Abbiamo osservato a lungo le immagini di Cesare Colombo, non solo oggi. Di volta in volta nascevano in noi curiosità diverse, spesso animate dalla presunzione di un conosciuto modesto e irriverente. Le sue fotografie non illustrano un tempo cristallizzato, ma una serie d’istanti creati per divenire idea, lasciando quindi una coda che si muove in avanti, in attesa del nuovo che arriverà. Le nostre sono considerazioni personali, un po’ supponenti dicevamo, ma ai nostri occhi viene precluso l’effetto nostalgia per come eravamo, convinti (dal fotografo) che un futuro ci sarebbe stato, aderente a un’evoluzione sociale già evidente. Milano è centrale nell’attività fotografica di Cesare Colombo, ma una forza centripeta l’ha portato altrove: non geograficamente, però, perché la sua sensibilità culturale è stata indirizzata a collaborare con altri colleghi e insieme a istituzioni aderenti alla fotografia. Si tratta di un personaggio da rileggere con attenzione, per quanto ha donato durante la sua esistenza, divulgando l’arte dello scatto con ostinazione e coraggio.
Cesare Colombo è stato un protagonista della fotografia italiana, per due ragioni principali. Come studioso, nell’arco di quarant’anni, ha prodotto fotolibri e mostre di grande successo (da L’Occhio di Milano, 1977, alla Fotografia Italiana Anni Cinquanta, 2006); come fotografo, ha condotto un’indagine sulle vicende sociali dell’uomo, tra committenza e ricerca personale.
Gli scatti di Cesare Colombo nascono con l’obbligo della testimonianza, ma lasciano spazio alla creatività, dove la poesia si eleva sul vortice della modernità.