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ARISTOCRATICA E RIBELLE

Stella Tennant era sofisticata e ribelle. Il suo sguardo ha incantato il mondo, senza renderla davvero irraggiungibile, ma terribilmente affascinante. Lei aveva un look androgino e uno stile aristocratico. Di sangue blu, era la nipote dell'undicesimo duca del Devonshire, Andrew Cavendish, e di Deborah Mitford, la più giovane delle sei celebri sorelle Mitford che dominarono la buona società britannica a partire dagli anni Trenta. Il lavoro nella moda non l’ha mai convinta fino in fondo. Il suo amore era la scultura e l’arte in genere. Negli ultimi anni si era anche impegnata in cause ecologiche e contro il sistema del fashion. In un’intervista ha confessato di non comprare più di cinque capi di vestiario all'anno, cercando di riutilizzare quanto aveva accumulato negli anni ’90. «E’ una questione d’età», aveva aggiunto.

Già, l’età: di certo l’aveva cambiata. Pur essendo stata ribelle, con tanto di anello al naso nelle prime apparizioni sui giornali fashion, Stella a fine carriera è tornata alla sua terra, traferendosi con tutta la famiglia nella campagna scozzese. Disse di averlo fatto per i figli, ma forse sulla decisione aveva influito una consapevolezza antica: quella che ti fa comprendere chi sei e da dove vieni. Anche gli aristocratici tengono i piedi per terra.

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COME I TRENI A VAPORE

Il titolo è quello di una canzone di Ivano Fossati, ma crediamo che ben si adatti per parlare di O. Winston Link, fotografo commerciale, conosciuto soprattutto per le sue immagini di locomotive a vapore. Nato il 16 dicembre 1914 a Brooklyn, New York, Winston ha conseguito la laurea in ingegneria civile presso il Politecnico di Brooklyn nel 1937.
Lui amava vedere le locomotive irrompere nel paesaggio, facendo da sfondo a scene di vita familiare, a drive-in, a cene all’aperto. Così ha scattato ben 2400 immagini di grande formato, dal 1955 al 1959, operando di notte in una delle ultime grandi linee ferroviarie di treni a vapore negli USA, la Norfolk and Western Railway. Di lì a poco, la trazione diesel avrebbe avuto il sopravvento. Si recherà venti volte in cinque anni nello stato della Virginia per portare a compimento il lavoro, diventato per lui una necessità urgente, non appena seppe che il mondo degli stantuffi stava scomparendo.
Aveva ragione, Winston Link, perché è riuscito a ritrarre la fine di un era. A tale proposito, il suo nome è diventato un punto di riferimento nella storia della fotografia: per capacità tecniche e creatività. E poi, il treno è “a vapore”, almeno nell’idea. Passa con fatica e segna il tempo, sbuffando come una fiera mitologica. Il suo incedere è ritmico, quasi musicale, con i biellismi che s’intrecciano tra le ruote. Lascia il segno, quando passa: quel vapore bianco che si dissolve come i pensieri lontani, quelli che vanno e vengono, come i convogli ferroviari. Ha ragione anche Fossati: « Se l'amore che avevo non sa più il mio nome, E se l'amore che avevo non sa più il mio nome, Come i treni a vapore, Come i treni a vapore, Di stazione in stazione, E di porta in porta, E di pioggia in pioggia, E di dolore in dolore, Il dolore passerà».

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L’INGEGNERE DEL METALLO

Abbiamo incontrato Alexandre Gustave Eiffel due anni addietro, sempre il 15 dicembre, giorno della sua nascita. Allora ci riferimmo unicamente al suo capolavoro, la Torre Eiffel, il simbolo di Parigi, con tutte le curiosità annesse. Ricordammo, ad esempio, come la torre parigina dovesse essere una struttura solo provvisoria, da smontare dopo l’Esposizione Universale del 1889. Sappiamo com’è andata a finire, il monumento (tale possiamo considerarlo) continua ad accarezzare il cielo di Parigi. Sempre nel 2020 raccontammo come la struttura di metallo prevedesse un piano di soggiorno, al terzo livello, con un appartamento per ospitare le persone illustri. Lì dormi anche Edison che, nell’Esposizione Universale del 1889 portò il suo fonografo, inventato due anni prima. La musica era diventata riascoltabile.

Alexandre Gustave Eiffel merita comunque un’attenzione maggiore. Egli fu un ingegnere valente, un imprenditore e anche uno scienziato, particolarmente a fine carriera. Le sue opere metalliche sono diffuse in tutto il mondo e noi abbiamo scelto il ponte di Porto, la città portoghese.

Gustave Eiffel meritava di essere visto anche in fotografia, ecco quindi un ritratto a firma Felix Nadar, l’autore della “somiglianza interiore”; ma era giusto anche ricordare una sua opera e a proposito abbiamo scelto una fotografia di Gabriele Basilico, l’autore che cercava l’anima delle architetture, permettendo di ascoltarne la voce.

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VINICIO, GUIDO, UN LIBRO

Parlare di Vinicio Capossela (nato il 14 dicembre) richiama subito il nome di un fotografo, Guido Harari. Qui però non si tratta solo dell’immagine scattata, né delle scelte operate per ottenerla; di mezzo c’è l’amore per quello che si fa, la ricerca del tempo insieme, della storia intima, dell’attimo che si arricchisce. Il libro al quale facciamo riferimento nel titolo è “Vinicio Capossela, le fotografie di Guido Harari” (Editore TEA, 15 novembre 2012). Nella sinossi si legge: «Guido Harari, sì, ho sentito parlare di lui... Al distributore di benzina nella Contrada Chiavicone, arrivò col suo ciuffo di capelli pettinati, e si spettinò subito perché il locale era pieno di grasso. Era ossessionato dal problema della luce, ma io continuai a bere birra. Trovato un rigagnolo nell'Appennino parmense, dopo esserci detestati senza avere uno scatto buono, mi buttai in acqua, ma non mi riuscì di affogare perché l'acqua arrivava solo al ginocchio...» (Vinicio Capossela)
Harari ha costruito con Vinicio un sodalizio che dura da anni. L’ha colto nei momenti più disparati: anche immerso fino alle ginocchia in un torrente di Chiavicone, nell’Appennino emiliano (la fotografia che proponiamo). Il musicista ha detto: «Succedono un sacco di cose surreali ad andare in giro con un fotografo: non sai mai cosa ti aspetta».
Non è un caso, comunque, che Guido Harari sia riuscito a produrre due libri capolavoro con altrettanti musicisti, non avvezzi all’immagine che li riguardi: Vinicio Capossela, appunto; e Tom Waits. Il segreto sta nelle parole del fotografo: «La loro frequentazione è riuscita a regalarmi momenti incredibili, veramente indimenticabili».

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