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BELLA E IMPOSSIBILE

Anni ’80, Milano era da bere. La moda pretendeva bellezze alla Carol Alt: inaccessibili, ma fino a un certo punto; diciamo più visibili. Le “top” erano un po’ questo: abitavano lassù, però risultavano anche molto popolari, diffuse nell’immaginario collettivo. Oltretutto, nutrivano il Gossip alacremente. Carol era un po’ questo: di ghiaccio, ma non del tutto; con quanto serviva per sorridere alla gente, anche se dall’alto.
La moda iniziava a essere un’istallazione individuale, un voler essere e non una forma di comportamento. Bene così, comunque: i tempi cambiano.
Per il resto, c’è poco da dire; quella di Carol è una fiaba a lieto fine, con la predestinata che inciampa in uno scopritore, il quale le spalancherà le porte delle passarelle e del cinema. Beata lei.

Circa le fotografie, e gli autori, abbiamo qualche rimpianto. Dall’altra parte dell’obiettivo non c’era Marilyn Monroe e nemmeno Coco Chanel (loro veramente impossibili), per cui Bert Stern e Horst P. Horst non hanno potuto esprimersi al meglio: manca il personaggio, per il primo; e il lirismo, nel caso del secondo. L’incontro con la modella si è fermato a metà strada, in un’area d’incompiutezza, che peraltro traspare con forza. Forse la vera inaccessibilità abita proprio lì, con due mondi che non si possono mescolare.
I tempi cambiano: bene così.

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COMICO E SOGNATORE

Ben Stiller è un comico nato, fatto a proposito si potrebbe dire. Lo dimostra nell’espressività, prima ancora che nei dialoghi. Molti suoi ruoli, però, hanno incarnato personaggi al limite del reale, se non addirittura fantasiosi. E’ il caso di “Notte al museo 1 e 2”, dove il suo imbarazzo dava vita alla scena. Possiamo definirlo un sognatore, quindi? Forse no, sarebbe troppo; ma nei panni di Walter Mitty l’appellativo calza.

“I sogni segreti di Walter Mitty” (2013) è un film per sognatori: quelli che, come l’interprete della pellicola (W. Mitty, Ben Stiller), rimangono incantati a pensare, immaginandosi altrove: magari a compiere un gesto eroico per conquistare la ragazza del cuore (Kristen Wiig, nella trama).

Walter Mitty, lavora presso la rivista LIFE nel comparto fotografico e, come abbiamo detto, sogna di compiere grandi imprese. Nella vita reale, però, gli manca la determinazione anche solo per affrontare i colleghi e la ragazza dei suoi sogni. L’occasione per cambiare gli arriva quando scopre che manca il negativo (il numero 25) della foto di un importante reporter (Sean Penn) che dovrebbe finire sulla rivista. Peraltro LIFE sta chiudendo, almeno nella versione cartacea, e la foto perduta sarebbe servita per l’ultima copertina. Walter incontrerà il reporter sul campo, mentre aspetta che una tigre bianca esca dalla sua tana. Quando l’animale viene fuori, il fotografo non scatta la fotografia, perché certi momenti vanno solo ricordati.

Il film riporta tante copertine di LIFE, anche se molte di queste sono state appositamente create per girare le scene, spesso utilizzando le foto più famose e iconiche pubblicate dalla rivista. La pellicola è bella da vedere, ricca di scenari aperti e meravigliosi, con un finale strappa lacrime.

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ALL’ALBA VINCERO’

Il 29 novembre 1902 nasce a Torino Carlo Levi, l’autore del capolavoro letterario “Cristo si è fermato a Eboli”. Ne abbiamo parlato quest’anno il 4 gennaio, giorno della sua scomparsa (1975). Lasciamo la letteratura per la musica, perché il 29 novembre 1924 ci lascia Giacomo Puccini.
“All’alba vincerò” (il nostro titolo) è una frase che appartiene a “Nessun dorma”, la celebre romanza dell’opera lirica “Turandot”, rimasta incompiuta per il decesso del compositore di Lucca e terminata da Alfano. A cantare il brano, a teatro, è Calaf, il principe ignoto che vuole conquistare la principessa Turandot. Lei era solita uccidere i suoi pretendenti, che venivano prima interrogati con degli indovinelli: l’errore comportava la morte. Calaf risponde ai tre quesiti (fine atto II), ma aggiunge che avrebbe accettato la morte se la “Principessa Morte” fosse stata in grado di scoprire il suo nome prima dell’alba; da qui la romanza “Nessun dorma”, perché è all’alba che Calaf vincerà; morirà un’ancella per difendere Calaf, nell’intreccio classico del melodramma: amore e morte narrati insieme, gli estremi della vita.

Ci sentivamo obbligati a parlare di Puccini, anche se il corredo fotografico è povero. A lui, oltre Turandot, si devono altri capolavori, come: La bohème, Tosca e Manon Lescaut. Nessun dorma, comunque, rimane nel cuore di chi scrive, perché cantata da nonni e padri nelle serate senza TV, con quell’amore per la lirica reso contagioso e tramandato ai figli.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Non ci piace fare a pezzi un libro e nemmeno isolarne solo una parte, soprattutto di fronte a quello che incontriamo oggi: “Gli amori difficili”, di Italo Calvino. E’ ovvio che “L’avventura di un fotografo” (1955), una delle quindici novelle presenti nel volume, rappresenta per noi un elemento catalizzante. Ci verrà perdonato se ci concentreremo soprattutto lì: la passione porta con sé dei difetti.
Le quindici novelle sono state scritte da Italo Calvino fra il 1949 e il 1967 e pubblicate per la prima volta nel 1958. Nel giugno 1970 uscirono per merito dell’editore Einaudi. Amore e incomunicabilità rappresentano il loro tema portante.

Sono passati cinquantadue anni, ma il lavoro di Calvino risulta essere estremamente moderno, perché si parla di amori non risolti o di altri che non si accendono e nemmeno riescono a farlo. Prima parlavamo d’incomunicabilità, ma di mezzo c’è il silenzio, un’area grigiastra che si sviluppa all’interno della coppia (difficile), impedendone il dialogo. Ed è così anche oggi, quando la stessa famiglia è in crisi, rapita com’è da una quotidianità impegnativa e fuorviante: dove il solo telefonino (non è sua la colpa) pare essere l’unico strumento per raccontarsi, peraltro con frasi semplici e “basiche”.

I personaggi che prendono parte alle novelle sono variegati: soldati, fotografi, sciatori, guidatori, miopi, lettori e poeti, tutti alle prese con storie di “non amore”, dove il grigio emerge sempre, quello dell’inconsistenza, di una realtà impossibile. Il dramma è che la tinta mai si spinge agli estremi: né verso il bianco, tantomeno nella direzione del nero. La soluzione non c’è.

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