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DALLA TELEVISIONE AL CINEMA

Non è una fiaba, quella di Lucy Liu, o almeno così sembrerebbe. La bellezza non l’ha di certo aiutata, anche se esteticamente piace. Diciamo che in lei è emersa una caparbietà mai doma e una spinta culturale forte (parla numerose lingue), oltre a una capacità interpretativa personale e intensa. L’avvocato che Lucy incarnava in Ally McBeal, una serie TV, è stato creato appositamente per lei.
C’è dell’altro, però, l’attrice è di origine cinese ed è riconoscibile nell’aspetto, ma non si è appoggiata unicamente su quella caratteristica, creando un personaggio nuovo, occidentale quasi, certo non omologato. Anche questo è un merito.

Per parlare di Lucy Liu, incontriamo volentieri David Bailey, un fotografo che ha interpretato a fondo la rivoluzione culturale che divenne nota come The Swinging Sixties. Lui immortalò il nuovo, in un periodo nel quale cresceva l’interesse della gente per la moda e le celebrità. Il mondo della musica pop stava attraversando un profondo cambiamento, il cui eco, per forza e intensità, arriva ancora oggi. Ritrovare l’autore inglese ci fa piacere, anche perché c’è coerenza con il suo soggetto: nuovo a suo modo, distante dai modelli omologati, e vero nella sua originalità.

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BELLA E IMPOSSIBILE

Anni ’80, Milano era da bere. La moda pretendeva bellezze alla Carol Alt: inaccessibili, ma fino a un certo punto; diciamo più visibili. Le “top” erano un po’ questo: abitavano lassù, però risultavano anche molto popolari, diffuse nell’immaginario collettivo. Oltretutto, nutrivano il Gossip alacremente. Carol era un po’ questo: di ghiaccio, ma non del tutto; con quanto serviva per sorridere alla gente, anche se dall’alto.
La moda iniziava a essere un’istallazione individuale, un voler essere e non una forma di comportamento. Bene così, comunque: i tempi cambiano.
Per il resto, c’è poco da dire; quella di Carol è una fiaba a lieto fine, con la predestinata che inciampa in uno scopritore, il quale le spalancherà le porte delle passarelle e del cinema. Beata lei.

Circa le fotografie, e gli autori, abbiamo qualche rimpianto. Dall’altra parte dell’obiettivo non c’era Marilyn Monroe e nemmeno Coco Chanel (loro veramente impossibili), per cui Bert Stern e Horst P. Horst non hanno potuto esprimersi al meglio: manca il personaggio, per il primo; e il lirismo, nel caso del secondo. L’incontro con la modella si è fermato a metà strada, in un’area d’incompiutezza, che peraltro traspare con forza. Forse la vera inaccessibilità abita proprio lì, con due mondi che non si possono mescolare.
I tempi cambiano: bene così.

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COMICO E SOGNATORE

Ben Stiller è un comico nato, fatto a proposito si potrebbe dire. Lo dimostra nell’espressività, prima ancora che nei dialoghi. Molti suoi ruoli, però, hanno incarnato personaggi al limite del reale, se non addirittura fantasiosi. E’ il caso di “Notte al museo 1 e 2”, dove il suo imbarazzo dava vita alla scena. Possiamo definirlo un sognatore, quindi? Forse no, sarebbe troppo; ma nei panni di Walter Mitty l’appellativo calza.

“I sogni segreti di Walter Mitty” (2013) è un film per sognatori: quelli che, come l’interprete della pellicola (W. Mitty, Ben Stiller), rimangono incantati a pensare, immaginandosi altrove: magari a compiere un gesto eroico per conquistare la ragazza del cuore (Kristen Wiig, nella trama).

Walter Mitty, lavora presso la rivista LIFE nel comparto fotografico e, come abbiamo detto, sogna di compiere grandi imprese. Nella vita reale, però, gli manca la determinazione anche solo per affrontare i colleghi e la ragazza dei suoi sogni. L’occasione per cambiare gli arriva quando scopre che manca il negativo (il numero 25) della foto di un importante reporter (Sean Penn) che dovrebbe finire sulla rivista. Peraltro LIFE sta chiudendo, almeno nella versione cartacea, e la foto perduta sarebbe servita per l’ultima copertina. Walter incontrerà il reporter sul campo, mentre aspetta che una tigre bianca esca dalla sua tana. Quando l’animale viene fuori, il fotografo non scatta la fotografia, perché certi momenti vanno solo ricordati.

Il film riporta tante copertine di LIFE, anche se molte di queste sono state appositamente create per girare le scene, spesso utilizzando le foto più famose e iconiche pubblicate dalla rivista. La pellicola è bella da vedere, ricca di scenari aperti e meravigliosi, con un finale strappa lacrime.

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ALL’ALBA VINCERO’

Il 29 novembre 1902 nasce a Torino Carlo Levi, l’autore del capolavoro letterario “Cristo si è fermato a Eboli”. Ne abbiamo parlato quest’anno il 4 gennaio, giorno della sua scomparsa (1975). Lasciamo la letteratura per la musica, perché il 29 novembre 1924 ci lascia Giacomo Puccini.
“All’alba vincerò” (il nostro titolo) è una frase che appartiene a “Nessun dorma”, la celebre romanza dell’opera lirica “Turandot”, rimasta incompiuta per il decesso del compositore di Lucca e terminata da Alfano. A cantare il brano, a teatro, è Calaf, il principe ignoto che vuole conquistare la principessa Turandot. Lei era solita uccidere i suoi pretendenti, che venivano prima interrogati con degli indovinelli: l’errore comportava la morte. Calaf risponde ai tre quesiti (fine atto II), ma aggiunge che avrebbe accettato la morte se la “Principessa Morte” fosse stata in grado di scoprire il suo nome prima dell’alba; da qui la romanza “Nessun dorma”, perché è all’alba che Calaf vincerà; morirà un’ancella per difendere Calaf, nell’intreccio classico del melodramma: amore e morte narrati insieme, gli estremi della vita.

Ci sentivamo obbligati a parlare di Puccini, anche se il corredo fotografico è povero. A lui, oltre Turandot, si devono altri capolavori, come: La bohème, Tosca e Manon Lescaut. Nessun dorma, comunque, rimane nel cuore di chi scrive, perché cantata da nonni e padri nelle serate senza TV, con quell’amore per la lirica reso contagioso e tramandato ai figli.

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