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IL COLORE DI MARY OLIVE EDIS

Oggi incontriamo una fotografa talentuosa, arguta, innovativa: Mary Olive Edis, nata il 3 settembre 1876. Si avvicinò all’arte dello scatto per via di un regalo ricevuto da una cugina ed ebbe il coraggio di aprire uno studio con la sorella minore Katherine, a Sheringham. La zona era raggiunta dalla ferrovia, diventando quindi una meta turistica. Siamo nella costa settentrionale del Norfolk e lì Edis aveva dei contatti importanti. Lei preferiva lavorare con la luce naturale e suo zio (Robert Edis, architetto) le aveva progettato uno spazio di lavoro con un tetto in vetro. I primi lavori di Olive erano dedicati alla comunità locale, con scatti di paesaggi e pescatori, matrimoni e bambini. Tuttavia, ciò che la spinse davvero in avanti fu la sua coraggiosa decisione di iniziare a realizzare ritratti a colori, con il processo commercializzato dai Fratelli Lumiere nel 1907: l'Autochrome. Olive inventò anche un suo diascopio, per meglio vedere le immagini a colori, marchiato con il suo nome e logo.
Nel giugno 1913, Olive venne convocata a Buckingham Palace per fotografare Sua Altezza Reale la Principessa Mary. Il fatto che la figlia del re fosse fotografata a colori indicava un cambiamento di moda nella ritrattistica fotografica, e Mary Olive Edis ne era la fautrice.

La fotografia a colori

I Fratelli Lumiere proposero la prima tecnica industrializzata di fotografia a colori, abbastanza facile e attraente per un normale fotografo. La produzione commerciale iniziò nel 1907. Il prodotto suscitò entusiasmo e presto si diffuse in tutto il mondo. L'uso pratico di Autochrome era reso difficile dal prezzo elevato e dalla bassa sensibilità alla luce; tuttavia, dominò il mercato fino alla metà degli anni '30, quando Autochrome iniziò anche a essere venduto non più su lastra, ma su pellicola, il cosiddetto Filmcolor, cui ne seguì una versione migliorata, il Lumicolor. Il successo di Filmcolor e Lumicolor fu breve, perché nel 1935 venne introdotto Kodachrome, il primo materiale “colorato” moderno.

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UN FOTOGRAFO TEDESCO IN ITALIA

Oggi incontreremo un fotografo tedesco venuto in Italia per professione, e non solo (crediamo). Si tratta di Giorgio Sommer, nato il 2 settembre 1834. Non è l’unico. Già raccontando di lui avremo modo di menzionare altri autori dello scatto: Alfredo Noack, Michael Mang, Gustav Reiger, Wilhelm Osvald Ufer, con anche quell’Edmondo Behles suo socio in affari. Che dire? E’ l’Italia a essere stata attrattiva: il nostro paese.

Come scrivevamo a Luglio, nel diciottesimo secolo nacque il Grand Tour, un viaggio in Europa intrapreso dai ricchi dell'aristocrazia per perfezionare la propria conoscenza. Di solito aveva come destinazione principale l'Italia. Il nostro paese ha avuto viaggiatori illustri, tra questi Stendhal, al quale si deve il nome della famosa Sindrome, da lui descritta nel 1817: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce (a Firenze), ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere». Anche Goethe venne in Italia, fuggendo da Weimar. Il viaggio sarebbe dovuto durare alcuni mesi, ma alla fine trascorsero quasi due anni. Più che un viaggio in Italia fu una vita in Italia. Ne nacque un diario, pubblicato nel 1829, un libro insolito: una descrizione delle impressioni ricevute dal paese e dalla gente, sommata a riflessioni su arte, cultura e letteratura.

E’ bello osservare le fotografie degli interpreti che abbiamo citato, ma Giorgio Sommer si distingue con un’originalità personale, perché a un certo punto della sua carriera sposta la propria attenzione sulla vita di strada napoletana. Possiamo definirlo uno “Street Photographer” dell’800: non intrusivo, ma efficace. Interessante.

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UN FOTOGRAFO NELLA PARMA DEL PRIMO ‘900

Oggi incontreremo Luigi Vaghi, fotografo parmense, nato il 1° settembre 1882. E’ in buona compagnia, perché in Italia di fotografi così ce ne sono stati tanti, tutti dediti a prendersi cura della memoria con umiltà. Erano anni nei quali il negozio di fotografia iniziava a “fare paese”, assieme alla farmacia e al panettiere.

Abbiamo già incontrato Corrado Banchi, nato a Firenze il 6 Novembre del 1912, uno di quegli autori capaci di raccontare il ‘900 senza ottenerne la fama dovuta. “Il Banchi” si sposerà con una ragazza di Follonica, trasferendosi poi a Massa Marittima. Lì aprirà il suo studio. Lui fotografò una giovanissima Sofia Loren a Salsomaggiore per il concorso di Miss Italia e, negli anni ’60, il bel mondo di Punta Ala durante le vacanze estive, immortalando anche i concerti di Gaber, Mina, Battisti e molti altri.
Corrado Banchi diventerà famoso per aver scattato la rovesciata di Parola in Fiorentina – Juventus, allo stadio di Firenze, il 15 gennaio 1950. Quell’immagine sarebbe stata utilizzata quale logo delle Figurine Panini. Lo è ancora oggi.

Chi scrive ha vissuto a lungo in provincia, in due differenti località. In entrambe frequentava, sin da bambino, i negozi di fotografia. Di certo era guidato dalla passione appena nata, ma si accorse come quei due esercizi esercitassero un’attrattiva su tante persone, che lì trovavano un riferimento anche al di là della fotografia.

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UFFICIALE E GENTILUOMO

Bello da fare invidia: questo è Richard Gere, che compie gli anni il 31 agosto. Lui è dotato di una sensualità innata, prova ne sia che nel 1999, all'alba dei cinquant'anni, la rivista "People" l’ha insignito del titolo di "uomo più sexy del pianeta".
Lo ricordiamo in “Ufficiale e Gentiluomo”, non un capolavoro come film, dove però il nostro mette in mostra tutto stesso: i muscoli, la fisicità, l’ardore, l’eleganza nella camminata (e con la divisa), l’atletismo. Il combattimento con il sergente Emil Foley rimane al centro della trama, anche se tutto si dilegua nella retorica sdolcinata di un finale troppo a lieto fine e, in un certo senso, quasi incoerente, vista la morte dell’amico. Divaghiamo un poco ricordando la colonna sonora della pellicola, nella quale primeggia la canzone Up Where We Belong, interpretata da Joe Cocker e Jennifer Warnes. Vincerà l'Oscar come miglior canzone. Continuiamo con il fuori tema riferendoci a un’altra bellezza del film: la motocicletta del protagonista, una Triumph Bonneville bicilindrica, con un manubrio alto, un po’ troppo americaneggiate. Bella lo stesso.

Un altro film leggendario di Richard Gere è stato “Pretty Woman”. Lì non solo le giovani erano ammaliate dal fascino dell’attore americano, ma anche le madri, per via forse dei ripetuti passaggi televisivi. La trama è quasi ovvia, troppo: una Cenerentola che viene dai bassifondi conquista un ricco uomo d’affari, bello oltretutto. Entrambi cambieranno in qualcosa, ma il finale finisce per esagerare le premesse. Richard Gere, comunque non smentisce le sue doti: bello più che mai, sensuale, deciso come un uomo forte deve essere.

Di Richard Gere segnaliamo un ultimo film “Shall We Dance?” (2004). Nella trama, l’attore americano si appassiona al ballo, fuggendo un po’ dalla sua vita. Il personaggio è originale, privato dei valori romantici e scontati delle pellicole citate prima. Gere è sempre bello, ma più umano.

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