[CANTASTORIE E SCRITTORE]
Francesco Guccini non è un divo, non lo è mai stato; ma in molti hanno cantato le sue canzoni, brani che rappresentavano una generazione, forse anche un pensiero. No, non è una questione politica, anche perché il nostro ne ha sempre preso le distanze. Diciamo che un tempo era più facile riferirsi all’uomo, alle sue storie, a episodi emblematici e curiosi; anche perché si viveva l’era dei cantautori, che bene o male lì andavano a parare.
Francesco, poi, si è sempre manifestato con coerenza: non ha la patente e vive nella sua Pavana, un paese “su strada”: già in Toscana, ma ancora in odore di Emilia. Lì, dalla sua casa di montagna, ha scritto del tempo e delle stagioni, che quasi ne percepiamo gli odori.
Sì, nutriamo una simpatia antica per Guccini, quella dei conterranei, perché lì, noi e lui, abbiamo avuto i nonni, e anche i padri. Tra l’altro, parliamo lo stesso dialetto, quello per il quale lui ha scritto un vocabolario: una lingua antica, né toscana, né emiliana; più probabilmente pedemontana, per chi nell’antichità gettava lo sguardo verso San Giacomo di Compostela. Difficile cantare Guccini oggi, e poco probabile ne è l’ascolto via radio. Ci rimane la possibilità di leggere i suoi brani, cosa piacevole al di là del tempo passato. Nei versi, e nella parola scritta, emerge tutta la forza dell’autore pavanese, che è bello far rivivere anche senza chitarra.
«E correndo m’incontrò lungo le scale, Quasi nulla mi sembrò cambiato in lei, La tristezza poi ci avvolse come miele, Per il tempo scivolato su noi due, Il sole che calava già rosseggiava la città, Già nostra e ora straniera e incredibile e fredda, Come un istante "déjà vu", Ombra della gioventù, ci circondava la nebbia».
“Incontro”, LP “Radici”, 1972. Francesco Guccini.