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DONNA FOTOGRAFA, PER LE DONNE

Con uno spirito di parte, consideriamo la fotografia professionale un mestiere che ha visto innalzarsi il livello dell’emancipazione femminile. Per trovare donne che lavoravano “da uomini”, basta volgere lo sguardo alla rivoluzione industriale o ai conflitti bellici; ma lì occorrevano più braccia, al di là del genere. La fotografia non ha mai chiesto manovalanza in più. La pratica di quella disciplina richiedeva desiderio di esprimersi, raccontando a volte, arrivando persino a esporsi. Negli anni, tante donne ci hanno provato, con successo possiamo dire, manifestando coraggio e consapevolezza. La fotografa che incontriamo oggi è una di queste, dimenticata forse, o anche sconosciuta, ma convinta di come le donne potessero assumere un ruolo attivo nell’arte dello scatto.

«È sbagliato considerare la fotografia come puramente meccanica. Meccanica lo è, fino a un certo punto, ma oltre a questo c'è un grande spazio per l'espressione individuale e artistica».
(Frances Benjamin Johnston, 1897).

Dopo aver fondato il proprio studio fotografico nel 1894, a Washington, D.C., Frances Benjamin Johnston è stata descritta dal Washington Times come "l'unica donna nel settore della fotografia in città". Considerata una delle prime fotografe donna negli Stati Uniti, ha scattato foto di eventi di cronaca e architettura e ha realizzato ritratti di leader politici e sociali per oltre cinque decenni. Fin dall'inizio, era consapevole del suo ruolo di pioniera per le donne nella fotografia, dicendo a un giornalista nel 1893: «È un'altra mia teoria preferita che vi siano grandi possibilità nella fotografia come occupazione redditizia e piacevole per le donne, e io sento che il mio successo aiuta a dimostrarlo, ed è per questo motivo che mi fa piacere che altre donne conoscano il mio lavoro».
(Fonte: MoMA NY)

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CURIOSITA’ FOTOGRAFICHE …

Come avevamo promesso nell’editoriale d’inizio anno, ogni tanto ci occuperemo di curiosità fotografiche. Nel farlo, non desideriamo sbalordire e nemmeno assumere un tono ironico; piuttosto ci piacerebbe indurre delle riflessioni circa le idee e le visioni che tanti personaggi sono riusciti a portare avanti con concretezza. Tanto per fare un esempio, oggi appare naturale parlare di full frame, senza considerare che tempo addietro un certo Oskar Barnack pensò di inserire una pellicola cinematografica dentro una piccola fotocamera. Ne è nato un fotogramma 24X36 che corrisponde al pieno formato di oggi.
Del resto, ogni tanto è giusto rivolgersi alla storia e farla rivivere, anche solo con la fantasia. I musei, quelli a tema tecnologico soprattutto, esistono anche per questa ragione: comprendere l’idea e la visione degli inventori.

Oggi la tecnologia ci aiuta molto. Con un investimento modesto, figurativamente siamo in grado di creare quanto ci aggrada; e spesso lo strumento diventa una scorciatoia che si antepone al progetto. Ancora peggio: alle volte cerchiamo l’idea originale, senza valutarne la dimensione, convinti di ricevere dalle apparecchiature (innocenti, è ovvio) il supporto necessario. Crediamo che occorra interrogarsi spesso su chi siamo, soprattutto circa l’atteggiamento che assumiamo di fronte alle storie che si parano davanti ai nostri occhi. Tutto parte da lì, da quella riflessione, per far sì che ognuno di noi possa tramandare a domani istanti significanti, che allungano la storia di sempre: quella della vita.

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BLOWIN’ IN THE WIND

12 gennaio 1985, l’Italia era stretta dal gelo, con punte minime inimmaginabili oggi (-23 a Firenze). Nella notte, a Milano, sarebbe comparsa la neve, che avrebbe imbiancato la città per quattro giorni consecutivi, raggiungendo i 90 centimetri. Oggi il termometro, nel capoluogo lombardo, non scende sotto lo zero e nemmeno ci domandiamo perché. Qualcosa sta cambiando, per andare dove però? Del resto, proprio di questi tempi le domande potrebbero essere molte, con una storia che pare inseguirsi sugli stessi temi, irrisolti da secoli.

12 gennaio 1963 - Bob Dylan canta in anteprima assoluta il brano "Blowin’ in the wind". E’ la sua canzone iconica, immortale, eseguita con la chitarra acustica e un’armonica a bocca, in semplicità. I pochi versi, ricchi di profondità, si compongono di domande dalle risposte irrisolte, perché: «The answer, my friend, is blowin’ in the wind». La risposta, sussurra nel vento, aleggia nel vento, è portata dal vento; e non si sa se verrà raccolta da qualcuno.

Altri tempi, quelli del ’63, dove l’ideologia faceva sentire la sua voce. Oggi, la virtualità nasconde le idee e propone una realtà troppo oggettiva, ma di più facile lettura, il che non guasta. E’ giusto, però, ascoltare ogni tanto i classici di un tempo, perché sono diventati degli esempi per la musica degli anni a venire, certamente fonti d’ispirazione per molti, anche di casa nostra. Resta la nostalgia (scusate) per quei jeans stretti e quella chitarra che ormai non suoniamo più, causa la pigrizia del tempo o l’inadeguatezza dei momenti. Del resto, «The answer, my friend, is blowin’ in the wind» e il suo sussurro non siamo riusciti ad ascoltarlo.

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NASCE L’AUTOBIANCHI

Riprendiamo una notizia di tre anni addietro. L'11 Gennaio 1955, nasceva l'Autobianchi, grazie a un accordo tra Bianchi (quella delle biciclette di Fausto Coppi), Pirelli e Fiat. Ci piace parlarne, perché siamo di fronte a un marchio che trova il consenso, in un’Italia che piace. I più anziani ricorderanno la Bianchina, «La sua virtù della Bianchina è di essere una piccola fuoriserie prodotta in serie, il che in definitiva è proprio una delle condizioni fondamentali dell’industrial design», scriveva Mario Miniaci nell’articolo “La fuori serie di serie” pubblicato sulla Rivista Pirelli n° 5 del 1957.
La Bianchina condivideva la motorizzazione della 500 (2 cilindri raffreddati ad aria), ma risultava più spaziosa, comoda, anche silenziosa; in più aveva quelle codine che facevano tanto USA (di moda allora).
Qualcuno ricorderà la Bianchina Cabriolet terza serie rossa che appare nell’incipit del film “Come rubare un milione di dollari e vivere felici” del 1966, guidata a capote aperta per le strade di Parigi da Audrey Hepburn, completamente vestita di bianco. L’attrice, tra l’altro, era appassionata di auto.

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