RICORDANDO FRANK HORVAT
Oggi ci sentiamo ridicoli. Abbiamo incontrato Frank Horvat nell’estate 2015, con l’emozione di chi va incontro alla storia della fotografia. Durante il viaggio, con tutta la famiglia, provavamo un orgoglio smodato, inadeguato, derivato da una disponibilità (quella del fotografo) umile e dignitosa. In realtà eravamo poveri, impreparati, con delle domande rese ricche dalle risposte, sempre lucide e attente.
Frank Horvat, nella sua Provenza, ha dimostrato intelligenza e modernità, rifiutando tutte le etichette; rivelandosi così un fotografo a tutto tondo. Ascoltiamo alcune sue parole.
«Cerco di non essere addormentato. Da una decina d’anni fotografo ciò che mi riguarda direttamente, a livello personale. Posso dire che la mia è una fotografia autobiografica».
«Non desidero parlare di me. Voglio solo fotografare soggetti che mi caratterizzino. Quando ero giovane, sognavo il mondo. Guardavo Life, le fotografie di Bresson e Bischof: m’interessava. Oggi abbiamo visto tutto e rimane solo il punto di vista individuale. La cosa che m’interessa, quindi, non è il soggetto in sé, ma il punto di vista su di esso».
«Ho alcune fotografie di Bresson, ma m’interessano molto quelle che solo lui avrebbe potuto scattare. Oggi mi chiedo quali immagini di Frank Horvat possano interessare: di certo non è solo una questione di soggetto».
«Picasso, Goya, Tiziano, durante gli ultimi anni della loro vita forse hanno prodotto il loro lavoro più interessante, soprattutto ai loro occhi. Non avevano più nulla da provare e godevano di una certa libertà. Non creavano per la gloria, tantomeno per il successo; bensì per il solo desiderio di farlo. Nel mio piccolo, vorrei trovarmi in quella posizione».