Erano in tanti, all’Arena di Milano, l’8 giugno 1919; e aspettavano Girardengo, all’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia. Del resto, il ciclismo è fatto di attese, un po’ come suggerisce Paolo Conte: “Vuoi andare al cine?”. “Vacci tu, io sto qui e aspetto Bartali”. Mentre il grande campione stava pedalando sul suo “stradone” (De Gregori, 1993), in mezzo all’Arena, su un campo di terra battuta, si teneva una partita di pallacanestro, forse la prima con una certa rilevanza.
Era un’Italia ferita, quella del 1919, col ricordo della prima guerra mondiale ancora tangibile. Ci domandiamo, però, a cosa possano aver pensato i quasi trentamila spettatori di fronte a due squadre che, alternativamente, tentavano di imbucare un canestro forato. L’anello forse doveva apparire molto alto, anche se crediamo sia stato posizionato a 3,05, come in America. Oggi è tutt’altra cosa, perché le mani spesso sono sopra al ferro, per stoppare, schiacciare, prendere rimbalzi.
Ne è passato di tempo, ma la passione per la retina forata è cresciuta negli anni, conquistando anche il pubblico di altri sport. In questi giorni, in Italia e negli USA, si tengono le “Final”: Milano contro Bologna, qui da noi; Golden State contro Boston, oltreoceano. E gli occhi sono tutti lì.
Nel giorno della bambina vietnamita di Nick Ut (8 giugno 1972) e di 1984 di George Orwell (8 giugno 1949) ci prendiamo una piccola pausa sportiva. Ogni tanto si può fare.