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HANS WATZEK, PITTORIALISTA

Scopriamo Hans Watzek sul libro “Storia della Fotografia”, di Beaumont Newhall (Edizioni Einaudi); un testo che consultiamo spesso. Lì si parla di tre amici: il nostro Hans, con Hugo Henneberg e Heinrich Kühn. Si legge: «Loro eccelsero nella stampa su carta trattata con gomma bicromata; esposero in gruppo sotto il nome Kleeblat (si veda dopo). Avevano uno stile che li distingueva: stampe grandi (50x100 cm.), una composizione simile a quella dei manifesti, abbondante uso di pigmenti, solitamente azzurri o marroni, su ruvida carta da disegno».

Da subito diciamo che ci è piaciuta l’idea dell’amicizia, difficile a incontrarsi tra colleghi fotografi, almeno nell’atto di costruire il medesimo lavoro. Insieme viaggiarono molto: Lago di Garda, Lago di Costanza, il Tirolo, il Mare del Nord; destinazioni scelte come occasioni di studio. La fotografia all'epoca era un’attività molto dispendiosa in termini finanziari. Watzek, anche a differenza dei suoi stessi amici, disponeva di risorse molto più limitate. Per questi motivi usava materiali poveri; si auto costruiva le sue fotocamere di cartone, utilizzava carta al bromuro d'argento come negativa, meno costosa delle altre.

Siamo nella seconda metà dell’800 e, a oggi, quando parliamo di un fotografo di quel tempo, ci meraviglia sempre la diffusione delle fotografie. Il nostro Hans ha esposto in tutta Europa e anche oltre oceano. Non vogliamo mettere in dubbio le qualità fotografiche che esprimeva, ma le sue opere hanno esaltato lo sguardo di Stieglitz e Steichen, dall’altra parte del mondo al tempo. Questo conferma come la fotografia abbia rappresentato un linguaggio internazionale, sin dai suoi albori.

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FALLISCE LA KODAK

19 dicembre 2012, la Kodak fallisce. Di certo, non si tratta di una data da celebrare; diciamo che si chiude un’epoca. Il marchio era stato registrato nel 1888, quando veniva consegnato il brevetto per la fotocamera a rullino. Ai vertici della company vi era George Eastman, l’inventore di una nuova macchina fotografica.
Il rullino fotografico è vissuto per più di un secolo. Fino a inizio terzo millennio rappresentava l’unità di misura dell’idea fotografica. La quantità acquistata dipendeva dal soggetto che s’intendeva ritrarre, o anche dall’evento. Per un compleanno uno era sufficiente, le vacanze invece ne prevedevano quantitativi maggiori, ma i ricordi sarebbero vissuti in trentasei scatti, o multipli di quel numero.

Altri tempi, è vero; anche perché le trentasei fotografie possibili imponevano lentezza e anche una gerarchia di soggetto. “Scatto a mia nonna le ultime pose”, così recitava una canzone degli Stadio, e in effetti i rullini andavano finiti, specialmente al termine delle vacanze; così ci si concedeva lo scatto mai pensato, occasionale, forse il migliore: quella nonna commossa che ci salutava asciugandosi le mani sul grembiule.

Chi scrive ricorda con affetto la madre che andava in posta per spedire le pellicole Kodak esposte con una cinepresa 8 mm, a molla. Lo sviluppo era già stato pagato con l’acquisto del materiale sensibile. I filmini tornavano indietro in poco tempo, a sorprendere tutta la famiglia: ognuno durava 3 minuti. Tempo dopo, è stata la volta delle diapositive Kodachrome: stessa procedura, medesima meraviglia. Lo scatolino di plastica conteneva le dia intelaiate col cartone. Acclusi vi erano anche dei consigli.

Oggi, sempre chi vi parla, conserva nella vetrinetta delle cose buone due pellicole: una Kodachrome e una Kodak Ektar, negativo a colori. Altre sono ancora in frigo.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da leggere”. Oggi proponiamo la biografia di un fotografo incontrato più volte. Si tratta di “Gianni Berengo Gardin”, di Silvana Turzio; Bruno Mondadori editore.

Leggiamo nell’introduzione di Silvana Turzio. «Offrire in un solo volume informazioni e analisi su tutto il lavoro di Gianni Berengo Gardin si presentava come un’impresa complessa, che rendeva necessario operare una selezione, rintracciando un filo conduttore. E’ stata decisiva la considerazione che Berengo Gardin è autore di libri fotografici e grande bibliofilo: ho scelto dunque di dare ampio spazio ai libri che lui stesso ha creato, mettendoli in relazione con i testi introduttivi e con le critiche pubblicate».
Sempre Silvana Turzio, nell’introduzione, ha scritto: «Per collocare l’opera in un contesto più ampio, cogliendo le valenze sociologiche ed estetiche, sembrava importante ripercorrere i momenti salienti della formazione di Berengo Gardin, così come esaminare il lavoro editoriale svolto per la committenza, snodo fondamentale per la fotografia italiana fino agli anni novanta».

Conosciamo bene il maestro ligure. Abbiamo parlato con lui più volte, che comunque si è sempre rivelato come un individuo ermetico, conciso, di poche parole. Il leggere questa biografia ci ha aiutato a comprenderlo meglio. Resta il fatto che il suo lavoro è enorme, il che si presta a molteplici letture. Concordiamo quindi con Silvana Turzio quando dice: «Per privilegiare la pluralità degli sguardi, alla fine del libro ho raccolto tre interviste a colleghi e amici del maestro di lunga data». Non ne sveliamo i nomi in questa sede, si tratta comunque di un valore aggiunto che questa biografia riesce a regalarci.

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I FILM DI NATALE

Natale è ormai vicino, con tutte le sue attese. Le televisioni, come ogni anno, proporranno dei film legati alla festività tanto attesa. Ci è sembrato interessante (anche fotograficamente) ripercorrere alcuni film, visti ormai più volte; ma che hanno rappresentato il nostro tempo, tra un pranzo e l’altro, occupando persino le parentesi sonnolente dei giorni di festa. Noi non ci stancheremo mai di guardarli, anche se li conosciamo a memoria. Del resto è bello incontrare nuovamente i piccolo Kevin McCallister che, nei due mitici capitoli di “Mamma ho perso l’aereo”, concia per le feste due malcapitati banditi; o anche la coppia Eddie Murphy-Dan Aykroyd, in una commedia retta dagli equivoci: “Una poltrona per due”, un evergreen nelle TV natalizie.

Per onore di cronaca, dobbiamo ricordare i cine-panettoni, iniziati con “Vacanze di Natale” nel 1983. Calà, De Sica e Amendola recitano in una Cortina innevata. C’è anche qualche bella donna, nella trama, spesso con poco adesso. Meglio lasciar perdere. Andando indietro nel tempo, ci imbattiamo in Bianco Natale (1954). Nel film si ascolta White Christmas: la canzone più celebre delle feste e il disco più venduto di tutti i tempi. A intonarla è Bing Crosby.

A noi piace ricordare anche “Love Actually - l'amore davvero”. Siamo a Londra pochi giorni prima di Natale, dove l'amore è dappertutto. Dieci storie s’intrecciano a formarne una sola: Hugh Grant è il nuovo Premier appena insediatosi e si innamora di una ragazza del suo staff; sua sorella (Emma Thompson) è convinta di essere tradita dal marito (Alan Rickman) che in effetti è molto attratto da una collaboratrice, la stessa che aveva fatto perdere la testa ad uno scrittore (Colin Firth), il quale fugge all’estero per dimenticarla, incontrando anche lui l’amore, il sentimento che scivola ovunque nella trama. Tutto sistema, non per un miracolo, ma perché è giusto così. Il film è scritto bene.

Arriviamo in vetta alla classifica. Sì, perché tra i grandi classici del periodo natalizio c’è “La vita è meravigliosa”, diretto da Frank Capra.

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