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RICORDANDO LUCIEN CLERGUE

Siamo in ritardo, lo confessiamo; ma non per disattenzione. Avevamo parlato, al telefono, con Lucien Clergue nel 2014, ma non finimmo l’intervista. Era stanco, troppo; ma in quei pochi minuti riuscì a trasmetterci il suo amore per la fotografia. Eravamo indecisi se scrivere queste poche righe.
Di lui si è parlato e scritto molto, ma poco si è detto della sua generosità. L’esistenza gli ha restituito difficoltà e fortune, ma mai ha dimenticato il percorso intrapreso sin da quando era adolescente ed è stato riconoscente con tutti, soprattutto con chi frequentava la sua arte.

La vita di Lucien Clergue è stata condizionata dalla tragedia, offrendogli però opportunità e possibilità di sperimentazione. In un'epoca in cui la fotografia stava appena iniziando a evolversi artisticamente, Clergue fece in modo che le sue immagini catturassero la stessa bellezza, forma e coinvolgimento che le altre arti avevano fatto per anni.
Lui comunque è stato sempre vicino all’espressione artistica, col rispetto dovuto; la stessa che ha avuto influssi sulla sua vita privata. Non a caso, Lucien Clergue ha sposato nel 1963 Yolande Wartel, curatrice d'arte e fondatrice di The Fondation Vincent van Gogh Arles. Da lei nello stesso anno ha avuto la figlia Anne, che sarà curatrice di arte contemporanea. Nel 1966 la coppia vedrà nascere Olivia, che diverrà una stilista di moda.

Sarà l’arte, quella appresa da Picasso, a far sì che Lucien intraprendesse nuovi linguaggi. Lui seppe reinventare il nudo femminile, lavorando sui chiaroscuri, per ottenere geometrie in grado di contaminare la classicità del tema. Famose restano le immagini delle serie “Nudo zebrato”, fotografie nelle quali il corpo delle modelle appare segmentato, ma rafforzato, dalle linee create sulla pelle dalla luce filtrata attraverso le veneziane.

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GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Il 25 novembre 1960, tre sorelle (Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa) venivano uccise brutalmente, a bastonate, dal regime del dittatore Trujillo, nella Repubblica Dominicana. Ecco perché questa data è stata scelta dall'ONU come simbolo della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che si celebra in tutto il mondo.
La ricorrenza è stata istituzionalizzata il 17 dicembre 1999, con una risoluzione che definiva così la violenza sulle donne: «Una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata, a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano».
Sempre nel documento dell’ONU si legge: «Il femminicidio è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro; e ha impedito un vero progresso nella condizione della donna».

In tutto il mondo le scarpe rosse sono diventate un simbolo per denunciare le vittime di femminicidio. Questo lo si deve alla creatività dell’artista messicana Elina Chauvet, che nel 2009 aveva realizzato l’installazione “Scarpette rosse”: scarpe da donna di colore rosso, sistemate in ogni nelle città per dire stop alla violenza di genere. Elina voleva denunciare i femminicidi compiuti in una cittadina nel nord del Messico, dove le violenze si erano moltiplicate negli anni nell’indifferenza dei media. Da allora l’installazione ha fatto il giro del mondo. Anche in Italia è stata esposta a Milano, Genova e Lecce.

Fermare la violenza sulle donne sarà difficile. Occorrerà un lavoro collettivo: sociale, politico, culturale; che da subito dovrà correggere le disparità esistenti tra i generi. C’è poi il tema della responsabilità e riguarda il mondo maschile in toto, obbligato a interrogarsi individualmente su comportamenti e atteggiamenti, con fiducia: le donne ci salveranno e molte l’hanno già fatto con tanti di noi uomini.

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TANTI AUGURI PAOLA

Abbiamo usato un titolo confidenziale, perché Paola Cortellesi ci è sempre apparsa vicina, alla portata. Ricordiamo, ad esempio, il film “Tu la conosci Claudia”, al fianco di Aldo, Giovanni e Giacomo: lì, nonostante la leggerezza della trama, è emersa con forza tutta la sua duttilità.

Oggi, Paola Cortellesi è diventata Dalia in C'è ancora domani, il film che ha segnato il suo debutto come regista. La pellicola, alla Festa del Cinema di Roma 2023, si è aggiudicata il Premio del pubblico, una menzione speciale e premio speciale della giuria; dalla sua uscita nelle sale dello scorso 26 ottobre è risultata come il Film Italiano più visto del 2023.
Ciò che Paola Cortellesi ha proposto sul grande schermo è una storia - girata in bianco e nero - ambientata nell'Italia del secondo dopoguerra, ma che affronta la nazione di oggi: sottolineando l'importanza di tutte quelle battaglie che le donne hanno combattuto per non essere solo mogli o solo madri.

Se lo aspettava Paola Cortellesi di festeggiare i suoi cinquant’anni guardando dall'alto in basso tutto il cinema italiano? Immaginava, sempre lei, di diventare l'interprete più amata ed evocata d'Italia? La sua carriera è partita da lontano, supportata da tenacia, passione e duttilità: già a tredici anni cantava "Cacao meravigliao" nella sigletta sponsor (inventata) di "Indietro tutta", il programma condotto da Renzo Arbore.
Definita da Mina "una delle più belle voci della sua generazione", Paola Cortellesi si è sempre dimostrata un’attrice versatile e spumeggiante, pronta per il successo popolare.

Il suo ultimo film? Non lo abbiamo ancora visto, ma la voglia di vederne scorrere le immagini sul grande schermo è tanta. Abbiamo letto delle anticipazioni, quasi tutte positive. Siamo riusciti a intravedere, sul web, delle ispirazioni tratte dal vecchio cinema italiano, sin dalla sceneggiatura. Un passato che torna attuale? Chi può dirlo? Ma uno sguardo a ritroso è sempre utile, soprattutto quando i temi trattati sono importanti.

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ALEKSANDR RODCHENKO, ARTISTA FOTOGRAFO

Leggiamo sul Beaumont Newhall, Aleksandr Rodchenko (nato il 23 novembre 1891) abbandonò la pittura costruttivista per seguire la professione di fotografo e disdegnava le fotografie prese tenendo l’apparecchio all’altezza della cintola. Nel 1928 le chiamò le “riprese ombelicali”. Disse: «In fotografia vige il vecchio punto di vista, l’angolo visuale di un uomo in piedi che guarda diritto davanti a sé e fa quelle che io chiamo “riprese ombelicali”. Io combatto questo punto di vista e lo combatterò insieme ai miei colleghi della nuova fotografia. Oggi le riprese più interessanti sono quelle colte “dall’alto in basso” o “dal basso in alto” o quelle in diagonale.

I fotografi artisti degli anni ’20 si cimentarono anche nella doppia esposizione. Uno dei risultai più felici è il ritratto che Rodchenko fece al pittore Aleksandr Sevcenko, riprendendolo di fronte e di profilo.

Sempre sul Beaumont Newhall si legge: Aleksandr Rodchenko creò molti fotomontaggi che ricordavano lo stile dei dadaisti, ma erano pervasi da un dinamismo tutto particolare. Quelli che illustravano il libro si poesie di Vladimir Maakovski mostrano gli occhi ossessionati della stessa donna, ripetuti in una grande varietà di situazioni.

Tra i protagonisti dell'avanguardia russa, Rodchenko l’attraversò in tutti i suoi movimenti artistici. Inizialmente indirizzò la sua ricerca all'arte non figurativa, per poi volgere la sua attività verso opere grafiche e manifesti; impegnato anche nella progettazione industriale. Dagli anni Trenta si dedicò con sempre maggior intensità alla fotografia. Gli angoli d’interesse per noi che cerchiamo di capire si allargano oltremodo. Comprendiamo però come l’avanguardia artistica rappresenti un atteggiamento prima ancora di essere una scelta. E Rodchenko lo dimostra.

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