un privilegio non concesso a molti fotografi. Gottlieb aveva un totale rispetto per loro, così come per la forma d'arte che gli apparteneva. Lui era lì con intelligenza, abilità, entusiasmo e rispetto per documentare una storia vivente.

Le sue immagini di cantanti e musicisti jazz sono forse le più riprodotte nella storia della fotografia americana. A risultare vincente nei suoi scatti è la capacità di catturare le personalità dei musicisti con estrema sensibilità e senso della narrazione, non solo sul palco ma anche una volta smessi i panni delle star: mentre sono nei camerini, in strada o durante le sessioni di prova.
A fare da sfondo una New York notturna e suggestiva, spesso fotografata a colori, un soluzione inedita per un’epoca nella quale la fotografia non in bianco e nero era tecnicamente ancora all’inizio e pochissimo diffusa sia a livello professionale che amatoriale.

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IL GIORNO DELLA MEMORIA

Il 27 gennaio 1945, alle otto del mattino, l’Armata Rossa, impegnata nell’operazione Vistola-Oder, libera il campo di concentramento di Auschwitz, in territorio polacco. Quella data è commemorata dal 2005 come il Giorno della Memoria.
Mentre i soldati russi si avvicinavano ad Auschwitz nel gennaio del 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale, le truppe naziste mandarono la maggior parte dei reclusi del comprensorio di Auschwitz, con le marce della morte, verso altri campi in Germania e Austria, continuando a uccidere.

Ci siamo già occupati del 27 gennaio, in pratica ogni anno da quando scriviamo in rete. Solo nel 2020 abbiamo fatto un’eccezione, parlando di Mozart e dei suoi natali. Per due volte dei libri sono venuti in soccorso: “Il bambino di Varsavia, storia di una fotografia”, di Frédéric Rousseau (Edizioni Laterza) e “Il Fotografo di Auschwitz”, di Luca Crippa e Maurizio Onnis (Editore Piemme, 2 settembre 2014). In altre occasioni ci siamo appoggiati a delle immagini famose: Lee Miller, Prigionieri del Campo 1945 e Margaret Bourke-White, Buchenwald, 1945.

Oggi prendiamo una strada diversa, con un po’ di presunzione per la quale chiediamo scusa. Abbiamo fatto riferimento a una storia d’amore, nata in un lager nazista; e alla memoria di un sopravvissuto illustre, Primo Levi. Quest’ultimo fu liberato dall'Armata Rossa, e scrisse le sue memorie in “Se questo è un uomo”, “La tregua” e “I sommersi e i salvati”.

Non desideriamo dimenticare le tante persone scomparse, ma far luce su sentimenti presenti nell’umanità in contrapposizione a quanto stava accadendo.

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M'ILLUMINO D'IMMENSO

26 gennaio 1917. Giuseppe Ungaretti è un fante della I^ guerra mondiale in Santa Maria la Longa e scrive la poesia "Mattina", una delle più belle della letteratura. E’ un poeta ermetico, quello di "M'illumino d'immenso", conciso e sintetico, quasi indefinito. Lo spettacolo della vita risorge dopo l’oscurità notturna e punta al cuore di tutti, com’è sempre stato.

L’alba non la vediamo spesso, se non coloro che si svegliano presto per motivi professionali, che ad essa volgono lo sguardo distrattamente. Qui, nella poesia di Ungaretti, la situazione è diversa. Lui è un soldato e nell’immenso, forse, c’è anche l’attesa, il desiderio di quella luce racchiuso nell’essenziale, in un mondo ermetico che esplode nell’anima.

Ci viene in mente la romanza “Nessun dorma”, dalla Turandot di Giacomo Puccini: «Dilegua, o notte, Tramontate stelle, All'alba vincerò». Il contesto certamente è diverso, tardoromantico quello del compositore di Lucca; rimane però l’attesa, per gli astri che devono tramontare. C’è poi, sempre in Turandot, un punto d’arrivo definito: «Sulla tua bocca lo dirò fremente! Ed il mio bacio scioglierà il silenzio, Che ti fa mia!».
Nella poesia di Ungaretti l’immenso è il soggetto, l’indefinito che scalda il cuore e l’animo. Il poeta cerca ostinatamente di togliere quanto sia superfluo, inutile: M’illumino completa l’immenso senza approssimazioni, dove le parole stesse vivono nella purezza di ciò che desiderano esprimere.

Togliere e levare il superfluo è anche un mestiere della fotografia? Che brutto paragone, fatto peraltro in un contesto poetico che, almeno qui, elimina ogni forma di complessità. Diciamo che, pensando per immagini, dobbiamo intuire situazioni e stati d’animo. Per l’Ungaretti soldato, e i commilitoni vicino a lui, vedere l’alba non era poi un evento così scontato. La luce immensa diventa quindi una testimonianza di buon auspicio nell’atmosfera cupa e oscura della guerra.

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