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26 AGOSTO 1959, NASCE LA MINI

Ci sono alcune automobili diventate famose, e iconiche, per la loro storia oltre al fatto di aver preso parte ad alcuni film di successo. E’ il caso, ad esempio, della Aston-Martin DB5, comparsa più volte nei movie con James Bond: nel 1964, 1965 e poi dal 1995 fino ai giorni nostri. L’hanno guidata attori famosi: Sean Connery e Pierce Brosnan, tanto per citare dei nomi. Anche il cinema italiano è stato in grado di portare un’automobile alla celebrità. E’ il caso del film “Il sorpasso” di Dino Risi, nel quale un grande Vittorio Gassman guidava una Lancia Aurelia B24, aggressiva e bellissima ancora oggi.
Non si può dimenticare l’Alfa Romeo Duetto rossa di Dustin Hoffman ne “Il laureato”, diretto da Mike Nichols; un’auto prodotta dalla casa milanese tra il 1966 e il 1994. La sua grande popolarità si deve proprio al celebre film del 1967.
C’è poi il Maggiolino della Volkswagen, comparsa in ben sei pellicole con il nome di Herby. Ancora oggi quell’auto deve essere considerata un’icona della casa tedesca, che l’ha prodotta dal 1938 al 2003, per 65 anni. Si tratta di uno dei modelli più conosciuti al mondo.

Arriviamo alla Mini. Tre modelli Cooper sono state le vetture protagoniste del film “The Italian Job”, diventato famoso per gli inseguimenti che vedevano coinvolte proprio le tre auto inglesi. La Mini, lanciata come dicevamo il 26 agosto 1959 (dalla British Motor Corporation) dato il suo enorme successo, resta la macchina inglese più venduta nella storia.
L’auto, ai tempi, era venduta con due marchi, Austin e Morris, quindi con altrettante denominazioni: Austin Seven e Morris Mini-Minor. Nel 1961 nacque la variante Cooper 1000, da 55 cavalli; nel 1964 la Morris Cooper S da 70 cavalli.
Per aumentare la riconoscibilità della Mini fu deciso di farla entrare nel mondo delle corse, dove ottenne storiche vittorie: al Rally di Montecarlo e a quello dell’Acropoli.

Chi scrive ha sempre desiderato una Mini Cooper, particolarmente quella celeste con tetto bianco, ancor prima di avere la patente. Non l’ha mai posseduta. Qualche volta se ne è seduto alla guida, grazie a un amico compiacente. Ricorda il volante quasi orizzontale, come quello del camion. Che bella auto.

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LA LIBERAZIONE DI PARIGI

La liberazione di Parigi avvenne il 25 agosto 1944. Stiamo parlando della seconda guerra mondiale. Tutto era iniziato il 19 agosto, quando i francesi insorti arrivarono in città assieme alle truppe alleate. Robert Capa, il fotografo che incontreremo, era presente e raccontò l’evento alla stregua di un crescendo di felicità: «La strada per Parigi era aperta e tutti i parigini erano fuori per le strade, a toccare il primo carro armato, a baciare il primo soldato, a cantare e piangere». Robert Capa aveva già documentato gran parte del conflitto: dallo sbarco in Sicilia a quello di Anzio. Era stato anche l’autore delle undici fotografie relative al D-Day, il 6 giugno del 1944, su una spiaggia della Normandia. Il 25 agosto 1944, all’alba, si trovava assieme ai francesi sulla strada per Parigi. Già nei sobborghi della città l’entusiasmo era delirante: un benvenuto indimenticabile.

Un altro fotografo che incontreremo è Henri Cartier Bresson. Il suo arrivo a Parigi era stato travagliato. Caporale dell’esercito francese dal 1939, venne catturato dai tedeschi. Trascorse quasi tre anni in un campo di prigionia, ma riuscì a fuggire, dopo due tentativi fallimentari. Nel 1943 era già in Francia, dove documento l’occupazione nazista e la liberazione di Parigi.

Il coro della liberazione arrivava anche via radio. La BBC trasmetteva su tutta la Francia che Parigi stava per essere liberata. De Gaulle, il 25 agosto, ringraziò la capitale francese, rendendogli omaggio. Dall’Hotel de Ville (quello del bacio di Doisneau) pronunciò il famoso discorso, reperibile su varie fonti, diventato iconico: «Parigi! Parigi oltraggiata! Parigi spezzata, Paris martirizzata, ma Parigi libera! Libera da sola, liberata dal suo popolo con la collaborazione degli eserciti di Francia e il supporto e la cooperazione dell'intera Nazione - di una Francia che combatte, dell'unica Francia, della vera Francia, dalla Francia eterna».

La liberazione di Parigi, al di là dell’importanza strategica e militare, oltre che politica, divenne il simbolo della disfatta tedesca che sarebbe sopraggiunta mesi dopo.

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IL PRIMO FOTOGRAFO DELLE OLIMPIADI

La fotografia, nella sua storia, ci ha offerto tante prime volte. Ricordiamo, ad esempio, Hippolyte Bayard, autore del primo selfie e della prima fotografia di protesta. Tra i debutti, è anche giusto menzionare Roger Fenton, primo reporter di guerra, ai tempi del collodio umido (Conflitto di Crimea). Del resto la fotografia, che agli esordi si era impadronita del ritratto, con l’evolversi dello strumento, e delle idee, ha iniziato a documentare altri ambiti: gli eventi bellici, poi anche lo sport. Non a caso, oggi incontriamo un avo di Giancarlo Colombo, un fotografo cioè che si è distinto come il primo fotografo a raccontare per immagini i Giochi Olimpici Moderni. Stiamo parlando di Albert Meyer, autore tedesco. Lo ricordiamo nel giorno della sua dipartita, il 24 agosto 1924.

Le fotografie che ha lasciato rivelano l’artista che era. Siamo agli inizi del reportage sportivo, e questo si vede; ma sorprende il suo formalismo compositivo e lo spirito col quale ha percepito e catturato i Giochi. Non si è limitato all’azione agonistica, catturando viceversa ogni aspetto dell’evento sportivo: dall'ingresso delle fanfare, ai corridori sulla linea di partenza, alla cerimonia di premiazione, alle strette di mano tra gli atleti prima dell'inizio della gara. Non mancano le pose commemorative dei membri del Comitato Organizzatore, le signore che entrano nello stadio e gli ospiti ufficiali in piedi con i loro cappelli a cilindro che guardano con ansia gli eventi. Ne scaturisce il clima di un'intera epoca e l'atmosfera che circonda la rinascita di una grande idea. Rendiamoci conto che con le attrezzature di quel tempo era praticamente impossibile documentare il dinamismo del movimento durante le gare.

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IL FOTOGRAFO DEL FÜHRER

Facciamo un piccolo passo indietro, a lunedì: giorno della “Fotografia da Leggere”. Il 21 agosto 1907 nasceva a Heibronn, vicino Stoccarda, Walter Frentz, fotografo. Lui ha documentato la dittatura di Adolf Hitler: dal raduno del partito nazista a Norimberga nel 1933, fino al crollo del suo potere nel 1945. Fu tra gli ultimi ad abbandonare il Führerbunker poco prima che l'Armata Rossa conquistasse Berlino. Era un pioniere delle tecniche cinematografiche.

Frentz studiò ingegneria a Monaco e Berlino, ma mostrò presto un interesse per il cinema, iniziando a filmare da dilettante. A Berlino, nel 1929, incontrò Albert Speer, un compagno di studi. I due condividevano l'interesse per lo sport, in particolare per il kayak, al quale Frentz dedicò il primo film. Nel 1933 realizzò un lungometraggio sul viaggio di un transatlantico da Amburgo a New York.
Tramite Speer, conobbe Leni Riefenstahl, che stava cercando assistenti adeguati per i documentari che gli erano stati commissionati. Frentz collaborò con lei in tutti i lavori, fino ai due film sulle Olimpiadi di Berlino (Olympia) nel 1936, anche se non venne accreditato.

In seguito, non riuscendo a trovare lavoro, decise di arruolarsi nella Luftwaffe. Nel 1938 fu inviato a Vienna per documentare il ritorno di Hitler dopo l'occupazione dell'Austria. Come graduato dell’aviazione, filmò sui bombardieri gli attacchi in Polonia e sull’Olanda, ma anche altrove. Quando la Francia cadde, fu chiamato a filmare la firma dell'armistizio nella foresta di Compiègne. Il 28 giugno 1940 Frentz era a Parigi per filmare il giro della città di Hitler.
Dopo l'attacco all'Unione Sovietica nel giugno 1941, gli fu assegnato il centro di comando di Hitler, Wolfschanze ("Tana del lupo"), nella Prussia orientale. Negli anni successivi trascorse gran parte del suo tempo nella cerchia vicina al leader nazista.
Fu anche inviato a filmare i lanci dei razzi V1 e V2 e fotografare la loro costruzione, nella fabbrica di Dora-Mittelbau, (1944). Gli scatti vennero scoperti molti anni dopo dal figlio di Frentz. Quando Hitler si ritirò nel quartier generale della metropolitana di Berlino, Frentz era lì.

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