RICORDANDO MARIO DONDERO
Il 6 maggio è nato Mario Dondero. Ricordarlo è un dovere, oltre a rappresentare un piacere. Lui era un esempio di come un fotografo debba relazionarsi col mondo e con quanto vuole raccontare. Chi ne conserva memoria (e sono tanti) lo dipinge come una leggenda, con molti aneddoti a suffragio; ma noi vorremmo andare oltre, trattenendolo tra noi, come se fosse partito per un viaggio. Iniziamo quindi da un addio, di quelli che si esclamano di fronte a un treno che parte.
Dicembre 2015
Lo sapevamo che sarebbe mancato a breve e già ne sentivamo la mancanza. Il fotografo è scomparso domenica vicino Fermo, nelle Marche, dove viveva. Aveva 87 anni.
Nato a Milano nel 1928 ma di origini genovesi (tifoso del Genoa), entra a 16 anni nelle brigate partigiane della Val D’Ossola, dove gli danno il nome di battaglia «Bocia». A Milano, è protagonista di quella stagione straordinaria del Jamaica, in cui a Brera si viveva la «vita agra», piena di speranze e sogni raccontata da Luciano Bianciardi. E già allora Dondero è un personaggio, amico di tanti: Lucio Fontana, Camilla Cederna, Ugo Mulas, Alfa Castaldi, Gianni Berengo Gardin. Un mito.
Mario Dondero è sempre stato un appassionato di umanità. Amava gli incontri, fossero con scrittori, artisti, poeti, registi, giornalisti. Mario aveva qualcosa di prezioso: entrava in sintonia con ogni essere umano. Era un affabulatore e la sua parola diventava racconto: tra vite incontrate, sogni e delusioni, poesia e fotografie.
Mario ha vissuto una vita in bianco e nero nel nome della libertà, sempre con lo zaino pronto. L’esistenza gli ha offerto un addio indelicato, troppo lungo, anche ingiusto per lui. Di certo sarebbe voluto ripartire. Lo ha fatto domenica 13, per l’ultima volta.