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INDOVINA CHI VIENE A CENA

12 dicembre 1967. Debutta sul grande schermo "Indovina chi viene a Cena?" (tiolo originale Guess Who's Coming to Dinner), il film interpretato da Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Houghto, con la regia di Stanley Kramer. Per la sua interpretazione, nel 1968 Katharine Hepburn vincerà l’Oscar come migliore attrice protagonista. Il film uscirà nelle sale italiane il 3 aprile 1968.

La pellicola è datata, ma affronta un tema molto attuale. Joey è una ragazza bianca, figlia di una famiglia borghese. Un giorno, conosce John Prentice, dottore di origini afroamericane. I due s’innamorano e intendono sposarsi. Joey è convinta che i suoi accettino il futuro genero. In realtà, nonostante la madre appoggi la decisione della coppia, il padre teme che i pregiudizi razziali diffusi nella società americana possano influire negativamente sulla vita dei due innamorati. Lo stesso padre di John si oppone al matrimonio. L'amore alla fine vincerà, contro tutto e tutti.
Indovina chi viene a cena metteva in mostra come i pregiudizi e la violenza morale, propri del razzismo, possono influenzare anche quanti razzisti non sono. E’ lì che il film conserva tutta la sua attualità: pure coloro che sono consapevoli dell’esistenza di una sola razza, quella umana, rischiano di subire un ricatto perché circondati da concittadini pieni di odio razziale. Si tratta di un condizionamento forte, che riduce la libertà di scegliere perfino a chi volere bene.

Nel film, durante il suo svolgimento, la Hepburn dice a Tracy: «Lei ha imparato quelle cose che le abbiamo insegnato, e cioè che era ingiusto ritenere che i bianchi fossero, non si sa per quale ragione, superiori alle persone di colore. E che quelli che la pensano così sono in errore, alcuni per malvagità, altri per stupidità, ma sempre in errore. Questo le abbiamo detto, ma non abbiamo aggiunto: “Però non t’innamorare di un uomo di colore!”».

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da leggere”. L’aver messo un po’ d’ordine nella biblioteca ci ha permesso di ritrovare un volume dimenticato nelle seconde file: “Storia della Fotografia”, di Helmut e Alison Gernsheim, Edizioni Frassinelli.

Avevamo già incontrato i due autori, peraltro marito e moglie. Nel 1952, Helmut fece una delle scoperte più significative mai fatte nella storia della fotografia. Attraverso approfondite ricerche, e con l'aiuto di sua moglie Alison, scoprì come la prima fotografia al mondo sia stata creata da Joseph Nicephore Niepce, e non da Louis Daguerre come si credeva in precedenza. Quando Niepce non ebbe alcun successo nel convincere la Royal Society del suo processo "fotografico", lo chiamò "Eliografia"; e poi diede la sua fotografia a Sir Francis Bauer.
Quest’ultimo era un amico e collega e sul retro dell'immagine incorniciata scrisse: "Il primo esperimento riuscito di Monsieur Niepce di fissare definitivamente l'immagine della natura”. Gernsheim fece risalire la provenienza a Sir Bauer durante una mostra pubblica del 1898 e scoprì la famiglia che poteva possederla. Così acquisì la prima fotografia, che divenne parte della sua collezione. Si trattava della famosa “Vista dalla finestra a Le Gras”, 1826.

Il libro è bello da sfogliare, consultare e rileggere. Al di là della storia, il volume è arricchito da numerose illustrazioni. Particolarmente interessanti sono gli ultimi due capitoli: “I risultati artistici della fotografia” e “Fotografie e fotografi, il periodo moderno”; in entrambi l’abbondanza di fotografie agevola la lettura, esaltandola.

Tentando di riassumere le vita di Helmut Gernsheim, possiamo solo scrivere cosa è stato detto di lui. Una rivista scrisse che, come collezionista e studioso, non solo aveva interpretato la storia della fotografia, ma era riuscito anche a farne parte.

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GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI UMANI

Il 10 dicembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea delle Nazioni Unite della Dichiarazione dei diritti umani il 10 dicembre del 1948.

Sentiamo la necessità di scrivere circa questa giornata, anche se ci sentiamo impotenti, con la sola arma della fotografia a nostra disposizione. La nostra scelta delle immagini, per celebrare questo 10 dicembre è istintiva, dettata dal gusto e dalla preferenza. Forse ci sarebbe stato dell’altro e di meglio. Chiediamo scusa.

Ecco allora la prima immagine. Lo scatto è di Jeff Widener dal titolo “Tank Man”. Siamo in Piazza Tienanmen, a Pechino, nel 1989.
Un uomo in mezzo alla strada, da solo, blocca l'avanzata dei carri armati cinesi mandati dal governo a reprimere la rivolta che stava nascendo in Cina nel 1989. L'immagine entra nella storia per la sproporzione che esprime, una sorta di "Davide contro Golia". La borsa della spesa in mano al manifestante conferma il fatto come lui sia una persona normale e non un eroe; anche se è proprio persone normali che possiamo aspettarci il coraggio. L'uomo nella foto non è mai stato identificato.

La seconda immagine scelta porta la firma di Elliott Erwitt. Siamo negli USA, in North Carolina. E’ il 1956. Il grande fotografo dell'Agenzia Magnum, recentemente scomparso, racconta in nel suo scatto la segregazione razziale nel sud degli Sati Uniti. Le parole non servono.

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TANTO AUGURI FRANCO

Ogni anno, a dicembre, quasi aspettiamo il giorno nove: l’opportunità di parlare col maestro Fontana, per gli auguri di rito, è troppo ghiotta. Tutte le volte che scambiamo due parole con lui finiamo per arricchirci, perché è la sua saggezza a contagiarci, la visione chiara che dedica alla vita e agli accadimenti in genere. Certo, Franco è simpatico, coinvolgente, lambrusco-positivo (come ama definirsi); ma in lui c’è dell’altro, che probabilmente arriva direttamente alla fotografia che vede e scatta. Parla spesso di “rendere visibile l’invisibile”, ma anche qui rimaniamo perplessi, perché non è facile seguire il suo suggerimento. Forse è meglio essere se stessi (altro consiglio ricevuto) e lì Franco ha sempre mostrato sincerità e generosità. Già, il maestro modenese ama donare, dedicandosi agli altri. Anche i workshop che dirige rappresentano un modo per interagire col prossimo, comprendendolo, occupandosi anche dei lati più intimi che manifesta.
Quest’anno per Franco Fontana sono 90: un traguardo raggiunto; siamo felici anche per questo. Le sue immagini hanno accompagnato le nostre vite e desideriamo lo facciano ancora, per tanto tempo.

Per chi scrive, Franco Fontana ha un significato particolare, perché è stato il primo fotografo ad aprirgli lo sguardo sul mondo autoriale.
Era il 1973 e l’autore di queste righe affrontò un viaggio faticoso insieme al padre. Di ritorno a casa, fu colto da un forte attacco febbrile. Ovviamente, il giorno dopo non andò a scuola. Il padre, apprezzata la sua passione per la fotografia (gli aveva appena regalato una fotocamera), comprò per lui una rivista, che all’interno mostrava la famosa auto di Praga del 1967. Quell’adolescente rimase abbagliato dal formalismo dell’immagine, dal contesto e soprattutto dal colore rosso della macchina. Avrebbe continuato a seguire Fontana fino ad oggi, arrivando anche a conoscerlo. Una bella soddisfazione.

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