VENGO ANCH’IO? NO TU NO
«Vengo anch’io? No, tu no». Già, Enzo Jannacci ci ha lasciati soli, privandoci delle sue visioni sul mondo, del suo stare con i deboli. Sono passati dieci anni dalla sua dipartita e le frasi musicali (e teatrali) che ha cantato ancora ci vagano in testa. «Quelli che fanno l'amore in piedi convinti di essere in un pied-à-terre, oh yeh», cantava Jannacci nel 1975; e noi ridevamo, inconsapevoli del fatto che quel brano era solo una pennellata di un affresco musicale più ampio. Sì perché lui ha spesso mescolato generi e stili, sempre raccontando storie, tra l’ironia e, a volte, la malinconia dei melodrammi di quel tempo: «Vincenzina vuol bene alla fabbrica, ma non sa che la vita giù in fabbrica non c'è, se c'è, com'è?». Ecco che quella donna porta la voce di altre come lei, perse nel grigiore della nebbia di una grande città industriale, costrette ad affrontare le amarezze di una realtà metropolitana.
Oggi però abbiamo tempo, almeno per capire. Il suggerimento ci è arrivato forte e chiaro: «Perché ci vuole orecchio, bisogna avere il pacco, immerso dentro al secchio. Bisogna averlo tutto, anzi parecchio. Per fare certe cose, ci vuole orecchio».