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E’ L’ARMISTIZIO

8 settembre 1943. Intorno alle 19.40 il maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo italiano, lesse il proclama con cui il Regno d’Italia annunciava la resa. Il messaggio era stato registrato pochi minuti prima e trasmesso dalla Radio di Stato Italiana. E’ l’armistizio: l'Italia depone le armi nei confronti degli alleati. Il documento era stato firmato a Cassibile (una frazione di Siracusa) cinque giorni prima. La nazione si divide in due, forse in tre: questi, quelli, gli altri. Il disordine regna ovunque, tra civili ed esercito. Molti soldati credono di intuire come la guerra sia finita. “Tutti a casa” è il grido di parecchi.

“Tutti a casa!”, sì: ma quale? Non quella delle mura con le stanze e neanche l’altra, dei parenti e amici; l’esclamazione parlava unicamente del ritorno ai paesaggi consueti, alle abitudini, alla pace.

Lo scorso anno, come appassionati di fotografia, ci lasciammo contaminare dal cinema, ricordando un film di Luigi Comencini: “Tutti a casa” (1960), con Alberto Sordi e Serge Reggiani. Oggi proponiamo un’altra pellicola, che si riferisce alla primavera dell’anno successivo (1944), con ancora in essere le contraddizioni nate dopo l’armistizio. Il regista del lavoro è Luciano Salce, che dipana la trama in chiave ironica, da commedia all’italiana. Il cast comprende Ugo Tognazzi, Georges Wilson e una giovanissima Stefania Sandrelli.

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IL PRIMO TELEVISORE

Oggi pare quasi una curiosità da poco, ma il primo televisore elettronico della storia nasce il 7 settembre 1927, in un laboratorio di San Francisco, a opera di Philo Farmsworth. L’invenzione si diffuse già l’anno successivo negli Stati Uniti, poi in Europa. Prendeva corpo un sostantivo che ci avrebbe accompagnato per anni: il tubo catodico. Per la visione oggi disponiamo di plasma, LCD, OLED; e quel piccolo schermo sul carrello a ruote è diventato un’antichità.

Quel 7 settembre, però, a nostra opinione (arbitraria, per carità) nasceva un’era: quella televisiva. Le abitudini dell’uomo sarebbero cambiate e, con esse, il giornalismo, l’informazione e l’intrattenimento. Oggi il TV non è più solo, perché altri monitor si sono affiancati a esso, senza dimenticare l’onnipresente telefonino. Lo schermo in salotto, però, esiste ancora, manovrato con perizia dal telecomando di chi decide la visione. L’era catodica, diventata “piatta” per via dello schermo, prolunga il suo tempo, pur con gli acciacchi di un’anzianità consistente.

Fotografie & fotografi

Abbiamo scelto due fotografie classiche, che mostrano il televisore in ambito domestico. Entrambe sono tratte dal lavoro “Dentro le case” e in esse s’intravede il tubo catodico alla stregua di un nuovo ospite, diventato indispensabile quasi per forza.

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IL CREATORE DI MONTALBANO

«Io sono stato povero e ho conosciuto il successo in tarda età. Tutto è arrivato tardi nella mia vita, e questa è una fortuna: mi sento come di aver vinto alla schedina. Il successo fa venire in prima linea l’imbecillità. Se avessi ottenuto da giovane quel che ho oggi, non so come sarebbe finita. Non conosco il mio livello d’imbecillità». E’ Andrea Camilleri a parlare, in un’intervista al Venerdì di Repubblica. Lui ha inventato la sua Sicilia, dove parlano una lingua che dell’isola ha la provenienza e il suono. Per farlo ha studiato molto, arricchendosi (forse) sceneggiando il Maigret di Simenon. Dall’autore francese ha ereditato l’impianto narrativo e le carrellate descrittive, ma anche la definizione precisa della figura di un commissario, diventato da noi Montalbano e dipinto dall’anima siciliana. Ha anche prodotto molto, Camilleri; con la tenacia dei grandi.

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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Per la consueta rubrica del Lunedì, incontriamo ancora Ferdinando Scianna: fotografo illustre, ma anche valente scrittore. Il libro è “Il viaggio di Veronica”, sottotitolato “Una storia personale del ritratto fotografico” (Edizioni UTET, 2021). E qui sta il primo punto di grande interesse: l’autore si espone. In un periodo storico nel quale l’omologazione rappresenta, spesso e in molti campi, la soluzione più semplice, Scianna dice la sua, ovviamente con rigore scientifico e accademico: senza nascondersi, quindi, con coraggio e autorità.

Il volume ci ha appassionato sin dalla parte introduttiva, dove si descrivono gli ambiti del ritratto: «E’ una forma di relazione conoscitiva e affettiva tra gli uomini. Se non c’è coscienza di sé e dell’altro non ci può essere ritratto». Del resto: «Il ritratto coincide con la stessa storia della fotografia». Possiamo anche aggiungere che la fotografia ritrattistica ha anche raccontato le mutazioni sociali, culturali ed estetiche dell’uomo nel mondo, spesso anticipandole o addirittura favorendole.

C’è sempre un eco forte nelle parole dell’autore ed è la voce di Henri Cartier Bresson, il “Mozart” della fotografia (per noi molto di più, perché continuando con il paragone musicale, il fotografo francese si è spinto oltre, anche verso le grandi sinfonie dell’800). E’ lui a dire: «Non tutti i fotografi sono ritrattisti, nemmeno se sono i grandi interpreti dello scatto. Spesso lo sono di più gli umili autori del villaggio». E qui sta l’ultimo “paletto” posto da Scianna nel suo viaggio: fotografi, sì; ma ritrattisti è un’altra cosa.

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