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VINICIO, GUIDO, UN LIBRO

Parlare di Vinicio Capossela (nato il 14 dicembre) richiama subito il nome di un fotografo, Guido Harari. Qui però non si tratta solo dell’immagine scattata, né delle scelte operate per ottenerla; di mezzo c’è l’amore per quello che si fa, la ricerca del tempo insieme, della storia intima, dell’attimo che si arricchisce. Il libro al quale facciamo riferimento nel titolo è “Vinicio Capossela, le fotografie di Guido Harari” (Editore TEA, 15 novembre 2012). Nella sinossi si legge: «Guido Harari, sì, ho sentito parlare di lui... Al distributore di benzina nella Contrada Chiavicone, arrivò col suo ciuffo di capelli pettinati, e si spettinò subito perché il locale era pieno di grasso. Era ossessionato dal problema della luce, ma io continuai a bere birra. Trovato un rigagnolo nell'Appennino parmense, dopo esserci detestati senza avere uno scatto buono, mi buttai in acqua, ma non mi riuscì di affogare perché l'acqua arrivava solo al ginocchio...» (Vinicio Capossela)
Harari ha costruito con Vinicio un sodalizio che dura da anni. L’ha colto nei momenti più disparati: anche immerso fino alle ginocchia in un torrente di Chiavicone, nell’Appennino emiliano (la fotografia che proponiamo). Il musicista ha detto: «Succedono un sacco di cose surreali ad andare in giro con un fotografo: non sai mai cosa ti aspetta».
Non è un caso, comunque, che Guido Harari sia riuscito a produrre due libri capolavoro con altrettanti musicisti, non avvezzi all’immagine che li riguardi: Vinicio Capossela, appunto; e Tom Waits. Il segreto sta nelle parole del fotografo: «La loro frequentazione è riuscita a regalarmi momenti incredibili, veramente indimenticabili».

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NASCE “THE VOICE” OF “MY WAY”

Parliamo di Frank Sinatra il giorno dopo, visto che ieri la fotografia era “da leggere”. Vogliamo ricordare, anche quest’anno, che il 12 Dicembre 1969, alle 16,37, scoppiava una bomba all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Sarà uno dei centoquaranta attentati perpetrati tra il 1968 e il 1974. Si parlerà di strategia della tensione. Le indagini si svolsero su più fronti e non staremo certo qui a parlarne. Crediamo sia giusto non dimenticare, da fotografi (o appassionati) quali siamo, perché il tempo che è alle spalle va comunque conservato con cura.

Di Frank Sinatra ricordiamo la voce chiara e pulita e anche quell’aria scanzonata che tanto piaceva alle donne. My Way è forse la sua canzone più famosa (cantata dai virtuosi nei Karaoke) e ha una storia strana. Siamo a metà anni ’60, le mode stanno cambiando: Sinatra vuole smettere. Paul Anka, durante le vacanze in Francia, per radio ascolta un brano che là non riesce a raggiungere i successo. Ne compra i diritti, cambiandone il testo, raccontando di un uomo che affronta il sipario della fine, ripercorrendo il bilancio della sua vita. Sempre Paul Anka comprende anche come il brano si adatti a Frank Sinatra, proprio per il modo col quale ha affrontato la vita. Il testo parla chiaro: E ora, la fine è vicina (And now, the end is near) E così affronto il sipario finale (And so I face the final curtain) Amico mio, lo dirò chiaro (My friend, I'll say it clear) Espongo il mio caso, di cui sono certo (I'll state my case, of which I'm certain) Ho vissuto una vita piena (I've lived a life that's full) Ho percorso ogni autostrada (I traveled each and every highway) E altro, molto di più (And more, much more than this) ho fatto a modo mio (I did it my way).

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con “fotografia da leggere”. Questa volta incontriamo un volume verso il quale nutriamo un’invidia positiva, per l’idea messa in atto, tra letteratura e fotografia. Si tratta di “Uno sbiadito ottimismo”, scritto da Roberto Mutti e arricchito dalle immagini da lui scattate appositamente per il volume (Edizioni PhotoSHOWall).
Diciamo subito che “Uno sbiadito ottimismo” è nato durante i mesi di lockdown, nel 2020; e qui la nostra invidia raddoppia, perché in quel periodo sembrava che il mondo si fosse firmato. Sì, è vero: in molti si sono scoperti cuochi, musicisti, cantanti; ma di base emergevano le città vuote, senza nessuno, con i negozi chiusi. Le esortazioni urlavano: «Io resto a casa», e il silenzio quasi si respirava. Roberto Mutti non si ferma, così riesce a trovare la libertà di chi è costretto ai domiciliari, in grado però di guardare oltre il confine della finestra. Già perché proprio lì, nella prossimità assoluta, s’incontrano realtà e storie neanche immaginabili, e anche pensieri che si ripetono, a lungo.
Nell’ottimismo sbiadito di Roberto Mutti s’incontrano tante fotografie, scattate per l’occasione e nate per via della circostanza. Ne parleremo.

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THE WAR OF THE APOCALYPSE

Abbiamo preso spunto da un film (Apocalypse now), perché l’11 dicembre 1961 gli USA intervengono nella guerra del Vietnam, affiancando il regime che governa il Sud del paese. Il conflitto sarà per gli americani quello più lungo mai combattuto. I due blocchi ideologici del mondo di allora aprono un fronte anche in Indocina, dopo quello “freddo” già esistente in Europa.
Sul territorio vietnamita si daranno appuntamento tutti i media del mondo. Televisioni e fotografi produrranno di continuo immagini, poi diventate fonte d’ispirazione per numerosi film; tra questi: Full Metal Jacket, Il Cacciatore, Forrest Gump, Platoon, Rambo, Nato il quattro luglio, Rombo di tuono, Vittime di guerra, Berretti verdi. Molte delle pellicole citate nascondono la retorica della guerra, ma il loro numero (che potrebbe allungarsi) dimostra come il conflitto vietnamita abbia permeato, allora, la cultura del tempo.
Tanti fotografi, diventati famosi, hanno sfidato i pericoli per documentare le vicende del conflitto. Come primo, ricordiamo il nostro Romano Cagnoni, operativo nel Vietnam del Nord, quando gli altri raccontavano quanto accadeva a Saigon e nel territorio del sud.
In questa sede vogliamo menzionare anche Horst Faas, operativo nelle aree del conflitto, ma anche capo dell’ Associated Press nel sud est asiatico. Fu lui a prendere la controversa decisione di diffondere le due foto più famose della guerra in Vietnam: quella che mostra il generale della polizia di Saigon, Nguyen Ngoc Loan, mentre spara alla testa di un prigioniero vietcong (di Eddie Adams, altro fotografo importante), e quella della bambina nuda che scappa dopo un bombardamento col napalm (di Nick Ut). Ne parleremo dopo.
Visto che abbiamo iniziato da Apocalypse now, lì vogliamo terminare. Incontreremo pertanto Tim Page e una sua fotografia, visto che lui ha ispirato il fotoreporter di "Apocalypse Now" interpretato da Dennis Hopper.

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