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[THOMAS HOEPKER, CREATORE D’IMMAGINI]

“Non sono un artista, sono un creatore d’immagini”, così si è definito Thomas Hoepker. Lo abbiamo citato due volte: in occasione dell’11 settembre e parlando di Cassius Clay. A osservare le sue fotografie, emerge una capacità di raccontare, come vuole il reportage tradizionale. A ciò va aggiunto un uso del colore, oltre al B/N, attento ed elegante, che lui ha convertito nel suo lavoro senza rimpianti o indugi. L’ingresso nella televisione, un nuovo media per un fotografo della sua generazione, completa il quadro descrittivo circa la carriera e le attitudini di Thomas Hoepker, un “non artista” (come dice lui) aperto al nuovo con la curiosità di chi vuole esserci.

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[LES PAUL, UN NOME UNA CHITARRA]

Negli anni ’70, era facile trovare uno strumento musicale nella stanzetta di ragazze e ragazzi, oltre all’insuonabile flauto dolce delle scuole medie. Più facilmente si trattava di una chitarra, ma non erano rari i pianoforti (in sala questi) e gli organi elettrici. Era l’onda musicale a far sì che questo accadesse, quando ancora i brani d’ascolto rappresentavano beni oggettivi (LP, cassette) e non file liquidi come accade oggi. I miti del rock venivano abbinati ai loro strumenti, diventati iconici anch’essi. Appassionati attempati ricorderanno nomi come Fender e Gibson (chitarre), Hammond (organi di solito amplificati Leslie), Marshall (ampli) e l’elenco potrebbe continuare. Dopo aver incontrato Leo Fender (12 agosto 2021), oggi è la volta di Les Paul, nome mitico di una chitarra sognata da molti, la Gibson Les Paul appunto. Ai tempi, Fender e Gibson rappresentavano due correnti di pensiero, un po’ come Lancia e Alfa Romeo tra gli automobilisti anni ’60. In buone mani, Fender e Gibson suonano ancora oggi e le si possono incontrare facilmente ai concerti, perché il loro ruolo non è ancora terminato. Bene così.

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[DAL PEDALE AL CANESTRO]

Erano in tanti, all’Arena di Milano, l’8 giugno 1919; e aspettavano Girardengo, all’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia. Del resto, il ciclismo è fatto di attese, un po’ come suggerisce Paolo Conte: “Vuoi andare al cine?”. “Vacci tu, io sto qui e aspetto Bartali”. Mentre il grande campione stava pedalando sul suo “stradone” (De Gregori, 1993), in mezzo all’Arena, su un campo di terra battuta, si teneva una partita di pallacanestro, forse la prima con una certa rilevanza. Era un’Italia ferita, quella del 1919, col ricordo della prima guerra mondiale ancora tangibile. Ci domandiamo, però, a cosa possano aver pensato i quasi trentamila spettatori di fronte a due squadre che, alternativamente, tentavano di imbucare un canestro forato. L’anello forse doveva apparire molto alto, anche se crediamo sia stato posizionato a 3,05, come in America. Oggi è tutt’altra cosa, perché le mani spesso sono sopra al ferro, per stoppare, schiacciare, prendere rimbalzi.

Ne è passato di tempo, ma la passione per la retina forata è cresciuta negli anni, conquistando anche il pubblico di altri sport. In questi giorni, in Italia e negli USA, si tengono le “Final”: Milano contro Bologna, qui da noi; Golden State contro Boston, oltreoceano. E gli occhi sono tutti lì.

Nel giorno della bambina vietnamita di Nick Ut (8 giugno 1972) e di 1984 di George Orwell (8 giugno 1949) ci prendiamo una piccola pausa sportiva. Ogni tanto si può fare.

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[UN ITALIANO IN AMERICA]

Dean Martin è l’italiano in America già nella nostra fantasia, perché ci sarebbe piaciuto così. Volto simpatico e piacente, godeva di quell’aria strafottente cara a coloro che possono farcela, pur partendo dal basso. La sua carriera non ha mai avuto sussulti, al cinema come in televisione, persino sul palco come cantante: dove spesso ha messo in mostra la sua italianità. Del resto, chi inizia in umiltà ha forti capacità di adattamento, per cui non l’hanno spaventato i ruoli metropolitani e nemmeno quelli western, come in “Un dollaro d’onore”, dove impersonava l'aiuto sceriffo al fianco di John Wayne.

I tempi cambiano, così del Dean attore si è persa la memoria, soprattutto dei film recitati al fianco di Jerry Lewis. Qualcosa è rimasto, però, e vive con la sua voce. Si tratta di due canzoni che accompagneranno pubblicità o servizi di vario genere, anche negli anni a venire: “Mambo italiano” e “That’s amore”. In entrambi i brani c’è l’italianità che rimane appiccicata pur dopo una vita trascorsa oltre oceano.

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