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PRIMA DI ANDARE A LETTO

3 febbraio 1957, nasce Carosello, il primo spazio televisivo dedicato alla pubblicità. In onda ogni sera, alle 20,50, sul Programma Nazionale, allora unico canale Rai, Carosello dura all'inizio 10 minuti, con quattro short della durata massima consentita di due minuti e quindici secondi, pari a 64 metri e venticinque centimetri di pellicola. Ogni spazio era venduto alle aziende a un milione e cinquecentomila lire. Tutti i più grandi attori, registi, cantanti e disegnatori “lavoreranno a” Carosello. Si calcola che, all'apice della fama, nel 1976, Carosello giungerà a inchiodare davanti al video fino a 19 milioni di telespettatori.
La trasmissione esercitò una forte attrattiva anche sui bambini, per via forse della trama semplice dei cortometraggi (gli spot erano girati in pellicola!), dal finale quasi scontato. Celebre era la frase dei loro genitori: “Dopo Carosello, tutti a letto”.

Nella trasmissione, al di là del format, si può riconoscere ancora oggi tutta la società del tempo. Andò in onda per vent’anni, senza alcuna sbavatura tecnica. Non veniva trasmesso il venerdì Santo e nemmeno il 2 Novembre. Fu sospeso dal 12 al 15 dicembre 1969, quando il Paese apprese della strage di Piazza Fontana, ed anche in occasione dell’uccisione dei fratelli Kennedy. Alla realizzazione di Carosello parteciparono registi illustri, come: Ermanno Olmi, Sergio Leone, Ugo Gregoretti, Pupi Avati, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini; solo per citarne alcuni. Andò in onda per l’ultima volta l’1 Gennaio 1977.

La televisione, storicamente, ha avuto un ruolo importante, oltre a quello che conosciamo. Con essa, la lingua italiana si sarebbe unificata ulteriormente, accelerando un processo iniziato con la prima guerra mondiale. Dobbiamo dire che spesso negli spot (allora non si chiamavano così) si parlava in dialetto, ma non importa: anche Carosello ha cementato quell’Italia.

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I RUSSI SI RITIRANO

Non è una notizia dei giorni nostri, ma riferita al passato. Il 2 febbraio 1989 l'ultima colonna blindata dell'Unione Sovietica lascia Kabul, ponendo fine a nove anni di occupazione militare. Termina così la guerra sovietico-afghana, iniziata il 27 dicembre 1979, con l’ingresso dei carri armati in Kabul.
I fatti del 2 febbraio 1989 ci permettono di incontrare Francesco Cito, perché interprete e narratore degli anni ’80 in Afghanistan. Come ha scritto Ferdinando Scianna, «Francesco Cito è forse oggi il miglior fotogiornalista italiano. Ha l'istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l'essenziale delle cose». Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa e, al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue sono le immagini dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.
Seguiranno Cisgiordania, Arabia Saudita, Palestina, ma anche reportage di casa nostra. Lo spirito sarà sempre quello: avventuriero, da un lato, narrativo dall’altro. E’ un viaggio, quello proposto da Francesco Cito, che ci guida con lo sguardo verso oriente. Il suo non è un reportage di guerra, ma un racconto delle genti che la stanno vivendo. Nella mostra “Combattenti d’Oriente” ha narrato di polvere, fango, miseria; ma anche di come in quei luoghi, d’oriente appunto, possa rinascere la vita, la speranza, la forza di fronte alla necessità. I bambini convivono con i soldati; e guardano curiosi, giocando tra i relitti, imparando l’infanzia a piedi nudi.

E’ l’idea dell’oriente, quella proposta da Cito, dei luoghi dove si combatte ancora oggi; e lo ha fatto con naturalezza, senza false ipocrisie o immagini di comodo. Alla fine c’è sempre la speranza: nostra, loro, dei bambini a piedi nudi.

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IL RE DI HOLLYWOOD

Clark Gable, il “Re di Hollywood”, è famoso per aver recitato nel film "Gli spostati" (The Misfits, 1960), diretto da John Huston, sulla sceneggiatura di Arthur Miller, con Marilyn Monroe e Clark Gable. Per entrambi i protagonisti sarà l'ultima apparizione cinematografica.

Tante storie s’intrecciano durante la lavorazione di quella pellicola. Peraltro, molti fotografi si sono interessati alle riprese e ai protagonisti. Elliott Erwitt, per Magnum, ha scattato la fotografia di gruppo degli interpreti. Ernst Haas era il fotografo di scena accreditato. Va poi citata Eve Arnold, la fotografa empatica con tutte le donne celebri che posavano per lei. Pare che Marilyn Monroe, sul set del film, le abbia confessato di essere esausta per via della sua vita sempre alla ribalta. Rimangono poi Inge Morath e Henri Cartier Bresson. Insieme hanno intrapreso un viaggio di diciotto giorni da New York a Reno (in Nevada) per fotografare le riprese de “Gli spostati”. Tra l’altro la fotografa lì conoscerà Arthur Miller, ai tempi marito di Marilyn Monroe, che sposerà nel 1962. Insieme condurranno una vita di grandi viaggi. Il rapporto tra i due si era consolidato nel 1961 durante le riprese del film “Uno sguardo dal ponte”, diretto da Sidney Lumet, basato sull'omonimo dramma del 1955 di Arthur Miller.

Clark Gable è noto anche per aver recitato nel film “Via col vento”, che vogliamo ricordare per aver portato alla ribalta la storia di due donne: Margaret Mitchell, autrice del romanzo famosissimo, e Vivien Leigh, bellissima, che di quel lavoro ha interpretato la trasposizione filmica. Due donne, quindi; alle quali la vita ha dato molto, togliendo anche tanto. Entrambe sono uscite dall’anonimato con coraggio e decisione, ma l’esistenza offre e prende; e con loro non ha fatto un’eccezione.

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“LATTINE DI STRADA” IN MOSTRA

Vittorio Valentini presenta a Bologna il suo progetto fotografico “Lattine di strada”. L’esposizione, promossa e ospitata da Foto galleria Paoletti, si svolge nell’ambito di Art City Bologna, dal 2 al 12 febbraio 2023, con vernice il 4 febbraio, alle ore 17.30.

Iniziamo così, con un annuncio stretto e asciutto, senza preamboli. Le fotografie di “Lattine di strada” hanno sollecitato, da subito, la nostra invidia “positiva”, quella del fotoamatore domenicale, pronto a esclamare: «Potevo farle anch’io».
Con un po’ di raziocinio, e con l’esperienza dell’età (sic), lasciamo che il sentimento precedente possa attenderci nella II^ Cornice del Purgatorio dantesco, dove indosseremo un mantello di panno ruvido e pungente, impossibilitati a vedere. Sì, perché per fotografare dei comuni contenitori di bevande occorre osservare con cura, avendo a disposizione un pensiero fotografico lucido e attento. Le lattine sono oggetti come tanti, tutti facenti parti della nostra vita, che spesso tralasciamo nel racconto di noi. Da ragazzi capitava spesso di calciarne una, in gruppo o anche da soli: un po’ come fa Cher nel film “Stregata dalla Luna”, rincasando dopo una notte d’amore impossibile.
Insomma, i contenitori di latta erano lì, a disposizione: in ogni latitudine del mondo. Per raccontarli occorreva una mentalità progettuale a larghe convolute: quella della volontà e dell’ostinazione, del credo; con un occhio strizzato alla pop art e all’immagine concettuale. E Vittorio è un po’ così: attento al mondo dell’arte e determinato nel suo peregrinare fotografico. Siamo altresì convinti che altri progetti stiano animando la sua mente e lì lo attendiamo, in un domani prossimo. Per adesso, godiamoci le lattine: va bene così.

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