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SINÉAD O'CONNOR, LA VOCE E LA TRAGEDIA

Sinéad O'Connor si è spenta all'età di 56 anni. Secondo fonti autorevoli, la cantante sarebbe morta per via dei gravi problemi di salute mentale. Solo pochi mesi prima suo figlio di 17 anni era stato trovato morto dopo due giorni di ricerche, fuggito da un centro psichiatrico dove veniva curato per le sue tendenze suicide. La stessa cantante avrebbe tentato il suicidio otto volte, l'ultima delle quali dopo la morte del figlio Shane. Lei era madre di altri tre figli.

La sua voce era intrigante e negli anni novanta bucava le radio. E’ ricordata per uno spiccato anticonformismo e per il suo look con i capelli rasati a zero.
Durante la sua carriera ha regalato al mondo l'indimenticabile versione del brano Nothing Compares 2 U, scritto da Prince a metà anni ’80 per i “The Family”, che però non ebbe il successo sperato. La voce iconica di Sinéad, nel 1990, riesce a dare una nuova interpretazione alla canzone, trasformandola in un inno al dolore per un amore perduto e alla nostalgia che arriva in cima alle classifiche mondiali. Mentre la versione originale raccontava la sofferenza per la fine di un amore, Sinéad la trasformò in un omaggio alla madre, con la quale aveva sempre avuto un rapporto tormentato.
Nothing compares 2 u trasforma Sinéad in star globale, ma dal 2015 si rifiuta di cantarla. Ha dichiarato che le mancava qualcosa per restituire emozione al brano.

Ascoltiamo spesso Nothing comparet 2 u, presente nella play list del telefono. La notte e l’autostrada ci avvicinano al brano, ricco di forza e vulnerabilità. Già Sinéad era debole, sola; non perché le mancassero le relazioni con il mondo, ma per il fatto di soffrire mentalmente, in uno spazio d’idee che non possono essere messe a confronto con altri. L’infanzia l’aveva minata nella sensibilità, per la mancanza, probabilmente, di quell’affetto del quale una bambina ha bisogno.

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HILDEGARD OCHSE, UNA STORIA DI DONNA

Hildegard Ochse aveva 43 anni quando scelse la carriera professionale di fotografa, che portò avanti per neanche due decenni; un po’ poco, per la sua passione e anche in relazione alla preparazione che era riuscita a costruirsi. Lei aveva preso parte a workshop dei rinomati fotografi americani, tra cui Lewis Baltz, Ralph Gibson e Larry Fink, studiando da giovane a Rochester. I viaggi le hanno fatto conoscere il matrimonio, poi fallito; e in seguito la maternità, con quattro figli. Solo dopo il divorzio si è trovata libera, ma era anche tardi, perché la malattia l’aspettava in agguato. Peccato, perché lei dalla fotografia voleva solo la verità, ammesso che potesse restituirla.

Le opere fotografiche di Hildegard Ochse riflettono su simboli di condizioni sociali e culturali: sono scattate in bianco e nero, senza distorsioni e nella piena mancanza d’immagine insolite. Hildegard Ochse si occupava della rappresentazione della realtà autentica, della vita quotidiana. Era consapevole che le fotografie non sono solo un riflesso del mondo, ma creano contenuti, estetica e nuovi modi di vedere e interpretare la realtà. Con il suo atteggiamento nei confronti della fotografia, la selezione dei temi e il suo linguaggio Hildegard ha dimostrato di operare nell’ambito dell’autorialità. Il termine non ci aiuta, anche perché tradotto dal tedesco in maniera superficiale. In realtà Klaus Honnef, curatore e storico dell’arte, con quel sostantivo voleva riferirsi a fotografi che riflettevano la propria visione di ciò che li circonda secondo un linguaggio visivo strettamente documentaristico, al fine di creare una realtà autentica nella foto. Tra questi autori c’era anche Hildegard Ochse.

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STEFANO BRICARELLI, FOTOREPORTER

Più volte abbiamo sentito dire come la fotografia debba racchiudere sempre una sorta di progetto; ebbene, questo vale per tutti i generi, anche quelli distanti dal fotogiornalismo.
Weston diceva (sono sue parole): «Il compito del fotografo non sta solo nell'apprendere come si deve maneggiare l'apparecchio fotografico o sviluppare e stampare, ma nell'imparare a vedere fotograficamente, addestrarsi a guardare il soggetto, tenendo conto delle possibilità dell’attrezzatura e dei relativi procedimenti tecnici, in modo da poter istantaneamente tradurre gli elementi e i valori della scena, nell'immagine che si propone di realizzare». Praticamente i fotografi, secondo Weston, devono possedere la capacità di pre-visualizzare (visualizzare prima) la fotografia nella mente, per scattarla subito dopo.

Sfatiamo una convinzione: il fotografo non è un cacciatore di attimi, ma fa in modo di crearli o di sceglierli. E' tutta questione di verità, responsabilità, chiarezza. Sotto quest'ottica, l’autore (oggi un fotoreporter) non dovrà tramandare ai posteri un episodio “rubato”, ma l'emozione che racchiude. In ballo non c'è una verità di fondo (quella dello scatto), ma la lealtà del contenuto; quest'ultimo dovrà essere non ingannevole: ecco tutto.

Il mestiere di fotoreporter è difficile. Per quanto detto prima, non è sufficiente scattare fotografie di quanto è appena accaduto, catastrofico o meno. Occorre, viceversa, catturare l’intima essenza di ciò che si vede, per poi trasmetterlo ad altri, con uno sguardo più lungo. Stefano Bricarelli era conscio di ciò che abbiamo appena scritto, con tutta l’umiltà possibile beninteso. Era nato per essere fotoreporter e gli veniva spontaneo fermare l’immagine trasmettendoci l’anima del contenuto, che fosse di inquietudine o gioia.

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PASQUARELLI, FOTOGRAFO E INVENTORE

Ci sono personaggi che hanno offerto un contributo importante alla fotografia e non solo, ma che finiscono per essere dimenticati, alle volte ingiustamente. Nel giorno in cui nasceva Walt Disney (1901) e iniziava la febbre dell’oro negli USA (1848), veniva alla luce Oreste Pasquarelli fotografo, inventore e appassionato musicista. E’ giusto ricordarlo, anche se con poche parole (anche le fonti sono misere).

Oreste Pasquarelli nacque a Giarole il 5 dicembre 1846. La sua famiglia era al servizio dei marchesi Gozzani di Treville, il che gli ha permesso di essere vicino all’arte sin dalla tenera età. Raggiunti i vent’anni, s’iscrisse alla facoltà d’ingegneria a Torino, anche se non portò a termine gli studi. Incontrò invece il musicista Pedrotti, che gli permise di perfezionare il proprio talento musicale, fino a ricoprire il ruolo di Direttore del coro presso il Teatro Regio di Torino. Nel 1885 sposò a Casale Monferrato Augusta Massazza. Dalla coppia, nel 1886, nacque Maria.

La passione che nutriva per la musica e per l’arte lo introdusse negli ambienti alto borghesi, dove strinse una solida amicizia con lo scultore Leonardo Bistolfi, già compagno di scuola della moglie Augusta.
Anche altri artisti piemontesi frequentavano casa Pasquarelli: lo scultore Lorenzo Vergnano, il pittore Luigi Onetti e Francesco Negri il celebre fotografo col quale scattò la fotografia di Piazza Castello di Casale Monferrato utilizzando una macchina da lui progettata, il “Fotoperigrafo”.

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