Skip to main content

IN 80 GIORNI SI PUÒ

25 gennaio 1890. Dopo 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi la giornalista investigativa del New York World Nellie Bly, al secolo Elizabeth Jane Cochran, torna a New York compiendo quanto descritto da Jules Verne nel "Il giro del mondo in 80 giorni".

E’ un articolo un po’ lungo, quello di oggi. Incontreremo la fotografia con un autore famoso e già letto, ma anche delle storie: quella di uno scrittore viaggiatore (Jules Verne) e un’altra, relativa a Nellie Bly, madre del giornalismo investigativo. La sua esistenza è trascorsa alla continua ricerca dell’emancipazione in un mondo di uomini. A lei riconosciamo coraggio, ostinazione, capacità. C’è chi la definì come "il miglior giornalista in America".

Nellie Bly è la prima giornalista investigativa al mondo, la donna che ha contribuito a rivoluzionare la condizione sociale femminile.
La storia inizia nel 1885, quando Elisabeth Cochrane (questo è il suo nome), una mattina, leggendo il Dispatch, rimane colpita da un articolo che tratta del ruolo delle donne, viste esclusivamente come perfette padrone di casa e madri di famiglia. Elizabeth s’infuria e decide di scrivere a sua volta al giornale. La sua voce è forte, totalmente nuova, polemica: e questo non può che piacere al direttore del giornale che, in maniera del tutto inaspettata, le propone un lavoro come giornalista. Nellie Bly sarà il nome con cui inizierà a firmare i suoi articoli diventando una vera icona del femminismo, che si batte contro l’industria dominata dagli uomini, riportando storie che nessun altro vuole raccontare.
Non si accontenta di scrivere, ma con una passione e determinazione dirompenti, si cala nei ruoli più diversi per vivere sulla propria pelle e documentare le situazioni e le condizioni delle donne lavoratrici del suo tempo. Fingendosi pazza, arriverà addirittura a entrare nel manicomio di Blackwell’s Island, rimanendoci per dieci lunghi giorni. Spogliata, drogata, picchiata, dovrà sopportare dieci notti di terrore e rivivere i giorni più bui della sua infanzia, per riuscire poi a fuggire e raccontare al mondo la sua storia.
(Fonte: sinossi del libro “A cosa servono le ragazze” – L’incredibile storia vera di Nellie Bly, di David Blixt; La Corte Editore).

Continua a leggere

SALUTIAMO GIGI RIVA

Oggi non ci saranno fotografie d’autore, solo il ricordo sentito di un interprete del calcio: Gigi Riva. Ci ha lasciato improvvisamente, perché il cuore gli ha ceduto: quello che per anni aveva messo in campo con generosità. Calciatore d’altri tempi, coriaceo, muscolare, lo chiamavano “Rombo di tuono” per via della potenza del suo tiro di sinistro. Il soprannome era stato coniato da Gianni Brera, uno che di calcio se ne intendeva. I più anziani ricorderanno Italia Germania, quella del ’70 in Messico. Durante il primo tempo, un diagonale dell’attaccante colpì una cancellata e si sgonfiò.

Gigi Riva era lombardo, essendo nato a Leggiuno, in provincia di Varese, il 7 novembre’44. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili locali, si era poi trasferito a Cagliari, trovando lì la sua dimora per sempre. Il suo contributo alla squadra della città risultò sostanziale, con la promozione in serie A nel 1965. Nel ’70 arrivò anche lo scudetto, l’unico conseguito dalla compagine sarda. Con il Cagliari, vinse anche la Coppa Italia nel 1970 e la Coppa delle Coppe nel 1979, diventando il primo calciatore italiano a vincere un trofeo continentale con una squadra di provincia.

In Nazionale, pur essendo condizionato dagli infortuni, Riva ha segnato 35 gol, risultando il miglior marcatore di sempre della squadra azzurra, con la quale vinse l'Europeo nel 1968, segnando una doppietta nell’ultima partita contro la Jugoslavia. Nel 1970, invece, arrivò in finale ai Mondiali in Messico, dove l'Italia fu sconfitta dal Brasile per 4-1.

Gigi viene ricordato come un personaggio riservato e schivo. Piaceva alle donne, molto; perché aveva la fisicità e i lineamenti dell’eroe. Del resto, tale era in campo: molto forte fisicamente, riusciva a resistere agli scontri con i difensori avversari. Aveva dalla sua anche una grande tecnica e un ottimo senso del gol.
Oggi rimane il suo ricordo, quello che lo renderà simbolo di Cagliari, della Sardegna, ma anche di tutto il mondo del calcio: quello vero.

Continua a leggere

NASCE ÉDOUARD MANET

Il 23 gennaio 1832 nasce Édouard Manet. Abbiamo già incontrato il pittore francese il 2 maggio 2022, quando ricordavamo l’inaugurazione de “Le Folies Bergère”, il music hall in rue Richer 32, simbolo della Belle Époque. Édouard Manet scelse questo locale per dipingere tra il 1881 e il 1882 “Il bar delle Folies Bergère”.

La Belle Époque fu un periodo di grande creatività e quella Parigi venne riconosciuta come il “luogo dove tutto era possibile”, dove si aveva la possibilità di esprimersi con forme e linguaggi innovativi. L’epoca bella per eccellenza continua a vivere nella metropoli francese: basta saperla cogliere, come ha fatto il protagonista del film di Woody Allen Midnight in Paris, che si trovava sospeso tra presente e passato, tra sogno e realtà alla ricerca della propria Bèlle Epoque.

“Il bar delle Folies-Bergère” è considerato l'ultimo grande dipinto di Édouard Manet: presentato al Salon del 1882, appena un anno prima della morte dell'artista.
Il rapporto di Manet con il Salon (la mostra d'arte ufficiale dell'Accademia di Francia) era stato turbolento fin dall'inizio. Nel 1863 la giuria ne respinse due terzi delle opere presentate, tra cui “Il pranzo sull'erba”. Questa decisione ha generato il Salon des Refusés, ovvero la "mostra degli scarti", dove l'accostamento di donne nude e uomini completamente vestiti sul dipinto ha suscitato polemiche. Manet continuò a presentare lì i suoi dipinti, desiderando essere acclamato come pittore in modo tradizionale, contrariamente agli impressionisti che rinunciarono del tutto a quell’ambiente. Due anni dopo espose Olympia, un dipinto che suscitò tanto clamore che dovette essere appeso a una grande altezza per evitare atti vandalici. Così, arriviamo ora al 1882, al Bar delle Folies-Bergère e al suo soggetto provocatorio.

Il dipinto mostra uno dei bar e la sua barista. La modella è Suzon, una delle ragazze che lavoravano nel club. Manet introduce un soggetto della vita quotidiana, al limite del decoro, nel Salon, collocando la barista comune tra le Veneri e altre figure mitologiche. Forse l'elemento più sconcertante sulla tela è l'espressione illeggibile sul viso della ragazza. Alcuni pensavano sembrasse annoiata, altri solo stanca per il lungo turno al bar, mentre altri ancora credevano che non mostrasse alcuna emozione. Può essere tutto vero o niente affatto, ma lei sembra certamente distante e distaccata.

Continua a leggere

FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “Fotografia da leggere”, anche se oggi sarebbe meglio parlare di “Fotografo da leggere”. Già, perché il volume del quale abbiamo voltato l’ultima pagina porta la firma di Gianni Pezzani: per noi fotografo, anche se poi è stato molto di più. Si tratta di “Inclassificabile”, Nuova Editrice Berti (2023), scoperto durante un girovagare presso la libreria Hoepli, nella sezione dedicata alla fotografia. Non potevamo esimerci dall’acquisto, reso urgente dalla curiosità e dal fatto che avevamo conosciuto Gianni Pezzani nel 2016, per l’intervista su Image Mag.

Iniziamo da una citazione dell’autore, della quale non specifica la fonte (pagina 85): «Il critico di mestiere vuole sempre apparire intelligente. Cerca concetti raffinati che volutamente combacino all’immagine dell’opera d’arte, sviluppa frasi composte ricucite con la grande presunzione di aver compreso e di far comprendere». Non vogliamo cadere nell’errore paventato dalle righe precedenti, così evitiamo il vespaio del fotografo scrittore. Piuttosto ci piace esprimere i rimpianti nati dalla lettura del libro. Gianni Pezzani ha condotto un’esistenza straordinaria, frutto della sua cultura e anche della capacità di guardare oltre, al di là dei confini confortevoli. Sarebbe stato bello conoscerlo a fondo, indagando sui suoi soggiorni in Giappone e anche altrove. Ovunque ha riscosso successi, anche come creatore di moda (non interpretandola solamente, quindi).

Il libro, autobiografico, ha un respiro narrativo forte; come ci piace dire: galleggia. Anche i personaggi (tanti) sono tratteggiati con cura, ambientati a dovere. Sono poi straordinari i riferimenti linguistici. Il rimpianto però diventa anche personale: una vita può essere salvata anche con le parole scritte, in un quadro che diventa un’immensa fotografia. S’incontrano tante storie, che meritano un tratteggio per renderle più fruibili dalla memoria. Gianni Pezzani l’ha fatto.

Circa le fotografie, oltre alla copertina del libro abbiamo inserito un’immagine che il fotografo ci aveva concesso per l’intervista nel 2016, facente parte della serie “Milano notte”.

Continua a leggere