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LA PRIMA FOTO DEL PRESIDENTE

È il 14 febbraio del 1849, l’undicesimo presidente degli Stati Uniti d’America, James Knox Polk, posa per un ritratto fotografico. È il primo membro della Casa Bianca a essere ritratto con una fotocamera.

Oggi si potrebbe parlare di San Valentino, ma circa questa festività ci siamo dilungati gli anni scorsi, con le fotografie di baci famosi. Abbiamo preferito non ripeterci, anche se non dimentichiamo di dedicare i nostri auguri a coloro che si vogliono bene.

Ames Knox Polk è stato fotografato da Mathew Brady. Lui può essere considerato un padre del fotogiornalismo. Fu il più grande fotografo storico americano del 19° secolo, e senza dubbio quello preferito da Abramo Lincoln. Nessuno più di lui potrebbe affermare di aver scattato più fotografie d’importanti personaggi storici nel corso del 19° secolo.

Mathew Brady fu il primo a documentare fotograficamente la guerra civile americana. Durante tutta la guerra, Brady spese cifre enormi per produrre scatti e stampe che riguardassero il conflitto. Si aspettava un aiuto da parte del governo americano, che non arrivò mai. Fu così costretto a vendere il suo studio a New York, il che volle dire la bancarotta. Brady cadde in depressione, anche per via del decesso della moglie (1887), e trovò rifugiò nell’alcool. Mathew Brady visse gli ultimi mesi della sua vita in una pensione, tutto solo, malato e indigente. È stato lasciato senza un soldo e non apprezzato, anche se ha dedicato tutta la sua vita per preservare e perpetuare la storia del suo paese. Alla fine dei suoi giorni Brady, parlando delle fotografie che ha scattato, e disse: «Nessuno saprà mai cosa mi sono costate, alcuni di esse quasi le ho pagate con la vita».

Alle cinque il 15 gennaio 1896, Mathew Brady morì, da solo e dimenticato. È sepolto nel cimitero del Congresso a Washington. Il suo amore per la vita e il suo paese vivranno per sempre nei cuori e nelle menti di milioni di persone in tutto il mondo per tutti i tempi a venire.

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RICORDANDO RICHARD WAGNER

Il 13 febbraio 1883 muore a Venezia Richard Wagner. Dell’autore tedesco ricordiamo l’impeto e la forza delle sue composizioni, ma anche il leitmotiv, che tradotto vorrebbe dire motivo conduttore. In genere è costituito da una breve melodia, un accordo o semplicemente una figura ritmica. Richard Wagner, per l’appunto, ne ha fatto largo uso. Nel ciclo Der Ring des Nibelungen (L'anello del Nibelungo) ben 74 Leitmotive si susseguono continuamente per rappresentare personaggi o situazioni. Molti temi, inoltre, vengono ripresi all’interno dell'intero ciclo, costituendo un elemento unificatore.

Tornando alla forza della musica di Wagner, ci viene in mente un film di Woody Allen: Misterioso omicidio a Manhattan, dove il regista recita di fianco a Diane Keaton. La trama narra le vicende di una coppia che vive di contrasti e che alla fine indagherà su un omicidio accaduto in un appartamento vicino all’abitazione dei due. Lui e lei sono diversi di carattere: esuberante Carol, la Keaton nel film; più timido e circostanziato Larry, Allen appunto. Si dissociano anche in relazione ai gusti: la donna ama teatro e concerti, il marito lo sport dal vivo. In una scena s’intuisce come la coppia sia uscita anzitempo da un concerto d’opera. Larry (Woody Allen) dirà; «Io non posso ascoltare troppo Wagner, lo sai: già sento l'impulso a occupare la Polonia».

«Là dove si arresta il potere delle parole, comincia la musica», questo soleva dire Richard Wagner, che quindi con le sue composizioni andava oltre, superando perfino il confine logico dell’esistenza. I suoi lavori hanno avuto un'influenza rivoluzionaria sul corso della musica occidentale: sia per l’estensione delle sue scoperte, che nella reazione contro di loro. Il nostro Verdi, all’apice della fama con il suo melodramma, un giorno viaggiò da solo fino a Bologna per ascoltare la musica del maestro tedesco, subendone poi l’influsso. In molti, peraltro, hanno asserito come le ultime opere del compositore di Busseto fossero ispirate appunto da Wagner, Falstaff in testa, la cui prima si tenne a Milano proprio a febbraio, il 9 del 1893 per l’esattezza.

Lasciamo però ogni cosa al suo posto, senza intaccare la fama di due giganti. Oggi occupiamoci di Wagner e della sua vita trascorsa a volte selvaggiamente, ma dominata dall’istinto verso il pianoforte e la composizione; accompagnata dalla lettura di Shakespeare, Goethe e Schiller.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da Leggere”. Oggi incontriamo ancora Roberto Mutti, che ci regala un’altra sorpresa delle sue: “Le fotografie di autore non identificato”, Silvana Editoriale.

Alla prima pagina troviamo un aforismo interessante: «La fotografia è un mistero attorno a un segreto. Quanto più ti dice, quanto meno ne sai». E in affetti, l’autore ci introduce in una selva oscura dantesca, dentro la quale non ci eravamo mai inoltrati: quella delle fotografie d’autore sconosciuto. Mutti preferisce non utilizzare l’aggettivo “anonime” in relazione alle immagine che non portano una firma, perché uno scattante comunque è esistito: ha guardato, scelto, deciso, raccontando se stesso e interpretando il senso del suo sguardo. La domanda che propone in seguito apre uno scenario immenso: è importante cercare di individuarlo o è meglio considerare queste immagini come frutto di una visione collettiva che tutti ci coinvolge? Già, nella realtà gli “anonimi” siamo noi; e allora: preferiamo venire ricordati come autori o desideriamo che il contenuto della nostra fotografia sopravviva a noi stessi?. Certo, bello sarebbe che accadessero entrambe le eventualità, anche se (parere personale) il salvataggio del tempo ottenuto con lo scatto dovrebbe prevalere nei desideri già espressi con la scelta del soggetto e dell’istante significante.

Leggere il libro è stato piacevole, molto. Nei vari capitoli, il volume diventa quasi un manuale del collezionista. Leggiamo, a pagina 41: «La ricerca delle fotografie che si stanno considerando implica che chi lo fa assuma un atteggiamento di grande consapevolezza; questo sempre che non voglia limitarsi a una “raccolta di figurine”». E poi, ancora: «Per un’autentica comprensione bisogna essere capaci di maneggiare gli strumenti dell’economia e della sociologia, studiare l’evoluzione della tecnica e dell’agricoltura, tenere conto della distribuzione della ricchezza come del ruolo della sanità». Insomma, occorre analizzare la vita che si dipana di fronte ai nostri occhi: l’autore non identificato diventa così più vicino e non è importante (forse) conoscerne il nome.

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NASCE VITTORIO ECCLESIA

Non conoscevamo il fotografo Vittorio Ecclesia. Abbiamo scoperto la sua data di nascita (11 febbraio 1847) per caso, iniziando subito dopo a cercare notizie su di lui in ogni dove. I testi storici in nostro possesso non riportavano molto, per cui ci siamo rivolti alla rete e a fine testo riportiamo le fonti.

Pare che Vittorio Ecclesia sia stato mosso dalla passione per la fotografia sin dalla giovane età e che abbia iniziato da apprendista già a dieci anni. Diciamo che lui è nato nel posto giusto, perché la Torino dell’epoca era vivace in ambito fotografico. Questo però non riduce i suoi meriti, artistici e imprenditoriali. Già, perché la sua vita è costellata di successi e onorificenze. Tra l’altro, il credo fotografico che lo animava deve essere stato contagioso, con lui collaborarono infatti i quattro figli avuti dalla moglie Anna Gariglio, e cioè: Ottaviano, che lavorò essenzialmente a Torino; Clotilde, attiva fra Pavia e Savona; Maria, fotografa ad Ivrea; Umberto, che affiancò più da vicino l'opera paterna, impegnandosi soprattutto nelle campagne di Asti e dell'Astigiano.

I successi arrivarono sin da subito, già con l’apertura del primo studio in società col fotografo Rondoni. Ecco cosa riportano i commenti dell’epoca: «Ha un grazioso giardino ove poter all'uopo fotografare anche cavalli, cavalieri, carrozze; e tanto spazio da far gruppi ed interi battaglioni. Su ritratti di qualsiasi grandezza si vede un'eccellente distribuzione di luce, vitalità vera nelle movenze dei modelli, gusto squisito nelle pose, maestria incontestabile nella finezza di ogni dettaglio che valga a dar risalto alla persona».

Interessante, è il caso di dirlo, risulta essere il suo lavoro sul territorio. Anche lui, come molti altri fotografi dell'ambito torinese e piemontese sviluppa, oltre al lavoro eminentemente ritrattistico, un interesse per il paesaggio e la fotografia delle ricchezze architettoniche, contribuendo a testimoniare, valorizzare e catalogare il patrimonio artistico medievale dell'area piemontese.

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