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[RICORDANDO AUDREY HEPBURN]

Audrey Hepburn ci ha lasciato il 20 gennaio 1993. Sognava di danzare, invece diventerà una stella del cinema. Bella ed elegante, ma anche ingenua e fanciullesca, le bastava essere quel che era per sorprendere il mondo della celluloide. I critici parleranno di lei come una “Una diva che non volle mai presentarsi come tale”, il che è una qualità.

E’ difficile poterla dimenticare, e non sarebbe nemmeno giusto farlo. Con la sua recitazione ha occupato un’epoca cinematografica, arrivando a proporre un modello di eleganza e atteggiamento, al di fuori del suo ambiente e tra le ragazze coetanee. Il suo “tubino” i suoi occhiali hanno fatto moda; ma allora era diverso, perché le nostre mamme (o nonne), in un certo senso, erano così e non occorreva “s’istallassero”, seguendo uno stilema pre-configurato.

Con Audrey, rimane il ricordo di un volto bellissimo, quasi infantile, persino ingenuo a volte. A nostro sentire, il suo sorriso nascondeva una sorta di malinconia. Forse si tratta unicamente di una suggestione, ma ci auguriamo che la vita le abbia restituito quella felicità spesso oltraggiata da una tristezza giovanile.

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[JANIS JOPLIN, ZUCCHERO E RUGGINE]

Janis Joplin, grandissima, parla di musica, ma anche di un’era, quando i margini della libertà si spostarono più in avanti: prima non era così, e neanche dopo capitò la stessa cosa. Questioni di sogni e d’idee, ambizioni dimenticate per un modo che tornava a normalizzarsi, troppo. Furono i giovani a generare lo scossone, con una rivoluzione annunciata e mai combattuta: solo promessa. Tutto culminò con Woodstock, la "tre giorni di pace e musica". Oggi si affibbia il nome "Woodstock" a qualsiasi raduno che conti più di qualche migliaio di persone, fosse anche la sagra della polenta coi porcini. I ragazzi che popolarono l’evento non erano solo fatti come copertoni, né si trovavano lì per una vacanza sui generis. Per tre giorni l’utopia si è trasformata in realtà: quella di un mondo diverso, libero, pacifico, solidale. La rivoluzione, dopo Woodstock, non c'è stata. Non importa, comunque; ma quei tre giorni sono esistiti davvero, e la musica che li ha accompagnati resta ancora con noi, con tutta la sua forza, la sua libertà, il suo significato.

C’era anche Janis Joplin

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[CARY GRANT, L’IRONIA DIVENTA FASCINO]

Un giorno, un intervistatore gli avrebbe detto: "Tutti vorrebbero essere Cary Grant". Pare che l’attore abbia risposto: “Anch’io”. In effetti, il personaggio inventato dall’attore inglese fa gola a molti, ancora oggi; perché interprete di commedie sofisticate, grazie all’insieme di raffinatezza e ironia. Sempre ben vestito, elegante, mai fuori posto, Cary Grant seduceva col comportamento, le movenze, il modo di porsi. La bellezza, pur presente, era accessoria, non necessaria per circuire le tante donne che hanno popolato i film nei quali ha recitato. Oggi, tra i tanti compleanni disponibili (Renato Guttuso, Kevin Costner, Gilles Villeneuve), lo abbiamo scelto per la sua unicità di personaggio, i cui tratti emergono anche nelle fotografie dei due autori scelti: Penn e Avedon; entrambi maestri nel ritratto.

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[FRANÇOISE, SIMBOLO DELL’ONDA YÉ-YÉ]

Françoise Hardy incarna le regole del successo, che molto spesso non riguardano fortune o coincidenze. La bella Françoise brilla di coerenza, che alla fine diventa un merito. Magrissima, non ripercorre gli stilemi di Twiggy, più rivoluzionari e sfrontati. La francesina si mostra timida e malinconica, con la pettinatura (e la frangetta) in linea col personaggio. Si spiega bene nel suo primo successo discografico, che rappresenterà l’etichetta della sua carriera di cantante, scrittrice e modella: “E la man nella mano, se ne van piano piano; se ne van per le strade a parlar dell'amore”. Lei, nella canzone, ancora non può farlo con un ragazzo, un po’ come la nostra Gigliola Cinquetti (un’altra ragazza yé-yé, ma di casa nostra), che però non ha l’età. La carriera di Françoise Hardy è ricca di fotografie e fotografi, e questo ci piace. Un’altra regola per il successo? Può darsi.

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